Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica
Mettiamo da parte la politica. Che sia stato Orlando o che sia stato Cammarata non importa, quel che emerge è il trionfo naturale, cioè privo di artifici, del bello. Ieri Repubblica ha raccontato il rifiorire di monumenti palermitani in un ventennio di riaperture, l’accresciuta appetibilità turistica della città. Una città che attrae lo straniero e respinge il residente, che alimenta il perenne dubbio pessimistico: c’è da gioire per un monumento recuperato o da lamentarsi perché prima era in abbandono? Eppure una certezza consolatrice deve esserci da qualche parte: c’è vita sotto la cenere di mille vacue promesse elettorali, la bellezza galleggia sull’incuria, l’arte come la natura si riprende a forza quel che la mano incauta le ha tolto. Palermo è una città che brilla di luce rubata: la forza delle sue bellezze costringe i curatori delle più importanti guide di viaggi del mondo ad aggiornare continuamente le mappe dei tesori salvati o rivelati. (…) Palermo si ribella a se stessa con un’inusitata schiera di abitanti in prima linea contro ogni forma di cambiamento. Cambiamento che invece è un valore culturale apprezzato dal viaggiatore, il quale arriva, parte e ritorna proprio per goderne appieno.
Niente politica, abbiamo promesso. Ma il sogno di una nuova visione della vita amministrativa, sì. Forse a questa Palermo non serve un sindaco di tutti i palermitani, ma un sindaco di tutti i non palermitani. Governare verso il futuro significa infatti governare per chi apprezza il futuro col suo carico meraviglioso di cambiamenti. I turisti per esempio.