Su froci e finocchi

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“Frocio” e “finocchio” sono offese disgustose non per la connotazione omofoba che inequivocabilmente si portano appresso, quanto per il nauseante equivoco che ingenerano: e cioè che una condizione sessuale possa essere usata come parolaccia, come argomento contundente. Maurizio Sarri ha tempo di chiedere scusa a Roberto Mancini, ma difficilmente troverà il bandolo di quella lurida matassa di pensieri che hanno ispirato un simile exploit.
Sono un gran consumatore di parolacce, purtroppo. Ne ho di adatte a ogni situazione, sono ben fornito a ogni latitudine dell’incazzatura.
Ho quelle da automobile (terribili), quelle da stadio (pittoresche), quelle da litigio tra amici (teatralmente volgari), quelle familiari (oggetto di sempiterno pentimento). Ho persino un carnet di schifezze per mio esclusivo uso personale: lo utilizzo quando sono solo e fortemente arrabbiato. Roba indicibile, di cui spesso mi vergogno. Ma chi non cede ogni tanto all’ira scagli la prima sconcezza.
Eppure “frocio” e “finocchio” è come se non appartenessero alla mia cultura, non perché me la tocchi con la pinzetta (anche) in tema di volgarità, ma perché non mi sembrano epiteti efficaci. Frocio è per me un aggettivo scanzonato come l’uso che ne fa Vladimir Luxuria ogni mattina su Radio Capital quando propone il “disco frocio”, cioè un brano caciarone dove i primi a “fare i froci” sono gli eterosessuali (e “fare i froci” è qui inteso nel senso che avete ben capito: esagerare le movenze, ballare spensieratamente, ridere sulla libertà dei sensi). Finocchio è ben altro: un ortaggio ottimo tagliato a fettine sottili e condito con olio sale, senape e grani di pepe nero.
Il vero problema è Maurizio Sarri, anzi il Maurizio Sarri che è in molti di noi. Il residuato bellico di un grottesco machismo mussoliniano, potente per caso, abile cancellatore di passi fatti. Uno che pensa come parla e non pensa a come parla. Magari vincerà il Campionato di serie A. Di certo quello delle minchiate.

Date a Cesaro quel che…

Camorrista o no, il deputato del Pdl ed ex presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro è la rappresentazione più luminosa, esplicita e inequivoca dell’eccezionalità della politica italiana. I giudici ne hanno chiesto l’arresto per appalti sospetti ad aziende legate a quei galantuomini dei casalesi, ma non è questo a destare stupore e/o indignazione. L’atroce rovello che divora noi comuni mortali, non camorristi non raccomandati non scodinzolanti non corrotti non furbastri, è concentrato tutto in un dubbio: come ha fatto Totò a imitarlo con mezzo secolo di anticipo?

L’Italia carogna di Genny ‘a carogna

Jenny a carogna

Funziona così in un paese che si fa forte coi deboli e che lecca gli stivali agli arroganti. Uno, un giocatore, un funzionario pubblico, va a trattare con un delinquente per far sì che una partita di calcio possa iniziare, che gli ostaggi di uno stadio – che rappresentano una nazione intera – possano riprendere a respirare. Inutile dire che dovremo aspettare un’altra vita, giacché non c’è più speranza in questa, per provare l’emozione di vivere in un mondo ben sincronizzato, in cui se gli ultras di una squadra mettono a ferro e fuoco uno stadio e addirittura una città, non solo la partita non si gioca, ma la squadra se ne va a raccogliere margherite per qualche anno.
I discorsi alla melassa secondo i quali la moltitudine onesta non può pagare le colpe di un ristretto gruppo di monellacci dovrebbero valere non per i tifosi di quella squadra – che ha comunque una singolare concentrazione di malavitosi tra le sue file – ma per i cittadini di una nazione che non possono soggiacere ai desiderata di Genny ‘a carogna, uno che ha già un nickname lombrosiano.
In Italia lo Stato, o chi per lui, è sempre pronto a trattare per un oggetto misterioso che resta segreto ma che ha la forma della codardia. Che si tratti di mafia, di calcio, di agibilità politica, di mandanti occulti, di tritolo o di bombe carta, arriva puntuale un emissario in giacca e cravatta, o in calzoncini, o in divisa, pronto a stipulare patti da cui emerge una sola certezza: l’onesto sarà sempre un poveraccio che non conta un cazzo. Per tutto il resto basta rivolgersi a un galantuomo che si mostra al mondo con una maglietta che inneggia all’assassino di un poliziotto onesto.

Caro Enzo Avitabile, quanto è bella “Dolce sweet M”…

Enzo Avitabile

Conobbi Enzo Avitabile ai primi degli anni Ottanta, lavoravo alla radio e lui venne a promuovere uno dei suoi primi album da solista, credo fosse “Meglio Soul”.
Tra noi scattò un’estemporanea amicizia, ci scambiammo qualche lettera, qualche telefonata. Lui stava scalando il mondo della musica italiana, che in quel periodo aveva in Napoli il suo baricentro. Io ero un giovane giornalista appassionato di musica e strapazzavo la mia Fender Stratocaster in un paio di rock band di Palermo.
Ogni volta che Enzo Avitabile veniva in città, io lo andavo a trovare, ascoltavo la sua musica e rimanevo incantato dalla sua capacità di coniugare la magia del soul con la gradevolezza un po’ ruffiana della canzonetta.
Un giorno il Giornale di Sicilia, del quale ero diventato critico musicale, mi mandò a recensire un suo concerto. Ero felice.
Ma lo spettacolo fu un disastro, non so che problemi avesse Avitabile: cantò male, il gruppo era slegato, l’amplificazione disastrosa. Ovviamente lo scrissi nella mia cronaca, seppur con la morte nel cuore.
Da quel giorno lui mi tolse il saluto, mi mandò a dire le peggiori cose, un comune conoscente mi incontrò per strada e quasi mi alzò le mani. Fine dell’estemporanea amicizia.
Ieri ho acquistato una raccolta di vecchi brani di Enzo Avitabile e mi è venuta alla mente questa storia.
Lui oggi ha il successo che merita, addirittura Jonathan Demme gli ha cucito addosso un docu-film che racconta la sua musica. Ho visto qualche intervista in tv e su internet e ho trovato un musicista maturo, solido e ben più sereno di trent’anni fa.
Ieri, mentre ascoltavo la sua “Un amico”, ho pensato che dovevo mettere nero su bianco un concetto elementare: non serve l’amicizia per giudicare un artista, serve solo la libertà di poterlo criticare quando sbaglia e di lodarlo quando lo merita. Tutto qui.

P.S.
Enzo, ma quanto è bella “Dolce sweet M”…

 

Ho scoperto chi mi uccise sul web, e mi viene da ridere

wikipedia

Ci sono voluti più di due anni, ma alla fine le indagini hanno prodotto un risultato. E’ stato identificato il killer mediatico che nel gennaio 2011 mi uccise sul web: ora è indagato per diffamazione. Un sicario scarso e alquanto stupido dato che la mia resurrezione avvenne entro poche ore e che le tracce da lui lasciate erano imbarazzanti proprio perché si tratta di una persona che per mestiere si occupa di web (non vorrei essere nei panni dei suoi clienti).
Come si intuì subito, costui aveva qualcosa in comune con una graziosa esponente del Pdl campano di cui avevo garbatamente parlato qualche mese prima. Ieri, dopo che il mio avvocato mi ha comunicato il nome dell’indagato (come da mio diritto), sono bastate un paio di ricerche sul web per capire chi è questo personaggio. Di più, al momento non posso dire. Però prometto di raccontarvela tutta, la storia, non appena gli atti saranno resi pubblici: ci sarà da divertirsi, ve lo assicuro.

Una notizia appena giunta…

Ora tutti addosso al giornalista Giampiero Amandola, il collega che ha detto in un servizio del tgr Piemonte: “I napoletani li riconosci dalla puzza”. Ed è facile massacrarlo perché nulla è più semplice che sparare su un bersaglio bene in vista. Questo Amandola è, incontrovertibilmente, di un’imbecillità professionale da record e, a parte uno sciagurato comunicato del cdr che cita la fretta come concausa dell’incidente (fretta di che? di montare un servizio di cazzate da prepartita?), impersona il totem dell’informazione pubblica in Italia: sciatta, senza controllo, data in mano a chi non ha i meriti. Perché, diciamolo, il suo non è un incidente di percorso, ma la prova evidente di un’imperizia da licenziamento.
Nel panorama dell’editoria italiana, alle prese con tagli spaventosi, la Rai è un eden. Chi vuole, lavora. Chi non vuole, sta da parte: c’è sempre una ricollocazione ad hoc. Chi non lecca, non cresce: infatti i migliori sono tutti messi da parte. Chi lecca, gode: infatti i peggiori sono sempre in video e sempre sorridenti. Basta accendere un qualsiasi tgr (di Tg1, Tg2 eccetera sappiamo fin troppo, lì siamo nell’Olimpo delle minchiate) per prendere le misure di un mondo irreale.
Quando lavoravo al giornale, coi miei colleghi ci divertivamo a misurare l’aderenza all’attualità del tgr del pomeriggio. Spesso nei titoli mancava la notizia principale che nel corso dell’edizione il conduttore introduceva immancabilmente così: “Una notizia appena giunta in redazione…”. Bastava dare un’occhiata alle agenzie e guardare l’orario: era almeno di un paio di ore prima.

Pare

Pare che tra le carte dei pm napoletani coperte ancora da segreto ci sia un’intercettazione del premier che ha qualcosa a che fare con le dimissioni di Jürgen Stark dalla Banca centrale europea. E non è nulla che riguardi i titoli di Stato o l’economia in genere. Pare.

DalLavitola in giù

Quando non hai i soldi la gente non ti calcola più. Quando li avevamo, avevamo i centralini telefonici eravamo invitati ovunque e tutti ci volevano, quando siamo caduti in disgrazia a noi la gente non ci guardava più in faccia… lo dissi al Presidente, “sono stanca”… Io mi sono dovuta vendere tutto, dai vestiti, gioielli, orologi, borse…

Così Angela Devenuto in Tarantini spiega la sua caduta in disgrazia ai magistrati di Napoli. E’ l’ormai celebre interrogatorio in cui la signora, agli arresti, afferma che è molto difficile per lei campare con “soli” ventimila euro al mese. E in cui si manifesta in modo completo la storta filosofia del tarantinismo: io sono quel che guadagno, non importa come e perché.
La Devenuto in Tarantini è addolorata per il voltafaccia della “gente” che seguiva la sua scia di denaro, che sfilava elegante alle sue cene pantagrueliche, che ammirava i suoi gioelli. E in questo tragico risveglio c’è tutto il limite culturale, l’illogica concatenazione di concetti di un modo di vivere che ha nel sotto vuoto spinto il migliore contenuto. La vita imbastita di cose non nostre è come una scultura di ghiaccio, appena cambia il clima si trasforma, si appella alla materia primordiale, che sia fango o acqua. Se esistesse il brevetto della felicità l’invenzione non sarebbe di un miliardario, ma del suo opposto che vive di quello che ha, senza sprecare energie nel chiedere, ma godendo nell’ottenere. Del resto chiunque (o quasi) sa che per aumentare il livello di serenità basta incrementare il tasso di indipendenza.
Soldi disgraziati, amicizie interessate: cosa ci si aspetta da un mercato delle frequentazioni drogato dalla insana pulsione di essere tutto tranne che se stessi?
A tutti piace il denaro, però non tutti hanno disprezzo del denaro quanto chi non ha mai sudato per ottenerlo. La Devenuto in Tarantini  cade in crisi quando il sistema si è rimesso in equilibrio, azzerando i rapporti falsi e le complicità innaturali. Il mondo vero è quello in cui lei sta male, e il suo meravigliarsi è in fondo un risvegliarsi.
DalLavitola in giù ci sono solo incubi.

 

Lasciate stare Sara Tommasi

«Il mio lavoro mi porta a contatto con un certo ambiente e con personaggi del calibro di Berlusconi, Gheddafi, Putin. Non mi pento di niente, cosa avrei dovuto fare? Non lavorare nello spettacolo?».
Corriere, 9 febbraio

«Il mio problema è un impulso insopprimibile a fare sesso. Ma non sono una prostituta. È che mi sciolgono la droga nei bicchieri… Certo, se un ministro mi offrisse 15mila euro… ma è solo un’ipotesi».
Novella 2000 di questa settimana

“Riprendi subito Ron (Ronaldinho, ndr) nella tua squadra di m… o ti faccio escludere da Obama dai Grandi del mondo”.
Sms inviato a Berlusconi il 15 gennaio 2011

Le tre frasi appartengono alla starlette Sara Tommasi, una che in un qualsiasi altro Paese sarebbe rimasta a fare l’aspirante velina, modella, attrice, miss, in attesa di un momento buono, di un’ispirazione o chissà di una immancabile spintarella da parte del produttore bavoso e maneggione, e che invece è diventata un elemento chiave dell’iniziativa giudiziaria contro Silvio Berlusconi.
Nelle intercettazioni della signorina Tommasi c’è tutto e l’abbozzo di tutto, come del resto nelle sue impervie dichiarazioni alla stampa. Il suo sms su Obama e Ronaldinho passerà alla storia come la cazzata più solenne della storia moderna, dopo il voto della Camera su “Ruby nipote di Mubarak”. Una di quelle frasi che gli scrittori vorrebbero mettere nei libri se il pudore di dover tramandare qualcosa ad anime innocenti non fosse un’umana barriera contro l’imbarbarimento dei tempi da narrare.
Perché Sara Tommasi è – diciamolo – una testimone impresentabile. Una che cita il presidente degli Usa e un calciatore famoso con la stessa disinvoltura con la quale manda a fare in culo un premier che, probabilmente, non l’ha mai calcolata più di quel che gli serviva. Una che si credeva al centro di un mondo che non la comprendeva. Una che probabilmente ha perso la luce della logica nel buio della personale delusione.
La Tommasi non è e non potrà mai essere una vera teste d’accusa contro Berlusconi, ma al contrario sarà l’appiglio ideale per i suoi difensori: disordinata, incoerente, pacchiana, esagerata. Una di quelle che sa le cose perché gliele ha dette suo cuggino… E che si vanta di amicizie tanto fantasmagoriche quanto ridicole. Sara Tommasi si sente una first lady tradita, e sembra non aver contezza di non essere first, di non essere lady e di non essere nemmeno tradita (il tradimento si riserva alle persone che hanno un peso oggettivo).
Se fossi un magistrato non mi sognerei nemmeno di valutare i verbali di una persona con un simile disordine interiore. Al limite girerei tutto al suo medico curante.

Grazie alla Contessa.

E’ la politica, bellezza

Si lavora alla nuova giunta di centrodestra della Campania.
Stando alle indiscrezioni del Corriere del Mezzogiorno, le papabili per un posto di assessore sono:

Giovanna Del Giudice, ex meteorina (quattro puntate) del Tg4;

Emanuela Romano, presidente del comitato “Silvio ci manchi” da lei fondato nel 2006. Nel suo sito spicca la qualifica di dott.ssa (è laureata in Psicologia, ma soprattutto ha fatto un bel master a Publitalia) e nulla si dice, con grande modestia, del notevole titolo di Miss Deborah Campania 1998;

Maria Elena Valanzano, giovane avvocato, ma soprattutto sorella di…

…Benedetta Valanzano, “star di Ballando sotto le stelle”, come recitano le cronache locali.

A Mara Carfagna, ministro per le Pari opportunità e candidata più votata in assoluto alle recenti regionali,  è affidata la regia politica delle operazioni.

Uè, è tutto vero!