Andreotti, la mafia e il passo falso di Caselli

GIULIO-ANDREOTTI

Il motivo per cui Giulio Andreotti è morto essendosela fatta sostanzialmente franca dall’accusa di mafia è tutto nel titolo di un libro, edito nel 1995 da Tullio Pironti Editore: “La vera storia d’Italia”.
Il volume raccoglie l’atto d’accusa dei giudici di Palermo nei confronti di Andreotti e dà ampia testimonianza della pretenziosità del castello di indagini nel quale si voleva intrappolare il più potente uomo politico italiano.
Nello scrivere “la vera storia d’Italia” infatti ci si dimenticò, per foga o imperizia, di incardinare prove e testimonianze con una logica di stringente plausibilità e si badò più all’effetto che alla sostanza. Risultato: l’imputato fu assolto in primo grado addirittura perché il fatto non sussiste (solo in seguito si arrivò a dimostrare che almeno fino al 1980 era colpevole di aver aiutato Cosa Nostra, ma il reato era purtroppo prescritto). Continua a leggere Andreotti, la mafia e il passo falso di Caselli

La fretta è ottima consigliori

Il medico Sebastiano Bosio fu ucciso a Palermo da cosa nostra nel 1981. Oggi, nel 2012, dopo un tira e molla di archiviazione, riapertura, ri-archiviazione e ri-riapertura delle indagini, si scopre che l’arma che uccise il professionista fu usata per ammazzare altre due persone nel 1982.
Un passo alla volta, entro qualche decennio riusciremo ad arrivare al dito che premette il grilletto. Per un quadro completo delle indagini invece l’appuntamento è per fine secolo.
Si sa, la fretta è cattiva consigliera. Ma è ottima consigliori.

Il sindaco di un altro tempo

Il neo sindaco di Trapani, Vito Damiano, si presenta ai ragazzi della sua città dicendo che di mafia è meglio non parlarne più “perché le si dà importanza e poi i giovani si spaventano”.  Tipico caso di concetto imbottito di preconcetti.
Questo guardare oltre senza guardarsi dentro, questa debordante superficialità e questo discettare per assiomi sono atteggiamenti tristemente noti in Sicilia, e non da ieri. Negli anni Sessanta c’erano cardinali che negavamo l’esistenza della mafia mentre saltavano in aria le prime auto imbottite di esplosivo. Il modo più idoneo di fronteggiare cosa nostra era non parlarne: come quei bambini che chiudendo gli occhi credono di non esser più visti.
Il sindaco Damiano è un ex generale dei carabinieri ed è del Pdl, ha quindi tutte le carte in regola per parlare del fenomeno mafioso. Eppure sceglie di non farlo per non turbare i giovani.
Prima o poi qualcuno gli dovrà spiegare che il suo ruolo non è distribuire manciate di reticenza né sollevare calici di qualunquismo, ma gestire la realtà. Non i suoi confini.

Grillo, la mafia e qualche cazzata

Rapida dimostrazione del fatto che chi semina vento raccoglie tempesta.
Ieri Beppe Grillo a Palermo, ostentando un’antipatia stupida nei confronti dei cronisti che erano lì a interrogarlo, ha fatto un ragionamento complesso sulla mafia che tende a mantenere in vita le sue vittime in quanto fonti di reddito attraverso il pizzo. Argomento da prendere con le pinze, com’è giusto quando si parla di Cosa nostra in terra di Cosa nostra. La battuta è stata mal sintetizzata da siti e agenzie in un titolo di questo genere: “La mafia non strangola le sue vittime”. Che è una cazzata di proporzioni ciclopiche.
Superficialità giornalistiche a parte (molti Soloni tuonano dai loro divanetti in similpelle al solo tintinnar di catene antimafia), Grillo ha meritato questo trattamento frutto di superficialità e, diciamolo, anche di una certa incultura. Perché lui è il padre di ogni pregiudizio e sta mostrando di essere il migliore (o peggiore?) cultore dei luoghi comuni. I politici? Rubano tutti. I giornalisti? Peggio dei politici. Le tasse? Una rapina. E via dicendo.
Chi di giudizio sommario ferisce….
E’ un peccato però che ci vadano di mezzo i volenterosi cittadini del Movimento 5 stelle.

Alito cattivo

Ho ascoltato le intercettazioni dell’ultimo blitz antimafia di Palermo e, come immagino sia accaduto a molti di voi, sono rimasto colpito dalla distanza logico-temporale tra quei boss e il mio/nostro mondo. Nell’era della comunicazione globale, del progresso fermo all’ultimo passo prima del teletrasporto, della condivisione esasperata, c’è una fetta di popolazione (per fortuna piccola) che si esprime con lo stesso linguaggio di cent’anni fa, che vuol pesare sulla bilancia l’onore sbilenco della violenza e che pretende di seminare nel terreno del sottosviluppo. Continua a leggere Alito cattivo

Un signor fotografo

Foto di Roberto Gentile

Sapete chi è quest’uomo? Sbirciate alle sue spalle per trovare un indizio. Un altro aiuto: è un fotografo. E ha una bella storia da raccontare. Se volete la trovate qua.
Però domani ne parliamo qua.

 

I nemici di Falcone

Oggi a reti unificate con diPalermo.

Né il Paese né la magistratura né il potere, quale ne sia il segno politico, hanno saputo accettare le idee di Falcone, in vita, e più che comprenderle, in morte, se ne appropriano a piene mani, deformandole secondo la convenienza del momento.(…) Non c’è stato uomo la cui fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità. Eppure le cattedrali e i convegni, anno dopo anno, sono sempre affollati di “amici” che magari, con Falcone vivo, sono stati i burattinai o i burattini di qualche indegna campagna di calunnie e insinuazioni che lo ha colpito.

Ilda Boccassini in un’intervista del 2002 a Repubblica.

Il gradasso

C’è un vecchio sistema per stanare i gradassi, far loro domande.
Così quando uno dice che i magistrati sono come le Br, è utile chiedergli “tu che facevi quando i magistrati erano assassinati dalle Br?”. E magari suggerire la risposta: “Mi facevo proteggere dalla mafia”.
Oppure quando uno dice che il referendum sul nucleare è stato aggirato proprio per non far votare la popolazione sul nucleare, è utile chiedergli “tu te la faresti costruire una centrale atomica davanti casa?”. E magari suggerire la risposta: “Certo ad Antigua”.

Il perdono impossibile

Il pentito Gaspare Spatuzza chiede perdono per il più atroce degli atroci delitti di Cosa Nostra: l’uccisione di un bambino, Giuseppe Di Matteo. Non sono padre, non parlo quindi col cuore di genitore, però davanti alle belve che hanno tenuto sotto sequestro per 779 giorni un dodicenne e poi lo hanno strangolato e sciolto nell’acido, la parola perdono è proprio l’unica che non mi viene. E non sono il solo, per fortuna.

Il boss in trappola

L’arresto a Palermo del boss Francesco Di Fresco.

Immagini di Daniela Groppuso.