Ho fatto l’aggiornamento di iOS 7 nel mio iPhone e si è sfasciato tutto. Applicazioni bloccate, wi fi inafferrabile, schermo paralizzato: insomma un telefono ormai inservibile.
Dopo aver invocato l’aiuto telefonico di un assistente della Apple, aver aggiornato, backuppato, ripristinato, rianimato, riavviato, ricaricato, scollegato e ricollegato, il gentile signore dell’assistenza ha emesso il suo verdetto: il telefono va sostituito.
Va bene.
Costo dell’operazione: 240,10 euro, compresa l’opzione di sostituzione espressa (cioè le danno subito il nuovo cellulare).
Non va bene.
Ma il telefono è fuori garanzia.
Io non ho scassato il mio telefono, me lo avete scassato voi col vostro aggiornamento fasullo.
A tutti noi è capitato di sottovalutare qualcuno o qualcosa. Certo, ci sono casi estremi, piccoli eventi che diventano memorabili come quello di quel giornalista che nel 1999 sconsigliò il suo editore di seguire “questa nuova moda di internet, perché tanto è roba che finisce entro l’anno”.Nel mio piccolo mi sono macchiato di due gravi colpe in tal senso.
La prima risale al 1979 quando ascoltai l’album The wall dei Pink Floyd, appena pubblicato. Lo giudicai frettolosamente una robetta. Ne discussi con i miei amici – ai tempi strapazzavo la chitarra in una rock band – e conclusi che quello era l’album peggiore del gruppo. Sbagliavo clamorosamente poiché ancora oggi The wall è un’opera attualissima per suoni e tematiche. E poi è bella, bellissima. Nel ’79 ero molto giovane e questa è un’attenuante.
Il secondo errore di valutazione l’ho commesso recentemente quando mi sono trovato in mano per la prima volta un iPhone. Dissi che era inutile avere un telefono senza tasti, che era stupido portarsi appresso un telefono che tutto è tranne che un telefono e dissi anche altre scemenze di cui adesso mi pento. Qualche tempo dopo fui costretto a constatare che non c’era uno solo dei miei rilievi che fosse fondato e che la mia lungimiranza era stata come la mira di un ubriaco.
Per pegno acquistai un iPhone.
“Ti devo dare una brutta notizia: la lavatrice non sta molto bene”, dice mia moglie con prudente pessimismo.
Effettivamente il rumore non è incoraggiante: un clang clang che sa di meccanica precaria.
Più tardi, prima di uscire, mia moglie come di consueto è alla ricerca del suo telefonino. “Mi chiami?”, chiede con rassegnazione. Continua a leggere La lavatrice funziona benissimo
Sono tre giorni che sto male. Mi sveglio perseguitato da un pensiero fisso. Cerco di strozzarlo, stringo le dita e mi tremano le mani. Trovo scampo in un libro (cartaceo). Spesso il rifugio di pagine mi crolla addosso al primo alito di vento internettiano. Rido di cose che non fanno ridere. Mi distraggo con la qualità della luce di prima mattina o verso il tramonto. Qualsiasi sciocchezza mi sembra preziosa: tiene a distanza dal bilico.
Credo di stare subendo una crisi di astinenza. Lo capisco dalla foga con cui chiamo a raccolta tutte le mie forze, fisiche e psichiche, per arginare l’assalto. Quando ci riesco, mi sento più solido. Ripeto a me stesso che è questione di tempo, caparbietà e temperanza. Con l’esercizio, il sacrificio diverrà consuetudine, la rinuncia un atto spontaneo, il senso infantile di ingiustizia che mi assedia un attestato di stupidità. La necessità, al contrario delle vere crisi di astinenza, non è legata a qualcosa di cui ho già fatto abuso, ma a un desiderio non ancora realizzato. Che è anche peggio: ciò che conta non è la meta, ma gli impulsi sgradevoli e sublimi che ti spingono a perseguirla. So già che, raggiunto l’obiettivo, ottenuta la gratificazione nel modo più sofferto possibile (e immediato: l’intensità del desiderio sollecita perversamente l’urgenza), me ne stancherò subito. Vorrò altro. Vorrò di meglio.
Signori, sono tre giorni che io voglio un iPhone o un iPad (o tutti e due, non nello stesso ordine).
E allora – non fosse altro che per rivalsa verso me stesso, per l’orrore che può suscitare tanto spreco di energie da parte di una persona emancipata e sensibile nei confronti di un oggetto inanimato – vi dico: qualora mi vedeste entro sei mesi con un gadget di tal fatta in mano, vi autorizzo a sputarmi in faccia. Per dirla col conte Mascetti.
L’immagine riproduce un acrilico su carta di Gianni Allegra. Si intitola “Cartolina in giallo” ed è l’illustrazione, pressochè inedita in Italia, della cartolina-invito per una mostra personale di Allegra svoltasi a Siviglia nel 2007 e curata dallo scrittore andaluso Alejandro Luque. Per gentile concessione dell’autore.