Fuochi e pistole

Noi siciliani siamo abituati a convivere col fuoco, in qualunque forma possa essere rappresentato. La fiamma in sé racconta una devozione coatta verso il potente, che sia un santo o un attentatore del racket. Si brucia per scacciare il malocchio o per ringraziare, per punire o ammonire. Dalla candela al rogo c’è sempre una mano che regge una convinzione, spesso molto personale, raramente condivisibile. Perché qui in Sicilia il fuoco è soprattutto mistero. Mistero della mente, di un profitto difficile da raccontare, di tradizioni criminali fuori dall’intelligibile. Chi avvicina un accendino a una stoppia mentre mira al bosco limitrofo è attore di un’orrenda commedia senza trama. Il sistema legislativo regionale e quello nazionale hanno provato a blindare l’accesso lavorativo al settore forestale: incendiare non è più un modo per provocare assunzioni e alimentare clientelismi a catena. Eppure ogni estate spuntano mani folli che appiccano, alimentano e, alla fine, uccidono. Senza suscitare un giovamento che sia spiegabile al di fuori del buio dell’ignoranza. Favorite, questo sì, dall’inspiegabile sistema logistico che è la Protezione Civile, un servizio che dovrebbe essere di tutti e che risulta, inesorabilmente, di nessuno. L’organizzazione è coordinata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e si diluisce in una miriade di competenze che arrivano fino ai singoli sindaci in una rarefazione di responsabilità che si perde come cenere al vento. In altri Paesi europei il compito di Protezione civile è assegnato invece a un’unica struttura, con metodi e responsabilità precise: è, a mio parere, il modo migliore per fronteggiare emergenze.
Uno decide, gli altri eseguono. Come nel crimine, del resto.
Una mano che tiene un accendino può essere pericolosa come se reggesse una pistola. Noi siciliani siamo abituati a convivere col fuoco e con le pistole, ed è una cosa orribile.

Money Money Money

I deputati dell’Assemblea regionale siciliana hanno aumentato il loro stipendio di quasi 11 mila euro lordi all’anno, circa 890 euro al mese. Un adeguamento legato all’adeguamento al costo della vita secondo l’indice Istat.
Il mio compenso, e quello della maggior parte dei precari (io precario sono), dei lavoratori a partita iva, dei liberi professionisti che denunciano tutto quel che guadagnano, è fermo da secoli. Anzi, per via degli slalom della vita, oggi prendo in proporzione meno di vent’anni fa. Ma tiro avanti con serenità non perché sia ricco o campi d’aria, ma perché questo mi offre il mercato: e io sono uno fortunato, che fa un lavoro creativo e che ringrazia Dio per ogni giorno che manda in terra.

Breve panoramica per capire di cosa stiamo parlando.
Secondo i dati Ocse 2022, tra il 1991 e il 2021 il livello medio degli stipendi in Italia è cresciuto dello 0,36 per cento, mentre nello stesso periodo in Germania e in Francia l’aumento è stato pari al 33 per cento. Alcuni paesi dell’Unione europea hanno registrato aumenti anche maggiori: gli stipendi in svedesi sono cresciuti del 72 per cento e quelli irlandesi dell’ 82 per cento.
A ciò va aggiunto l’ulteriore differenza, all’interno del nostro Paese, tra chi lavora al Nord e chi lavora al Sud, nonostante qui entrino in gioco altri parametri come il costo della vita.

Questioni economiche e sociali a parte, credo che in Italia ci sia un problema – almeno per quel che mi è capitato di osservare intorno a me – nel riconoscimento delle professionalità. Si continua a pensare che se ci sono due persone che hanno costi differenti, a parità di opera svolta, sia opportuno scegliere quella che costa meno, a prescindere da abilità, competenza, affidabilità.
In questo scenario si celebrano volgari cerimonie di indignazione per lo stipendio del sovrintendente di un grande Teatro d’opera – uno che fa un lavoro che si vede e i cui risultati si toccano con mano – e si passa tranquillamente sopra gli aumenti a raffica dei deputati regionali siciliani, il cui lavoro e i cui risultati sul campo sono tragicamente evidenti.   

Una favola storta

Non vi parlerò dei possibili nuovi equilibri nella mafia dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro. Non vi parlerò nemmeno delle strategie dello Stato per affrontare il nuovo corso di Cosa Nostra, perché un nuovo corso ci sarà per forza (e speriamo che sfoci nelle fognature). Non vi parlerò di politica né di magistrati. Di tutto questo vi parleranno i miei colleghi, quelli bravi, in tv e sui giornali.
Io vi voglio parlare di una favola storta che finalmente ha un suo lieto fine. E il lieto fine di una favola storta deve essere dritto per compensare un’obliquità che disturba il mondo, facendolo sembrare storto a sua volta.
Una favola che inizia con una lettera d’addio a una innamorata. Una lettera che contiene una grande imperdonabile bugia.

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Gery Palazzotto
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Una favola storta
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Cazziata finlandese

Una pittrice finlandese decide di trasferirsi con la famiglia in Sicilia, a Siracusa, e dopo qualche mese se ne va sdegnata perché il sistema scolastico non le piace e, in poche parole, perché si è accorta che la Sicilia non è la Finlandia. Noi isolani siamo abituati a sentirci dire che qui non funziona niente, il che è purtroppo vero. Però in questa lezioncina impartita tramite lettera aperta a un sito locale c’è qualcosa di irritante. E cioè la supponenza con la quale una persona venuta spontaneamente dall’estero decide di deludersi per non aver trovato il modello e i codici sociali dai quali si è spontaneamente allontanata. Il sospetto più fastidioso, almeno per me, è che la signora avesse scelto per luoghi comuni: Sicilia, caldo, mare, cibo, folklore. Magari pure un mafia tour, se ci scappa.

Personalmente coltivo l’idea della fuga – ne ho scritto più volte qui e altrove – con grande attenzione: se decido di fuggire, scelgo il luogo (anche metaforico) nel quale so di trovare sorprese, non certo una replica del posto da cui parto, e in questa voglia di sviluppare curiosità ci metto soprattutto la possibilità di imbattermi in usi e burocrazie che non mi piacciono.

Mi è capitato alcune volte di rimanere deluso senza mai farne una battaglia di civiltà.

Il fatto che la signora finlandese si aspettasse di trovare in Sicilia un sistema scolastico come quello finlandese ci dice molto sull’avventatezza con la quale è stato preparato il trasferimento, mica un weekend mordi e fuggi.
Sono un nemico dell’inefficienza siciliana, non ho mai creduto alla specificità “meravigliosa” del nostro essere isolani, sono allergico all’esibito e patetico trionfo del sicilian style.
Però una cosa alla signora in questione la vorrei dire: non c’era bisogno di simulare una caduta dal pero per scandalizzarsi che dal pero si può cadere.
Luogo comune per luogo comune: finlandesi, che noia.

Butterfly Blues, il podcast

Le piccole battaglie quotidiane, le grandi scommesse di sogni infranti, l’antimafia, il gioco di specchi della politica, le promesse e le disillusioni. “Butterfly Blues” è il canto dolente di una generazione che voleva cambiare il mondo e invece si è accapigliata solo per cercare qualcuno su cui scaricare le sue stesse colpe. “Butterfly Blues” è stato uno spettacolo che negli anni si è evoluto. Nato nel 2019 come orazione civile per voce narrante e pianoforti per “Piano City”, si è evoluto negli anni in opera corale e danza. Da oggi è anche un podcast, liberamente ispirato a quello spettacolo di cui trovate qui dettagli e protagonisti.
P.S. Grazie sempre a Gabriella Guarnera per la voce e la pazienza.

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Scopro le carte

Qualche giorno fa ho scritto sui miei ispiratori, persone e personaggi che in qualche modo mi hanno influenzato nella professione, nelle passioni, nello sport e in generale nella visione delle cose del mondo.
Non è una classifica, né una walk of fame. Non ci sono etica e rimbalzi sociali a condizionarmi. Non è una lista di buoni, di geni, di perfetti, di modelli: alcuni di loro lo sono innegabilmente, altri sono persone qualunque che hanno “funzionato” magari solo con me, a loro insaputa. Non è nemmeno una resa dei conti. Perché sono grato a ognuno di loro e se mai ci fosse da pagare un conto, dovrei essere io a mettere la mano al portafoglio.
Insomma completiamola, quest’opera. E spieghiamo. Spiegare non è mai superfluo. Magari provateci anche voi: a una certa età mettere nero su bianco le cose importanti fa sempre bene.

Donald Fagen è la mia musica con e senza gli Steely Dan, la mia vita si divide tra prima e dopo The Nightfly. (Lo sto ascoltando mentre scrivo queste righe)

Stephen King è il maestro anzi il Re. Non ho mai letto un suo libro distrattamente, neanche quelli che mi sono piaciuti meno.

Gino Vannelli è la colonna sonora delle mie imprese sciistiche. Ancora oggi quando ascolto Brother to Brother sento odore di sciolina nell’aria.

Phil Collins, perché non è ancora morto.

Sheila E., la vidi in concerto con Prince (di cui sotto) e capii che grazia e potenza e bellezza stavano tutte lì, davanti ai miei occhi stralunati.

Manolo l’ho frequentato da ex arrampicatore, da giornalista e poi da amico.

Toni Valeruz mi fece venire la più insana delle idee della mia vita: buttarmi con gli sci da una pietraia di Monte Pellegrino. Per fortuna ci ripensai, altrimenti non sarei qui. O ci sarei a rate.

Prince è stato il mio alfabeto musicale.

Clare H. Torry perché è la voce più bella della canzone più bella.

Nick Hornby scrive con la fluidità e la serena spensieratezza che vorrei avere io e che nessuno ha, a parte lui.

Ernest Shackleton è il mio eroe della più grande avventura cinematografica che non è mai stata un film.

Moana Pozzi, perché l’ho conosciuta e non dimenticherò mai che l’intelligenza è sexy.

Salvo Licata è stato il mio maestro di giornalismo e, diciamolo, di vita.

Wassily Kandinsky, perché i suoi colori visti all’Hermitage di San Pietroburgo li ho ancora negli occhi.

Italo Calvino, le “Lezioni Americane” è il libro che mi ha cambiato la vita. E che mi ha costretto a fare conferenze sui libri che cambiano la vita…

Claudio Magris, ovvero il Sommo Magris.

Roger “Verbal” Kint (attenzione spoiler!) è Keyser Söze, il protagonista del più bel giallo-thriller di tutti i tempi.

Oriana Fallaci, perché non essere d’accordo con lei era insostituibile spunto di arricchimento.

Graham Vick, un grande regista teatrale, uno dei giganti che ti metteva a tuo agio con idee di una genialità sconvolgente e che non ti guardava mai dall’alto in basso. Una volta con lui realizzammo un fotoromanzo…

Pat Metheny, la chitarra e il chitarrismo quando volevo essere un chitarrista.

Donna Summer, il primo turbamento sensuale per un sussurro che veniva fuori da un vinile.

Filippo Carollo, l’amico che mi manca ormai quasi da trent’anni. Un amico che non sono riuscito a salvare.

Peppino Sottile, il giornalista che mi ha dato fiducia nonostante la sua intransigente ferocia. Ancora oggi quando ci sentiamo cito a memoria le sue cazziate.

Guido e Maurizio De Angelis. Il primo 33 giri che ho consumato sino a piallarlo. Un The Best delle loro colonne sonore: da “Piedone lo sbirro” a “Altrimenti ci arrabbiamo”, da “Per grazia ricevuta” a “Orzowei”.

Niccolò Ammaniti perché “Ti prendo e ti porto via” è il mio romanzo d’amore.

Maria Cefalù è stata una regista della Rai siciliana che per prima mi ha affidato un programma radiofonico – avevo vent’anni – ed ebbe il coraggio di anticipare a mio padre che no, non sarei stato un medico.

Stanley Kubrick perché non conosco un regista che ha attraversato generi e scritture così diverse come ha fatto lui.

Olivia Newton John per la sua grazia eterna. Di grazia siamo affamati, ma non ce lo confessiamo.

P.S. La foto è di trent’anni fa – Val Thorens, 3.500 metri di quota, 26 gradi sotto zero – e ha dentro gran parte di ciò che ho scritto in queste righe. Basta guardarla con un pizzico di compassione ;)

Eretici

Hanno la forza di mettere in discussione il sistema senza negarlo, usano le verità rivelate per tirare fuori verità nascoste, hanno il coraggio di fare rivoluzioni di saggezza e bellezza.
Sono un prete (Cosimo Scordato), un prete mancato (Biagio Conte), e un mangiapreti (Antonio Presti).
Tre moderni eretici. In questo podcast vi racconto le loro storie.

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Eretici
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Materia Prima

Strana storia quella in cui c’è un delitto, c’è il movente, ci sono i colpevoli, c’è il tempo che ha provato a lasciar sedimentare la rabbia (anche se la rabbia non sedimenta mai, al limite si cementifica, cresce in verticale come un pilone di autostrada) eppure non c’è la fine. Una storia senza fine non è una storia, è una bici senza ruote, un coltello senza lama, una minestra senza ingredienti.
In questo podcast si ripercorre la vicenda dimenticata di Libero Grassi, l’imprenditore coraggioso che osò ribellarsi al racket delle estorsioni a Palermo e che per questo fu ucciso in uno dei più annunciati delitti di mafia. Ma soprattutto si ricostruisce il contesto in cui quell’omicidio nacque: tra imprenditori apertamente collusi, giornali ipergarantisti, antimafiosi incauti e giudici soli.
Soli come lui.
Cadaveri ambulanti come lui. Buon ascolto.

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Gli spaventati del presepe

Non parliamo dei risultati elettorali. O meglio ne parliamo ma da un’altra angolazione. Cercando di spiegare come siamo arrivati a oggi. Niente politica, promesso. È una storia che mi è venuta in mente ieri, leggendo alcuni post su Facebook dove c’erano molte persone che si meravigliavano del fatto che tutta questa destra nelle loro timeline non l’avevano vista e che sospettavano che magari molti avessero votato di nascosto Meloni per poi far finta di nulla, fischiettando su Facebook.

È una storia che la dice lunga su quanto non sappiamo dei mezzi che usiamo, su quanto ci illudiamo di padroneggiare e su quanto dovremmo investire in conoscenza, studio e buona creanza, prima di meravigliarci per il poco di cui non c’è proprio nulla da meravigliarsi. Buon ascolto.

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Gery Palazzotto
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Colleghi e guardati

Ho lavorato per oltre vent’anni al Giornale di Sicilia e me ne sono andato nel 2007, quando ho capito che non avevo più nulla da dire/fare in quel quotidiano. Ho lasciato in quella redazione, oltre a mille ricordi, molti amici e colleghi, compagni di avventure dentro e fuori i locali dell’azienda. Col tempo, alcune di quelle persone hanno maturato nei miei confronti un astio e un risentimento che ritengo ingiustificati. È vero, posso risultare colpevolmente poco simpatico per motivi che vanno dalle opinioni politiche alla scelta del vino (tipo: odio il Grillo). E poi sono insofferente a quei luoghi comuni che avvelenano la nostra socialità reale, quella analogica, e per di più sono da sempre mezzo vegetariano in un momento in cui i vegetariani si mangiano una bella fetta di carne… ops!. Tornando al Gds è anche vero che mi è capitato di criticare le scelte di una direzione ultratrentennale, di mettere in luce passi editoriali sbagliati, ma anche di solidarizzare con la redazione in momenti difficili e di salutare con gioia il nuovo corso. Qui trovate un bel po’ di materiale.

Nel tempo questi colleghi non hanno perso occasione di trattarmi con sufficienza (è un loro diritto, ma io ci sono rimasto male…), hanno detto schifezze di me (mai di persona, manco a dirlo), e soprattutto hanno boicottato alcune mie iniziative professionali sulle pagine della cronaca (iniziative che invece avevano paginate sui giornali nazionali, quindi qualcosa probabilmente valevano), come se tacere di un evento che può interessare ai lettori fosse uno sgarbo a me e non a chi quel giornale ancora coraggiosamente lo compra.
Non vi nascondo che la cosa mi ha addolorato perché credo di aver sempre anteposto il rispetto per il mestiere e per il diritto al lavoro alle normali critiche che si possono rivolgere a una testata giornalistica come a chiunque altro, che sia cronista o salumiere, magistrato o meccanico.

In Sicko di Michael Moore, documentario tosto sul sistema sanitario statunitense, il regista alla fine racconta la storia del suo principale detrattore, finito in difficoltà proprio per problemi di salute, che si vede recapitare una somma in denaro da un anonimo.
Nell’ottobre del 2020 qualcuno organizzò una colletta per supportare il comitato di redazione del Giornale di Sicilia in una difficilissima vertenza contro la nuova proprietà. Anche lì ci fu una donazione fatta da un tale, da uno che pareva non entrarci nulla, proprio per aiutare i suoi detrattori. Che ovviamente non ringraziarono mai. Ma questo, al netto della buona creanza, non conta.

Conta invece il motivo per cui oggi scrivo queste righe.
Perché ho ritrovato una lettera del dicembre 2003 scritta dal tenutario di questo blog all’allora condirettore del Giornale di Sicilia che aveva contestato l’eccessivo spazio (manco 60 righe) dato a un’iniziativa pubblica di Rifondazione Comunista contro una Commissione regionale antimafia sonnecchiante. Si parlava – udite udite – di Totò Cuffaro, allora presidente della Regione indagato per fatti di mafia e di Antonio Borzacchelli, uno che aveva un vissuto abbastanza complesso.
Insomma mi ero preso una cazziata dalla direzione per qualcosa che aveva a che fare con l’aria che si respirava e che ci avrebbe intossicato negli anni a venire (ma allora nessuno lo sapeva, c’erano solo una coscienza e un’etica professionale a guidarci, e sono cose che non vengono distribuite come i buoni pasto). Mentre io, in modo semplice e senza fare rivoluzioni, volevo respirare normalmente: insomma non volevo vivere intubato. Altro che eroismo, era roba di alveoli… Ognuno sceglie l’aria che si merita, in fondo.
Di lì a poco svuotai i cassetti e me ne andai per sempre: abbandonando un posto fisso e tuffandomi nel mare aperto dell’incertezza (non sono ricco di famiglia né avevo gli assi nella manica di molti miei colleghi, molto più lungimiranti di me, che venivano foraggiati da fior fiore di imprenditori molti dei quali, quelli più generosi, in odor di mafia). In più me ne sono sempre fregato di strumentalizzare accadimenti e convergenze astrali che sono stati la fortuna di chi era al posto giusto nel momento giusto a prescindere dal merito e dalla capacità professionale (su questo potrei scrivere un’enciclopedia e non è escluso che lo faccia quando troverò il tempo). Fregandomene li ho visti sfilare sulla passerella, onorati, riveriti, premiati, incensati. Parlo dei giornalisti, mica degli imprenditori. I giornalisti quando si mettono di impegno non sono secondi a nessuno per grottesco arrivismo, credetemi. Ma io, ormai, per incoscienza (e per culo) avevo preso nuove vie, avevo imparato a sbagliare da solo e mi inebriavo di una nuova vita da addentare con incosciente passione.
Comunque il preambolo è durato troppo.
Volevo dirvi che di questa lettera mi ero dimenticato per 19 anni, sino a oggi quando nel mettere ordine tra i miei files è venuta fuori.
Eccola.

Gli eventi degli ultimi tempi mi hanno indotto ad alcune riflessioni che ritengo importanti sul mio ruolo al Giornale di Sicilia.
Sabato 13 dicembre mi hai contestato verbalmente l’eccessivo spazio che, a tuo parere, abbiamo concesso alle polemiche sulla commissione antimafia regionale. Ne ho preso atto, nel rispetto dei ruoli, ma è mio diritto dissentire profondamente.
Ritenevo che la questione non fosse una roba che interessa “quattro o cinque persone”, alla luce dello spinoso caso Borzacchelli e dell’ancor più difficile caso Cuffaro. Ora, in una Regione in cui il presidente è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e in cui gli inestricabili circuiti del potere (politico, amministrativo, giudiziario) sono comunque chiamati dentro, non è per me facile muovermi senza regole chiare ed inequivoche.
Il ruolo e i passi della politica in quest’ambito (antimafia e dintorni) sono cruciali, si può registrarli o ignorarli. Farne trenta o cinquanta righe è un falso problema. L’iniziativa di Rifondazione comunista era, a mio parere, meritoria di attenzione: ho dato lo spazio che serviva per offrire al lettore cifre, dati, accuse, repliche, argomentazioni su un organismo al centro di forti polemiche in questi ultimi giorni (vedi Borzacchelli-Cuffaro). Si poteva registrarla o ignorarla.
Al di là di questo caso, la gestione delle notizie è, per quanto mi riguarda, ormai solo un mero esercizio di contabilità. Basterebbe una segretaria, perché sprecare denaro con un vice-caporedattore?
Il mio spazio di manovra è stato ridotto sempre più.
Ogni giorno il Giornale di Sicilia pubblica stralci, ampi e assolutamente sovradimensionati, di interviste ad assessori e politici (di schiacciante maggioranza polista) a Rgs. Ebbene, la maggior parte di questi titoli sono al futuro: “Faremo questo…”, “Ci impegneremo…”, “Risolveremo…”.
Questo, a mio parere, è il bla-bla politico. E sancisce, sempre più, un distacco, volontario e asservito, da ciò che non è allineato col governo regionale\provinciale\comunale.
Se così non fosse, vorrei capire come mai sabato scorso mi hai rimproverato di non esser stato informato preventivamente sulle 58 righe che riguardavano l’iniziativa di Rifondazione comunista (ampia replica compresa). Ogni giorno infatti l’intero giornale è intasato di “aperture” dove Cuffaro, i suoi assessori, Cammarata e compagnia bella dichiarano e promettono a più non posso. Eppure non credo che i colleghi dirigenti ti chiamino per informarti step by step sullo stato delle cose. Almeno io non lo faccio. La maggioranza di centrodestra dichiara, noi stampiamo. In automatico. E nulla mi è stato contestato, perché evidentemente piace così.
Mi è chiaro che la linea politica di un giornale la traccia il direttore, ma a questo punto ho bisogno di certezze.
Il fatto che la commissione regionale antimafia abbia fatto soltanto 13 sedute utili in due anni in una terra che non è Disneyland è una stupidaggine?
C’è stata una conferenza stampa, c’erano decine e decine di agenzie. Dovevamo ignorare l’avvenimento?
E potevamo farlo alla luce della nostra verifica sulla produttività dell’Ars?
C’è un caso giudiziario, l’ultima inchiesta su mafia e politica imbastita dalla Procura di Palermo, che rischia di esplodere con una potenza mica male. Lo dico molto chiaramente: il pericolo è che se scoppia una caldaia in quei palazzi, qualche mattonella viene giù anche da noi.
Il nostro cronista (…) vive in un clima di forte sovraesposizione. (…) è depositario di molti retroscena dell’inchiesta, ha letto verbali, ha proposto articoli e se li è visti bocciati o pesantemente emendati. Non entro nel merito della legittimità degli interventi voluti dal caporedattore centrale in persona di cui ho rispetto professionale.(…)

Update. Per un mio errore avevo sbagliato a digitare l’anno della lettera. La data corretta è dicembre 2003.