Berlusconi e i suoi sodali di quel partito azienda che ha lanciato un’Opa sull’Italia tornano su un vecchio tema: quello delle perizie psichiatriche per i magistrati. Vecchio tema, sì. Talmente vecchio che per trovarne le radici bisogna andare indietro fino agli anni Settanta, quando l’esigenza di una sorta di esame psicologico venne inclusa nel cosiddetto “Piano di rinascita democratica” del “gran maestro” della P2, Licio Gelli. Un precedente illustre, anzi venerabile.
Il ragionamento dell’ex premier è il seguente: chi fa un mestiere in cui è chiamato ad amministrare gli altrui destini deve avere una sanità mentale certificata a più riprese. In pratica si auspica il rilascio (e il conseguente rinnovo, previa visita medica) di un apposito patentino, di un brevetto, di un tagliando di garanzia : giudice professionista, no tendenze omicide, no istinti autolesionisti, astemio, congiunto con persona di altro sesso davanti a ministro della chiesa cattolica, grande sostenitore del Pdl, ottimi precedenti penali, tifoso del Milan.
Al contempo, il senatore uscente Dell’Utri si è lanciato in un assolo in cui ha auspicato il perfezionamento dell’acquisto di un nuovo governo che riscriva la storia con la esse maiuscola, che ridimensioni il ruolo dell’antimafia (a minuscola), che abolisca i collaboratori di giustizia (minuscolo, minuscolissimo) e che renda piena giustizia “all’eroe” Vittorio Mangano (doppia maiuscola perché è nome proprio di persona).
Tutto chiaro, i conti tornano… a parte un dettaglio. Berlusconi e i suoi ostentano un florilegio di buoni propositi, ma non danno il bell’esempio: perché non sottoporsi per primi alla perizia psichiatrica di Stato?