Rai, di tutto di meno

raiCi voleva l’incidente, anzi la catena di incidenti, di Capodanno per riaprire l’antica ferita dell’inadeguatezza della nostra televisione pubblica. Ferità in realtà mai cicatrizzata.
Il problema della Rai è lo stesso che si può riscontrare in molti enti pubblici e deriva da un pericoloso cocktail di deresponsabilizzazione e carenza di controlli. Non è una questione di professionalità – alla Rai ci sono molti professionisti in gamba e lo dico per esperienza personale – ma di volontà. C’è un detto siciliano che raffigura bene la situazione, “U’ cane unn’è mio” (il cane non è mio), per spiegare in questo caso l’ostentato distacco del lavoratore dal prodotto del suo lavoro. Per anni, lo sappiamo, la Rai è stata la tomba della meritocrazia, con assunzioni e promozioni schedulate in base alle tessere di partito. Oggi qualcosa è cambiato (ho detto qualcosa, eh!), ma resta l’incrostazione di un management non all’altezza di una grande televisione pubblica. Basti dare un’occhiata ai palinsesti, infarciti di repliche e replicuzze (specie d’estate quando il canone non prevede tre mesi di vacanza), ai buchi inauditi in materia sportiva, alla progressiva perdita di terreno nell’intrattenimento nei confronti delle altre reti (con l’eccezione di Montalbano che macinerebbe ascolti anche se lo proiettassero alla rovescia), alla qualità dell’informazione regionale, alla vetustà della tecnologia applicata allo streaming nel web.
Insomma alla Rai manca il concetto basilare di azienda: se i miei clienti mi pagano più di quanto pagano gli altri, devo fornire un servizio migliore degli altri.

Torno presto (e buon anno)

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Il titolare di questo blog e la sua gentile signora sono attualmente impegnati altrove. Torneranno presto. Intanto auguri a tutti voi.

Ricchi quindi colpevoli

Nel Paese che non conosce più le mezze misure – ubriacato da anni di sprechi smisurati, di burocrazia ipertrofica, di politica del favore – è in atto il capovolgimento di un ideale. La ricchezza che fino all’altroieri era il simbolo di un governo godereccio e opulento, è improvvisamente diventata un indizio di colpevolezza.
Sui giornali e su internet scatta la caccia alle proprietà di un politico che magari non ha fatto nulla di male se non investire nel mattone i soldi onestamente guadagnati, si consuma la vendetta (per cosa?) ai danni di uno che a Natale è andato in vacanza alle Maldive pagando tutto addirittura coi suoi soldi. Foto di ville, di corpi esposti al sole tropicale, di brindisi a piedi nudi vengono pubblicate come se si trattasse di prove schiaccianti. Ecco dov’erano quei deputati a Capodanno mentre noi mangiavamo lenticchie fredde nel tinello! Loro se la spassano mentre il Paese tira la cinghia, vergogna!
Il senso forcaiolo della sana invidia – perché a tutti piacerebbe stare in panciolle davanti a un tramonto caraibico anziché rodersi il fegato nel traffico cittadino – costituisce un brutto segnale. Perché volere vivere in modo migliore e non poterlo fare può suscitare umanissimi pensieri virulenti, ma fingere di usarli per una nuova lotta di classe rischia di farci sprofondare nell’abisso del ridicolo. Al quale peraltro siamo già pericolosamente vicini.

Il peggiore sms

Ho notato, ma posso sbagliare, che il Capodanno appena passato potrebbe segnare il tramonto dell’sms di auguri. Personalmente ne ho ricevuti molti di meno rispetto allo scorso anno e da quel che ho sentito in giro non è una questione personale.
Tra i pochi messaggini ricevuti ce n’è però uno che riecheggia di una banalità antica, quella dei testi preformattati, preconfezionati, copiati e inoltrati all’intera rubrica senza ritegno.
E’ forse il più brutto che abbia mai ricevuto. Ve lo copio di sotto.

“TNAGRUIEFCELIEANUOVNONO. A causa della crisi economica gli auguri li ho presi all’Ikea. Te li monti tu quando hai tempo”.

 

Auguri

Siamo agli auguri, miei cari. Innanzitutto vi faccio quelli per il Natale. Poi, visto che per una settimana proverò ad andare in vacanza, vi anticipo quelli di buon anno. Nella mia valigia però c’è sempre spazio per un computer e c’è il rischio che ci si continui a sentire nei prossimi giorni, tra una sciata e l’altra…
Comunque vada, vi abbraccio uno per uno…. il che, dato che ieri eravate più di mille visitatori unici – un grande numero per un piccolo blog –  è un bell’impegno.
Grazie, grazie a tutti. Siate sereni se potete.

P.S.
Se avete un paio di minuti date un’occhiata a questo video che abbiamo realizzato per diPalermo.

Viva Tele Bucarest

Non so se vi è capitato di guardare i programmi Rai in questi giorni di festa. A me sono bastati pochi minuti dello show di Capodanno (dove, per intenderci, l’ospite principale era Luisa Corna) per fuggire e trovare conforto su un canale privato di una qualsiasi tv dell’est Europa.

Serenità

Foto di Daniela Groppuso

Buon anno. E ricordate che l’amore, nonostante quel che ci vogliono far credere, non è un partito ma un sentimento. Quindi è per tutti.
Serenità.

La foto è di Daniela Groppuso.

Ispirati dall’abitudine

ispirazione

L’abitudine alla lunga rischia di incatramarsi nel vizio. E io che sono un abitudinario da Guinnes dei Primati ho la presunzione di parlarne come da una cattedra.
Però è bello, e anche divertente, scardinare certe serrature che riteniamo di aver piazzato per protezione e invece sono lì soltanto a significare chiusura, privazione e un po’ prigionia.
Sempre in chiave personale, per qualche decina d’anni ho ritenuto, ad esempio, che non è il mattino ad avere l’oro in bocca, ma il cuscino. Sono stato, per vocazione e per professione, un tiratardi: quando ero costretto ad alzarmi alle otto del mattino – orario che con fallace dose di approssimazione definivo “da panificatore”- mi ritrovavo cotto già a mezzogiorno. Invece ultimamente ho provato a innescare la detonazione della sveglia qualche ora prima e, a poco a poco, ho scoperto che non è poi così male.
Potrei dilungarmi in altri esempi: abbandonare la diffidenza e provare a fidarsi, addolcire gli estremismi di certe abitudini alimentari, eliminare timori ingiustificati, leggere un altro libro di Cormac McCarthy, trascorrere un Capodanno in una città d’arte, vestirsi come una persona civile, imparare a contare prima di rispondere. Insomma credo che l’unica panacea contro un’abitudine sia un’altra abitudine, temporanea, rarefatta, folle.
E voi? Quante tendenze ripetitive, anche balzane, siete riusciti a eliminare?

Natale in bianco

Nella vignetta, il Natale visto da Gianni Allegra

Sono un appassionato del Natale. E’ l’unica festa dell’anno che mi piace, probabilmente perché ha la giusta gradazione di malinconia, quel tanto che basta a far riflettere senza intristire.  Ricordo la maggior parte dei “natali” della mia esistenza: il clima che si rinfresca, i regali sotto l’albero, le serate con pochi ma buoni parenti, il tacchino ripieno di mia madre, l’avvicinarsi delle vacanze sulla neve (sono un patito di sci).  Mi piace il Natale soprattutto perché è una specie di resa dei conti con se stessi: parente del Capodanno, impone con levità bilanci e proponimenti.
Quello di quest’anno però è un Natale che mi spiazza. I requisiti per una felice festività li ho ritrovati tutti, ho persino sorvolato su alcune voci di bilancio e abbondato coi proponimenti. Tuttavia vedo in giro una tristezza che non lascia spazio all’illusione. Negozi semideserti, città buia, cinghie strette e braccia larghe. Un lamento sommesso che non raggiunge la dignità di urlo di protesta, un annuncio di privata disperazione che non prelude ad alcun gesto liberatorio. So quanto contino le congiunture internazionali, nel campo della macroeconomia, e quelle domestiche, nel campo dell’economia reale fatta di conti, bollette e liste della spesa. Questo Natale, almeno nelle mie lande, respiro una rassegnazione che non conoscevo.
Così è.
Speriamo che passi.