Da Saint-Jean-Pied-de-Port a Roncisvalle.
Se esistesse una legge di Murphy applicata alle bandane sarebbe pressapoco così: in un viaggio la probabilità di dimenticare la bandana a casa è direttamente proporzionale al numero di bandane possedute.
Ne ho almeno una decina, indovinate quante me ne sono ritrovate nello zaino?
Eppure non pareva giornata di bandana (io la uso al posto del cappellino per ripararmi dal sole). Nella scalata dei Pirenei la nebbia e il fresco erano stati gli elementi dominanti, ma stasera mi sono ritrovato con la testa semi-cotta: colpa di quel sole sudbolo che, complice l’altitudine, filtra e colpisce a tradimento più di uno strafalcione di Sangiuliano.
La cronaca della giornata vorrei esaurirla con una parola: fatica. Ma prima vi devo raccontare una cosa che probabilmente ne suggerirà un’altra.
Intorno al dodicesimo chilometro di salita selvaggia mi affianca un giovane ungherese che mi fa notare, pensa un po’, che abbiamo la stessa marca di zaino. E lì cado nell’errore fatale: anzichè sorridere ed elargire un monosillabo, mi imbarco in una frase più complessa tipo “il mio è da 50 litri mentre il tuo è da 25). Quello, capendo che parlo l’inglese si attacca come una piattola e mi rincoglionisce per quasi sei chilometri, ovvero un’ora e mezza di scalata.
Me ne sono liberato non so come, tipo mettendo in scena una progressiva rarefazione di risposte e/o espressioni (tra l’altro anche lui lavora nel mondo del teatro il che ha reso più estenuante lo stillicidio di interazioni mentre tutto il mondo intorno a noi sudava e imprecava). Non vi chiedo che parola vi suggerisce questa storia: io ne ho una che inizia per rompi e finisce per coglioni, ma non voglio influenzarvi.
Per il resto potrei scrivere un trattato sulle fatiche che ci prendono alle spalle, che non conosciamo fin quando non le abbiamo superate, che ci ammazzano e però ci fanno risorgere.
Questa prima tappa del Cammino Francese, la Via Alta dei Pirenei (perché c’è un altro itinerario che resta nel fondovalle e che è quello che fanno in molti, dato che il passaggio sulle montagne è aperto solo in estate) è una delle più dure tra quelle dei Cammini di Santiago: per me finora la più difficile.
Si sale ininterrottamente per oltre 22 chilometri con quasi 1.500 metri di ascesa totale e la fregatura è che intorno al diciassettesimo chilometro ti illudi che inizi una discesa (sulle discese e su chi se le è fregate sono anni che discutiamo in questo blog) e invece, svoltato un sentiero, la strada si impenna di nuovo. Ero preparato a questa fatica, avevo fatto anche alcuni giorni di meraviglioso acclimatamento sulle montagne della mia terra, le Madonie, grazie alle mie sante della montagna (le Alessandre e Donatella), ma niente. La realtà è come il voto a sinistra, ti frega sempre.
Insomma sono arrivato a Roncisvalle, dopo una discesa col “freno motore” una cosa che ti illude e ti macina nello stesso tempo, cambiando magliette su magliette (e le magliette poi si devono lavare che… questa casa non è un albergo!) e ringraziando il mio dio per avermi dato la forza di fare il bucato senza addormentarmi sulla acqua torbida del sapone di Marsiglia.
2 – continua
A questo argomento è dedicato il podcast in due puntate “Cammino, un pretesto di felicità” che trovate qui.
2 commenti su “La realtà ti frega sempre”