“D’Urso, Carfagna, Yespica, Rodriguez e altre che non ricordo…”

D'Urso, Carfagna, Yespica che si masturbavano

La testimonianza di Ruby, ovvero Karima El Mahroug, inserita nelle motivazioni della sentenza di primo grado che condanna Silvio Berlusconi a sette anni per concussione e prostituzione minorile.

AGGIORNAMENTO. Barbara D’Urso ha diffuso questa nota in cui dichiara la sua estraneità rispetto al Rubygate.

Sempre telefonate erano

E’ bastato guardare La7 stasera per avere conferma dell’insana attenzione che il Pdl militante ha nei confronti del ministro Cancellieri. Prima Renato Brunetta a Otto e mezzo e poi la Gelmini a Piazza pulita hanno svelato l’arcano che tanto arcano non era: ma sì, è chiaro che la telefonata dell’improvvido ministro per il caso Ligresti è esattamente sovrapponibile a quella di Berlusconi per il caso Ruby, hanno detto i due esponenti del centrodestra. Un ragionamento demolibile sotto vari aspetti (quello giuridico, quello di opportunità, quello politico, quello etico, quello legato alla mera plausibilità). Solo un ambito è rimasto inattaccabile, inscalfibile e indiscutibile: quello umoristico. Lo si è capito quando, al termine di un’escalation di scemenze su Mubarak, la misericordia e l’atto umanitario di un leader, l’inopinato ex ministro Gelmini ha pronunciato queste memorabili parole: “Ligresti o Ruby, in fondo sempre telefonate erano”. Purtroppo nessuno ha riso.

 

Uguale uguale

ruby

A Silvio

silvio berlusconi condannato

Silvio, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieto e pensoso, il limitare
di gioventù salivi?

Faceva l’amore non la guerra

la guerra dei vent'anni ruby berlusconi

Quindi la “Guerra dei vent’anni” era tutta una questione di sesso. Almeno così sembra, a dar retta all’imbarazzante ricostruzione fatta ieri da Canale 5 dei disastri giudiziari di Silvio Berlusconi.
Il programma di un irriconoscibile Andrea Pamparana ha infatti presentato uno spaccato molto personalizzato delle vicende giudiziarie dell’ex premier: accuse e accusatori inconsistenti (si attendeva una rivelazione sui calzini della Boccassini), telecamere ammesse nei luoghi eleganti delle cene eleganti, Ghedini sbrodolante, Ruby monastica, Silvio consolante.
L’alibi era solido (quello della rete, non quello dell’imputato): Canale 5 è privato quindi non scassateci la minchia e cambiate canale se non vi va. Come se il conflitto di interessi e la questione delle concentrazioni editoriali fossero acqua fresca.
“La guerra dei vent’anni” ci ha raccontato una fiction travestita da cronaca, perché è facile ricostruire la realtà con l’audio originale delle deposizioni in un’aula di giustizia: basta saper lavorare di forbice e di montaggio.
Per il resto, un concentrato di omissioni, ammiccamenti, falsità che spero finiranno in un dossier dell’ordine dei giornalisti. Mai un intervistatore che non fosse genuflesso, mai un accenno alla singolarità di un procedimento in cui l’imputato stipendia regolarmente i testimoni, mai un riferimento ai famosi vent’anni del titolo (la corruzione, l’ombra della mafia, i fondi neri, eccetera). A un certo punto la giornalista che reggeva il gioco a Ruby ha abbozzato una domanda premettendo: “Scusa se te lo chiedo…”. E lì si è capito tutto: brutta cosa quando per portare a casa uno stipendio si sceglie di vendersi.

La più marocchina di tutte le egiziane

Ruby Rubacuori protesta a Milano

Riassumendo. C’era una ragazza marocchina che la sera del 27 maggio 2010 era stata accompagnata in questura in quanto sospettata di furto e senza documenti addosso. La ragazza era minorenne e abitava a casa di una prostituta brasiliana, la quale quella sera pensò bene di chiamare l’allora presidente del consiglio per avvertirlo dell’increscioso contrattempo. Questi non esitò un attimo, una minorenne che vive con una prostituta va aiutata comunque, specie se – come lui stesso disse – si tratta della nipote di Mubarak, e telefonò subito al capo di gabinetto della questura per chiedere che la ragazza fosse affidata a una consigliera regionale anziché, come prevede la legge, a una comunità per minorenni. Così avvenne e la giovane sfortunata finì tra le braccia della premurosa esponente politica.
Sette mesi dopo l’ex presidente del consiglio finì indagato dalla procura di Milano per concussione, per aver approfittato della sua carica di premier per esercitare una pressione indebita sui funzionari della questura al fine di coprire il reato di prostituzione minorile: la ragazza sfortunata infatti non era sconosciuta all’allora premier poiché avrebbe partecipato, con l’esponente politica premurosa, ai festini che si svolgevano nella famosa villa dell’illustre politico. Non gratis, s’intende.
Il 15 febbraio del 2011 l’ex premier venne rinviato a giudizio. Se esistesse il reato di eccesso di panzane sarebbe stato costretto a dichiararsi colpevole, ma siccome proprio quel reato nei codici non c’è, il premier pochi mesi dopo fece approvare alla Camera e al Senato un conflitto di attribuzione in cui si sanciva che la ragazza sfortunata era la nipote di Mubarak pur non essendolo e pur essendo marocchina e non egiziana.
Il 3 ottobre 2011 nello stesso filone di inchiesta vennero rinviati a giudizio la caritatevole consigliera regionale, il direttore del TG4 e un importante talent scout. La accuse: induzione e favoreggiamento della prostituzione minorile.
Riassumendo, ieri la sfortunata ragazza marocchina – sospettata di furto, favorita da un premier, indicata dai magistrati come prostituta, partecipante a notti magiche non a titolo gratuito, oggi animatrice di serate in discoteca non a titolo gratuito e personaggio di copertina non a titolo gratuito – ha inscenato una protesta davanti al palazzo di giustizia di Milano prendendosela coi giudici e con la stampa che la violenta. Probabilmente perché non pagano.

Kant, l’Ilva e la quinta di reggiseno

Alla fine, quello che sta emergendo è che c’era questo illuminato signore, miliardario e potente, con un Paese sulle spalle e una tremenda voglia di fare e distribuire.
Costui organizzava serate con decine di giovani belle e pettorute che avevano una sola pulsione: sapere, apprendere, imparare.
Si parlava di filosofia, in questo cenacolo di intellettuali: lui, Lele Mora, Emilio Fede.
E’ tutto scritto nei verbali di un processo ingiusto, orchestrato da chi vorrebbe mettere alla forca questo benefattore. Perché lui solo bene faceva, ci aveva pure costruito su un progetto politico: ricordate il partito dell’amore?
Assisteva giovani sbandate che dimenticavano le mutandine a casa, dava una mano a povere modelle senza fortuna, pagava gli studi a ex gieffine, assumeva soubrette disoccupate (senza tuttavia dar loro la pena di lavorare). C’era per tutte, a qualsiasi ora del giorno e della notte.
E’ un peccato che non si sia trovato nessuno all’Ilva con una quinta di reggiseno e con un briciolo di passione per Kant.

E se Ruby facesse la fame?

Ruby, foto da Novella 2000

Ruby Rubacuori è stata sorpresa da Novella 2000 mentre faceva shopping dalle parti di via Montenapoleone, a Milano, in negozi come Hermes e Louis Vuitton. Nel bene (invisibile) e nel male (evidente), la signorina è un’immagine emblematica della disparità in cui sta annegando questo Paese. Perché nessuno si sentirebbe meglio se Ruby facesse la fame o avesse continuato a vivere di espedienti più o meno legali, come faceva sino a qualche anno fa prima dell’incontro col Sommo Benefattore, però molti tirerebbero un sospiro di sollievo se ci fosse un’altra, qualsiasi altra estranea al circo delle Olgettine, al posto suo.

Non è una mosca

Viviamo tempi in cui non si distingue l’ottusità dalla lungimiranza. C’è chi fa finta di mollare tutto per scelta, quando invece il suo passo indietro nasconde una precisa volontà di fuga, e chi cerca di ricostruirsi una verginità senza aver memoria di una verginità.
In questi casi, quando cioè chi vive in modo angusto la realtà vuole spacciarsi per uno che pensa in grande, vale sempre la massima di Alexander Pope: “Perché l’uomo non ha una visione microscopica? Per questa semplice ragione, non è una mosca”.

Verissimo, anzi falsissimo

Sabato pomeriggio in un programma di Canale 5 che, ironia della sorte, si chiama Verissimo è andata in onda la finta intervista a Lele Mora. L’ex agente delle dive, bancarottiere reo confesso con sentenza di condanna passata in giudicato e soprattutto coinvolto nello scandalo Ruby, è stato presentato come un uomo dimesso che sì ha fatto qualche marachella ma che è nei guai solo per l’invidia di qualcuno.
Se non ci fossero di mezzo giornalisti professionisti pagati per imbastire queste scenette da avanspettacolo (anche se l’avanspettacolo è una cosa seria) ci sarebbe da alzare le spalle e rifugiarsi dietro l’amara constatazione che sempre della televisione di Berlusconi si tratta. Se la conduttrice di Verissimo, Silvia Toffanin, non fosse la nuora di Berlusconi ci sarebbe da stupirsi. Se Lele Mora non fosse indagato per favoreggiamento della prostituzione insieme con Berlusconi ci sarebbe da rimanere allibiti. E se nella scheda introduttiva e nell’intera intervista (a parte un lieve accenno della costernata Toffanin) non si fosse mai fatto cenno al processo che si svolge a Milano sulla vicenda della “nipote di Mubarak” ci sarebbe da urlare.
Invece è così. Naturalmente così. E non c’è da stupirsi se nessuno si stupisce più. I telespettatori si sorbiscono la pantomima del pover’uomo dimagrito e piegato da una giustizia cattiva. L’ordine dei giornalisti non batte ciglio davanti alla spudorata messinscena di Silvia Toffanin. I giornali preferiscono occuparsi d’altro, delle ragadi politiche di Bersani o della ruga di espressione di Renzi.
Tutti incantati davanti a quell’ometto che in tv, parafrasando Corona, sussurra:”Una volta non perdonavo, ora perdono tutti”. E che ha deciso di non farsi più chiamare Lele, ma Gabriele.
Come l’arcangelo.

P.S.
L’altra ospite del programma era Barbara D’Urso, teste della difesa di Silvio Berlusconi al processo Ruby.