Io, pittore in una città che non mi vuole

"Cappuccino italiano sulla rambla", illustrazione di Gianni Allegra
"Cappuccino italiano sulla rambla", illustrazione di Gianni Allegra

di Gianni Allegra

Sapevo che avrei fatto il disegnatore di fumetti già da piccolo. Ma il primo devastante colpo ai miei sogni di gloria lo sferrò un bambino più grande di me di un anno. Lui praticamente era un pre-adolescente, io un pre-pre-adolescente. Portava il mio stesso nome ed essendo brutto come la morte, magro, ma di una magrezza malaticcia e con la forfora che lo faceva somigliare a un cucuzzolo innevato, lo odiavo ferocemente. Ma in silenzio. Era manesco, quel sacco d’ossa incatenate e con la cute in perpetua desquamazione!
Gianni (lui) rise, anzi sghignazzò quando gli dissi che volevo fare il fumettista. Il suo teschio sembrava in preda a una crisi epilettica quando rideva e spruzzava saliva da quella voragine che probabilmente era la bocca. “I fumetti non si disegnano, si stampano!”.
Per un paio d’anni rimasi paralizzato di fronte alla consapevolezza crudele alla quale ero stato richiamato da quel dracula in sedicesimo, e cominciai a considerare seriamente l’ipotesi di fare il piccolo travet, come spesso mio padre lasciava intendere, visto che negli studi non ero brillante a causa di quella maledetta mania di scarabocchiare pupetti e soldatini e Capitan Miki e Grande Blek ovunque. Poi le cose andarono come sono andate, per fortuna.
Sapevo che avrei fatto il pittore quando ormai  non potevo anagraficamente più dirmi giovanissimo: a quarant’anni suonati. Il colore, passione coltivata a lungo e nell’inconscio più profondo, esplose furiosamente e io non potevo farci niente. Era una vendetta che veniva dall’abisso della mia anima: io da bambino non sapevo colorare. Disegnavo ed ero autisticamente attratto dal segno. Che fosse Bic blu macchiosa o pennino sopraffino, la cosa poco importava. Anzi, era la frugalità dei mezzi che mi rendeva eroico. Un eroe a metà: perché quel mostro teschiuto non riuscii ad assassinarlo mai.
Feci la prima mostra dopo cinque mesi scarsi di pittura furibonda, quando la mia cervicale non si lamentava così tanto. Non c’era posto per le mollezze del corpo stanco. Dovevo dipingere e basta. E dipingevo: pesci rossi volanti a tempera su cartoni telati. Una follia di cui ancora oggi non capisco il senso. Fu la Libreria del Mare, a Palermo, che mi battezzò “pittore”. Provai a togliere le virgolette da “pittore”, subito dopo. Il critico d’arte che vide i miei quadri si soffermò su un giallo che reputava pennellato male. “Perché non continui a disegnare fumetti?”. Avrei potuto rispondere che i fumetti si stampano e i critici vengono uccisi. Tacqui. Sono un pacifista, purtroppo.
Non ho cittadinanza nella veste di pittore a Palermo, per farla breve. Ho esposto in gallerie di Milano, Scicli, Siviglia, Londra. A Palermo solo in luoghi deputati ad altro. Questa volta devo l’ospitalità affettuosa ad una banca: Banca Etica (domani, alle 18). Il titolo della mia piccola personale è “Il Desiderio”. Nell’accezione freudiana: il desiderio che sollecita ogni gesto, la vitalità, l’eros. Stavolta, per favore, niente thanatos.

Disastri e rimedi

bertolaso

La vignetta è di Gianni Allegra.

Facoltà di pensiero

velina2Sempre dalla matita di Gianni Allegra, sempre pericoloso sovversivo.

Anniversario memorabile

25-aprileDalla matita di Gianni Allegra, pericoloso sovversivo.

Violenza + violenza

La vignetta è di Gianni Allegra
La vignetta è di Gianni Allegra

Un branco di imbecilli a Nettuno dà fuoco a un immigrato “per divertimento”.
Il ministro degli Interni Maroni dichiara che “bisogna essere cattivi coi clandestini”.
Le notizie non si sommano, semmai si sommano i ragionamenti che dalle notizie scaturiscono.
Ecco la mia somma.
C’è una violenza aberrante, frutto della pianta malata dell’ignoranza e del vuoto della ragione. Poi c’è una violenza che si finge strategia, frutto di uno strabismo politico e di una grande approssimazione. Sono violenze diverse, per cause ed effetti. La prima lascia il vuoto dietro di sé, la seconda lo riempie di altro vuoto. La politica dovrebbe essere mattone e cemento per riedificare, consolidare, proteggere. Nelle parole di Maroni è invece solo una pietra da scagliare a occhi bendati.

Palermo, via Cammarata

E non è un indirizzo.

Grazie a Gianni Allegra.

Buon Natale

L'illustrazione è di Gianni Allegra

Auguri!!!

Aggiornamento. Cliccate qui per vedere il regalo di Verbena al sottoscritto, a Giacomo Cacciatore e a Raffaella Catalano

Quel porco di Natale

La vignetta è di Gianni Allegra

di Raffaella Catalano

Il mio Natale è un gran maiale.
Non nel senso che per la vigilia mi si presenta a casa un Babbo con la solita barba bianca ma che invece del vestito rosso ha un impermeabile da aprire davanti ai miei ospiti per esibire le sue pudenda, costringendomi a gridargli che è un porco.
No. Parlo di maiale nel senso di suino.
Il “porco di Natale” è una mia ricetta, che un tempo definivo più amabilmente “maiale al latte”. Prima di detestarla.
Sono secoli che a casa mia, in vista delle feste, si fa una specie di riunione per decidere il menù del 24 sera. Siamo in tanti e bisogna coordinarsi se non si vuol finire per mangiare solo antipasti o solo dessert. Capitò una volta – non so dire quando, dato che il ricordo ormai si perde in un passato paleolitico – che, mannaggia a me, mi offrii di cucinare il maiale al latte.
Il consenso fu unanime. Tutti ricordavano che in un ieri ancora più remoto lo preparava ogni tanto mio nonno quando eravamo bambini. Poi mia madre. Era buonissimo. Indimenticabile.
Da allora, quel suino mi pesa come se lo portassi sul groppone. Fu un successo di tali proporzioni – oggi direi una sciagura – che non c’è stato più scampo: non è Natale se non mi si costringe a rifarlo, rifarlo, rifarlo. E io, da un anno all’altro, ogni notte ho incubi a base di fiumi di latte, distese di burro, piogge di chiodi di garofano e, nel mezzo, come una sadica vedette, lui, il maledettissimo porco.
Quest’anno avevo sperato in una svolta. La diossina! Il suino avvelenato! Che bello, ce lo vietano, avevo pensato, immaginandolo bandito almeno una volta dalla nostra tavola.
E invece no. Condannata a cucinarlo ancora.
Chi vuole la ricetta me la chieda. A suo rischio e pericolo.

Natale in bianco

Nella vignetta, il Natale visto da Gianni Allegra

Sono un appassionato del Natale. E’ l’unica festa dell’anno che mi piace, probabilmente perché ha la giusta gradazione di malinconia, quel tanto che basta a far riflettere senza intristire.  Ricordo la maggior parte dei “natali” della mia esistenza: il clima che si rinfresca, i regali sotto l’albero, le serate con pochi ma buoni parenti, il tacchino ripieno di mia madre, l’avvicinarsi delle vacanze sulla neve (sono un patito di sci).  Mi piace il Natale soprattutto perché è una specie di resa dei conti con se stessi: parente del Capodanno, impone con levità bilanci e proponimenti.
Quello di quest’anno però è un Natale che mi spiazza. I requisiti per una felice festività li ho ritrovati tutti, ho persino sorvolato su alcune voci di bilancio e abbondato coi proponimenti. Tuttavia vedo in giro una tristezza che non lascia spazio all’illusione. Negozi semideserti, città buia, cinghie strette e braccia larghe. Un lamento sommesso che non raggiunge la dignità di urlo di protesta, un annuncio di privata disperazione che non prelude ad alcun gesto liberatorio. So quanto contino le congiunture internazionali, nel campo della macroeconomia, e quelle domestiche, nel campo dell’economia reale fatta di conti, bollette e liste della spesa. Questo Natale, almeno nelle mie lande, respiro una rassegnazione che non conoscevo.
Così è.
Speriamo che passi.

Libri, suocere e assassini

Quest’anno abbiamo disquisito di arte e necessità con la stessa veemenza con la quale ci siamo scontrati sulla presunta utilità dell’iPhone. Una suocera ci ha raccontato il Festival di Sanremo e un misterioso personaggio ha reso entusiasmanti le sue beghe familiari. Abbiamo celebrato con un elogio ai perdenti la vittoria di un premier che chiede il ricovero coatto per chi non la pensa come lui. Tra diari del piacere nascosto e originali esercizi di psico-giardinaggio, abbiamo trovato il tempo per inseguire un sindaco che latita, indignarci per un amministratore locale un po’ troppo intraprendente e magari cambiare lavoro.  Ci siamo divisi su libri e autori di successo. Abbiamo consumato polpastrelli sul revisionismo degli anni settanta e sulla tv del terzo millennio. Non siamo rimasti impassibili davanti al suicidio della nostra compagnia di bandiera e a quello di un pentito di Facebook. Abbiamo visto condannati che brindano e assassini colpevoli a metà, abbronzature di successo, film che meritano ancor più successo. Abbiamo schivato i superbosi ed eletto i migliori momenti peggiori, tra bambole spettinate e quarantenni in quarantena.
Tutto questo per dirvi che oggi questo blog, pur con una nuova veste e un nuovo indirizzo, compie due anni. Per ringraziarvi ho cercato di mettere dentro questo post quanto più di tutti voi, co-autori, titolari di rubrica, ospiti, lettori.
E ora cantare, please.

L’immagine riproduce un acrilico su carta di Gianni Allegra. Si intitola “Cartolina in giallo” ed è l’illustrazione, pressochè inedita in Italia, della cartolina-invito per una mostra personale di Allegra svoltasi a Siviglia nel 2007 e curata dallo scrittore andaluso Alejandro Luque.
Per gentile concessione dell’autore.