“… lo sanno che il verme marcio è proprio lui (Berlusconi, ndr)”. Angela Nicla Devenuto a Valter Lavitola, in un’intercettazione telefonica
“… (Berlusconi, ndr) aveva preso a cuore i nostri problemi, ci trattava come se fosse un padre, uno zio. Si sentiva un po’ il nonno delle nostre figlie”. Angela Nicla Devenuto ai pm.
Che cosa penseranno in queste ore, leggendo nelle cronache delle belle imprese dell’onorevole Milanese, i suoi elettori? E che cosa avranno pensato ieri o l’altrieri gli elettori dei vari Cosentino, Papa, Brancher, Romano, e di non pochi altri senatori e deputati, a vario titolo indagati, rinviati a giudizio, condannati da un tribunale? La risposta è semplice: non hanno pensato niente. Per una ragione altrettanto semplice: perché quegli elettori in realtà non esistono.
Ieri, sul Corriere della Sera, Ernesto Galli Della Loggia riassumeva così il catastrofico risultato dell’attuale legge elettorale italiana. Come infatti sapete, i deputati e i senatori, e non solo loro, non sono scelti direttamente dal popolo, ma dai capi di partito. Ne consegue un’interruzione del rapporto tra causa ed effetto che allontana sempre più la gente dalla politica e al contempo consegna il governo di una nazione all’onanismo di un oligarca.
Non si è rappresentanti del popolo se il popolo ignora chi lo rappresenta. Se la scelta di un deputato è demandata al capo di un partito, nonostante l’esito delle urne dove pure sono contenuti nomi e cognomi, il merito oggettivo diventa il suo contrario: raccomandazione, privilegio, favore.
Il momento politico che viviamo ormai da un decennio è inquadrabile, molto sommariamente, in un ambito di crisi di responsabilità. Ci arrabbiamo se nella Finanziaria qualcuno mette una norma che non c’entra nulla coi conti dello Stato ma solo con quelli di un malfattore. Ci indignamo se in un anno di attività parlamentare la maggior parte del tempo se ne va nel discutere la riforma di una giustizia che non piace sempre al solito malfattore. Ringhiamo davanti ai palinsesti di una tv pubblica depredata delle sue forze migliori solo perché non sono allineate col potere (frase trita, lo so, ma chiara…). Ebbene, dovremmo risparmiare le forze per incazzarci a monte. Tutto ciò accade perché chi vota questi provvedimenti, di qualunque partito sia, non ha una responsabilità diretta nei confronti dei suoi elettori. Esiste solo un maledetto cordone ombelicale col leader del partito: suo è il regno, la potenza e la gloria nei secoli dei secoli.
Obama, quello abbronzato, ascolta annuendo come un pupazzetto a molla. Una larga fetta dell’Italia spera disperatamente in una debacle dell’interprete e, alla fine, si aggrappa a un dato di fatto: il presidente Usa non risponde.
Due considerazioni.
1) Berlusconi, dicono i suoi accoliti, in fondo ripete ciò che ha sempre detto. Come se riproporre orgogliosamente un’ossessione fosse il motivo sublime del concetto: straparlo (strapenso?) ergo è giusto quello che dico.
2) Che caspita gli racconta al presidente del più potente stato del mondo, uno che ha una scala di emergenze molto diversa dalla sua (uno che, tanto per dire, fino a qualche giorno fa era rinchiuso nella situation room a occuparsi di cose ben più delicate)?
Per Silvio Berlusconi, come è noto, i magistrati sono un cancro della democrazia. Per la sua sottosegretaria, ma proprio sotto, alcuni, tipo la Boccassini, sono una metastasi.
Stai a vedere che la famosa riforma della giustizia coincide con l’ancora più famosa data in cui avremo sconfitto il cancro?
C’è un vecchio sistema per stanare i gradassi, far loro domande.
Così quando uno dice che i magistrati sono come le Br, è utile chiedergli “tu che facevi quando i magistrati erano assassinati dalle Br?”. E magari suggerire la risposta: “Mi facevo proteggere dalla mafia”.
Oppure quando uno dice che il referendum sul nucleare è stato aggirato proprio per non far votare la popolazione sul nucleare, è utile chiedergli “tu te la faresti costruire una centrale atomica davanti casa?”. E magari suggerire la risposta: “Certo ad Antigua”.
Questo Roberto Lassini mi pare un prototipo del candidato berlusconiano: impresentabile, con un passato da detenuto, fedele al tornaconto personale. L’unica cosa che lo distingue dalla melma pidiellina è che sa rendersi conto di aver sbagliato. Per questo hanno accettato in un batter d’occhio le sue dimissioni.
«Il mio lavoro mi porta a contatto con un certo ambiente e con personaggi del calibro di Berlusconi, Gheddafi, Putin. Non mi pento di niente, cosa avrei dovuto fare? Non lavorare nello spettacolo?». Corriere, 9 febbraio
«Il mio problema è un impulso insopprimibile a fare sesso. Ma non sono una prostituta. È che mi sciolgono la droga nei bicchieri… Certo, se un ministro mi offrisse 15mila euro… ma è solo un’ipotesi». Novella 2000di questa settimana
“Riprendi subito Ron (Ronaldinho, ndr) nella tua squadra di m… o ti faccio escludere da Obama dai Grandi del mondo”. Sms inviato a Berlusconi il 15 gennaio 2011
Le tre frasi appartengono alla starlette Sara Tommasi, una che in un qualsiasi altro Paese sarebbe rimasta a fare l’aspirante velina, modella, attrice, miss, in attesa di un momento buono, di un’ispirazione o chissà di una immancabile spintarella da parte del produttore bavoso e maneggione, e che invece è diventata un elemento chiave dell’iniziativa giudiziaria contro Silvio Berlusconi.
Nelle intercettazioni della signorina Tommasi c’è tutto e l’abbozzo di tutto, come del resto nelle sue impervie dichiarazioni alla stampa. Il suo sms su Obama e Ronaldinho passerà alla storia come la cazzata più solenne della storia moderna, dopo il voto della Camera su “Ruby nipote di Mubarak”. Una di quelle frasi che gli scrittori vorrebbero mettere nei libri se il pudore di dover tramandare qualcosa ad anime innocenti non fosse un’umana barriera contro l’imbarbarimento dei tempi da narrare.
Perché Sara Tommasi è – diciamolo – una testimone impresentabile. Una che cita il presidente degli Usa e un calciatore famoso con la stessa disinvoltura con la quale manda a fare in culo un premier che, probabilmente, non l’ha mai calcolata più di quel che gli serviva. Una che si credeva al centro di un mondo che non la comprendeva. Una che probabilmente ha perso la luce della logica nel buio della personale delusione.
La Tommasi non è e non potrà mai essere una vera teste d’accusa contro Berlusconi, ma al contrario sarà l’appiglio ideale per i suoi difensori: disordinata, incoerente, pacchiana, esagerata. Una di quelle che sa le cose perché gliele ha dette suo cuggino… E che si vanta di amicizie tanto fantasmagoriche quanto ridicole. Sara Tommasi si sente una first lady tradita, e sembra non aver contezza di non essere first, di non essere lady e di non essere nemmeno tradita (il tradimento si riserva alle persone che hanno un peso oggettivo).
Se fossi un magistrato non mi sognerei nemmeno di valutare i verbali di una persona con un simile disordine interiore. Al limite girerei tutto al suo medico curante.
Che pena vedere un signore di 74 anni discettare dei propri rapporti sessuali promiscui, delle proprie amicizie con minorenni, con puttane.
Un signore che è presidente del Consiglio e che invece che di provvedimenti legislativi si occupa di ragazzine.
Un losco figuro che non governa e non si governa.
Uno che invoca la punizione per i magistrati che lo inquisiscono e che organizza la guerriglia mediatica contro lo stato di diritto.
Uno che, infischiandosene del suo ruolo istituzionale, dà il suo numero di cellulare alle prostitute.
Uno che non si vergogna (almeno) di aver fatto una telefonata che lo mette nei guai per un reato grave come la concussione.
Uno che nelle sue sceneggiate videoregistrate, che gli evitano un democratico contraddittorio, gira intorno alla questione agitando mere scuse procedurali (è competente Monza o Milano? ma che cazzo ce ne frega a noi, l’importante è che un giudice lo giudichi) e non entra mai nello specifico.
Uno che ha capito che personalizzazione dello scontro è l’oppio del diritto.
Il faldone telematico delle accuse a Silvio Berlusconi e ai suoi complici va letto con attenzione, mettendo da parte le questioni meramente private (pochissime) e assorbendo i passaggi di interesse pubblico (moltissimi).
In un Paese che si trova in una situazione di emergenza è importante avere una conoscenza dettagliata degli atti. Quelli della difesa li conosciamo grazie alle televisioni del premier e ai suoi videomessaggi senza contraddittorio, quelli dei magistrati li conosciamo adesso grazie a internet. Il documento originale della procura di Milano è ormai virale nella rete e non c’è ragione di ignorarlo. Eccolo.
Non capisco le perplessità, spesso strumentali, davanti alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino.
I magistrati ascoltano mafiosi, strangolatori di bambini, stragisti e non dovrebbero prestare attenzione alla testimonianza di chi la mafia l’ha conosciuta per via della famiglia biologica?
Chiedere prudenza ai pubblici ministeri è come ricordare all’autista di un pullman di tenere le mani sullo sterzo mentre guida in una strada di montagna.
Massimo Ciancimino ha tutti i numeri per essere considerato un testimone interessante. Se poi sia anche interessato, sarà compito dei giudici scoprirlo.
La verità non è frutto della spremitura, ma della distillazione.