Gentile sindaco della città di Palermo,
le scrivo a distanza di un anno e passa certo che non troverà né modo né tempo né voglia di leggermi. Però le scrivo lo stesso perché, per stirpe, per domicilio e per residenza sono palermitano: insomma, se mi consente, sono uno dei suoi datori di lavoro. E’ questo il punto. Troppo spesso gli amministratori pubblici, su qualunque poltrona, strapuntino, gradino siano seduti, si dimenticano di “essere al servizio” e di avere obblighi inderogabili nei confronti di chi paga loro lo stipendio.
Partiamo dalla fine. Nell’ultima festa per la patrona (o matrona come incautamente la definì in tv un noto direttore di giornale) della città lei ha stravolto – e non per la prima volta – un rito secolare. Quello secondo il quale il tenutario del civico consesso (mi perdoni l’ironia) deve scalare il grande carro dei festeggiamenti e gridare: “Viva Palermo e Santa Rosalia!”.
Non l’ha fatto, secondo quanto leggo, per evitare polemiche in un giorno particolare. Gentile sindaco della città di Palermo, le chiedo: se io, per evitare polemiche in un giorno particolare del mio ufficio, non vado al lavoro oppure non svolgo il compito che mi è stato assegnato avrò qualche possibilità di non essere sanzionato?
Lei non mi legge quindi rispondo io.
No.
Come la legge non ammette ignoranza, la difficoltà nello svolgere un compito, specie quando questo è di alta responsabilità, non ammette furberie. O si è in grado, o non si è in grado: con quel che ne consegue.
Gentile sindaco della città di Palermo, non voglio dilungarmi nel ricordare la serie di lavori rabberciati che lei e la sua giunta avete spacciato per opere o, peggio, operazioni. Il pasticcio della Ztl (la riscossione di una tassa per circolare con l’auto in città giudicata illegittima dal Tar ma ormai effettuata, nota per i lettori di altre città) da solo basta per incrinare la credibilità di una giunta in un comune qualunque. Invece lei è sempre lì, ben saldo nella sua invisibilità.
Non ho nulla di personale contro di lei, gentile sindaco della città di Palermo. Abito di fronte a casa sua, godo della manutenzione che operai del comune hanno effettuato di recente nel marciapiede di fronte a casa sua, e assisto allo sfacelo di una città che si spegne (anche) di fronte a casa sua.
Lei non c’è, gentile sindaco della città di Palermo. Non c’è nelle strade di gente qualunque, nella mera rappresentatività, nell’alito di un presente, nell’impronta di un passato, nella presunzione di un futuro. Lei non c’è nei dibattiti che non siano pettegolezzi, nella veemenza di uno sfogo, nella sacrale tutela dei vecchi simboli e nella sacrale demolizione dei simboli vecchi.
Come sindaco, lei non vive, vivacchia. E, senza offese, a me non piace che i miei dipendenti lavoricchino. O sono in grado, o non sono in grado: con quel che ne consegue.
Cordialità.
Ai lettori: il sindaco di Palermo si chiama Diego Cammarata ed è quello nella foto.
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