Let’s tweet again / 2

Da Twitter, ieri

ViaFede, sequestrato l’oro diGheddafi,Lusi promette “restituisco tutto”. Insomma abbiamo risolto il problema del Pil in poche ore.

@NavePirata: Neanche i sofficini sorridono più

Dopo Fede c’è Toti. Dalla stampa alle stampelle.

@Scandura: Ciancimino Jr ha fatto una dichiarazione di voto a favore di Orlando. Voterà con la fotocopia dell’originale in fotocopia

Da tifoso del Palermo: ma chi glielo doveva dire a Nocerino che avrebbe giocato contro il Barcellona?

@stanzaselvaggia: Comunque Twitter dà indicazioni fumose. Mi suggerisce di seguire la Santanchè senza specificare con quale modello di balestra.

A tutti i giornalisti! Propongo di eliminare le frasi “tormentone sul web” o “sul web impazza”: sanno di deresponsabilizzazione.

Detonazioni

Alla fine si scoprirà che erano più detonanti i legumi di Aiello rispetto ai candelotti di Ciancimino: questione di pancia.

Meno male che è un istituto religioso

Pare che un istituto religioso abbia rifiutato l’iscrizione a scuola al figlio di Massimo Ciancimino. E’ una porcata, e non c’è bisogno di scomodare i luoghi comuni sulle colpe dei padri, dei nonni, dei figli, eccetera.

Quello che Minzolini non vi ha detto

Dubito che tra i lettori di questo blog ci siano persone che usano come fonte esclusiva di informazione il Tg1 (neanche a Palazzo Grazioli se ne trovano, dato che lì si ci si intrattiene anche davanti al Tg4 e a Studio Aperto), però è bene essere prudenti e raccontare brevemente quello che il direttore del Tg1 Augusto Minzolini non ha detto ieri e, poltrona natural durante, non dirà mai.

Dell’Utri non è stato assolto, ma condannato in appello a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Reato grave.

I giudici hanno ritenuto provato che il senatore del Pdl ha intrattenuto stretti rapporti con la mafia di Stefano Bontade e con gli uomini di Totò Riina e di Bernardo Provenzano, criminali sanguinari.

Stando così le cose, Dell’Utri potrebbe scontare almeno due anni di carcere veri. Cioè in cella: sbarre e sole a scacchi.

La testimonianza di Massimo Ciancimino, che avrebbe affossato il senatore, non è stata accettata dalla Corte d’Appello perché il figlio dell’ex sindaco mafioso non è stato reputato attendibile. Peccato che il Tribunale di Palermo, nella sentenza contro l’ex deputato di Forza Italia Giovanni Mercadante, lo abbia giudicato in modo diametralmente opposto.

Uno degli accusatori di Marcello Dell’Utri, il pentito Gaspare Spatuzza, ha motivo di temere più lo Stato che la mafia. Infatti se Cosa nostra gliel’ha giurata per motivi, per così dire, fisiologici (uno che tradisce gli uomini d’onore non può sperare nell’applauso dei suoi correi), il governo italiano ha deciso che costui non merita la protezione e che quindi può essere ammazzato tranquillamente. Motivo ufficiale: non ha rispettato il limite dei 180 giorni per dire tutto quello che sa. Scempiaggine colossale per chi conosce la legge, come i procuratori e i magistrati che hanno richiesto la sua protezione. (Nota: non ho alcuna simpatia per Spatuzza e per gli ex mafiosi, però ne ho ancora di meno per i delinquenti ancora in corsa, in carriera)

Lo Stato, mai come prima, ha fatto pressioni inaudite su questo processo. Basti pensare alla porta sbattuta in faccia dal governo a Spatuzza. Governo il cui premier – non è un dettaglio – è accusato dallo stesso Spatuzza.
Cos’è questo se non un conflittone di interessoni?

Uno che dice di un mafioso conclamato “per me è un eroe” va internato. Uno che lo ripete a distanza di mesi va chiuso in galera. Se poi è un parlamentare, in cella ci deve finire a calcioni. E i primi a darglieli dovrebbero essere i suoi compagni di partito.

Nel nome di Ciancimino

Mi ha colpito quello che ha detto Massimo Ciancimino, ospite ad Annozero. “Voglio cambiare quella bellissima frase ‘meglio un giorno da Borsellino che cento da Ciancimino”, in ‘…che cento da Vito Ciancimino'”.

Lasciate che Ciancimino parli

Non capisco le perplessità, spesso strumentali, davanti alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino.
I magistrati ascoltano mafiosi, strangolatori di bambini, stragisti e non dovrebbero prestare attenzione alla testimonianza di chi la mafia l’ha conosciuta per via della famiglia biologica?
Chiedere prudenza ai pubblici ministeri è come ricordare all’autista di un pullman di tenere le mani sullo sterzo mentre guida in una strada di montagna.
Massimo Ciancimino ha tutti i numeri per essere considerato un testimone interessante. Se poi sia anche interessato, sarà compito dei giudici scoprirlo.
La verità non è frutto della spremitura, ma della distillazione.

Chi posta la risposta

La responsabilità della risposta di Massimo Ciancimino a Gianfranco Micciché rimbalza come una pallina di ping pong tra un blog e l’altro. Il figlio dell’ex sindaco infatti ha postato in origine su Blogsicilia. Poi un commentatore ha copiato la risposta sul blog di Micciché. Ma Live Sicilia, che pure  ha più di una connessione col circuito di Blogsicilia, ha ignorato il primo passaggio attribuendo solo al blog di Miccichè il diritto originario di ospitalità della replica di Ciancimino. Suscitando qualche nervosismo.

Ciancimino, Alfano e la Palermo che non vuol vedere


Quanto dista il tutto dal suo contrario? C’è un sistema di sicurezza che ci garantisce, anche a futura memoria, dalle frequentazioni sbagliate?
Queste domande possono sembrare criptiche e soprattutto slegate l’una dall’altra. In realtà così non è, almeno per il caso che andiamo a esaminare.

Massimo Ciancimino sta fornendo ai giudici la sua versione sui rapporti tra il padre, ex sindaco di Palermo condannato per mafia, e pezzi dello Stato. Sta riportando frasi e documenti del genitore che proverebbero rapporti (di dipendenza? di causalità? di connivenza?) tra i vertici di Cosa Nostra e quelli di Forza Italia.
Il ministro della Giustizia Angelino Alfano bolla come scempiaggini le parole di Ciancimino e sciorina tutti i provvedimenti del governo, presente e passato, contro i boss. Insomma offre l’assist al premier che descrive il figlio dell’ex sindaco mafioso come un “ciarlatano”.
Questa è la spremuta della cronaca. Un concentrato estremo di quello che tutti dicono, scrivono, leggono.
Ma c’è dell’altro su cui sarebbe bene riflettere.
Massimo Ciancimino e Angelino Alfano sono, o sono stati, distanti fisicamente meno di quanto si possa pensare e sono la dimostrazione di come il tutto e il suo contrario possano sfiorarsi. Di come le frequentazioni, pur rimanendo nella sfera delle responsabilità personali, non hanno un certificato di garanzia universalmente valido.
Sono entrambi addendi della borghesia siciliana, anzi palermitana (pur essendo Alfano agrigentino), con qualche amico in comune. I due hanno frequentato gli stessi ambienti e condiviso i salotti di concittadini illustri (magari senza incrociarsi). Ciò non prova nulla, né costituisce appiglio per nessuna speculazione giudiziaria. Anche perché le persone che si frappongono tra l’uno e l’altro sono, per usare un termine trito ma comprensibile a tutti, perbene. Gente onesta, comunque.
Ve la porgo in positivo, per essere chiaro. Ciancimino e Alfano pur battendosi da opposte barricate, incarnano unitariamente un principio calpestato negli anni della emergenza mafiosa: quello secondo il quale non può esistere il reato di conoscenza; quello per cui i ruoli del divenire non combaciano matematicamente con i flash del passato.
Conosco Massimo Ciancimino – siamo stati compagni di classe molti anni fa – conosco anche i suoi fratelli e sua sorella e, pur restando fermo nelle mie posizioni antimafia, sono interessato senza pregiudizi alle sue deposizioni. Anche se mi sono fatto un’idea.
Non conosco Angelino Alfano – è più giovane di me – conosco i suoi atti, la politica dello schieramento di cui fa parte e, pur tra mille perplessità, sono ansioso (con qualche preoccupazione) di vedere dove porterà la sua azione di governo. Anche se mi sono fatto un’idea.
Conosco i palermitani, conosco una certa superficialità nel rinnegare frettolosamente passi di cui magari c’è da spiegare qualcosa, e una certa facilità nel condannare chi ammette di poter spiegare senza esitazioni.  L’allergia al giunco che si rialza, che sia Ciancimino o un imprenditore probo, nella città che sbuffava per le sirene di Falcone e che vota a destra quasi di nascosto è un dramma antico. Qui il migliore giudizio è purtroppo sommario perché il tempo per quello ponderato è intollerabilmente lungo: le voci corrono, le dicerie si inseguono e per i fatti c’è troppo da aspettare.
Ciancimino e Alfano potrebbero essere un paradigma di nemici vicini, navi nella stessa bottiglia, come nella vita può accadere. Invece nessuno ci pensa o si sogna di raccontarli così.
Molto più comodo collocarli lontani: l’uno nella Palermo dei veleni, magari somministrati da pm stregoni; l’altro nella Roma gagliarda, periferia di Arcore, capitale di Berluscolandia.
Una finta distanza. Un’occasione sprecata per misurare con precisione quanti passi ci sono tra il tutto e il suo contrario