Ho appena finito di leggere “La strada” di Cormac McCarthy (Premio Pulitzer 2007). Ci ho messo tre settimane, nonostante il libro sia poco più di duecento pagine. E per ognuna di quelle pagine, la sera, quando mi afflosciavo sul letto, mi ripetevo: “Non è possibile…”.
La storia, senza togliere e aggiungere nulla, è questa: un padre e un figlioletto, dopo una presumibile catastrofe nucleare, si aggirano per le strade deserte dell’America, nel grigio della cenere, nel grigio del cielo, nel grigio di rare esistenze grigie, nel grigio della fame e via ingrigendo.
Si aspetta inutilmente che accada qualcosa da una riga all’altra, con dialoghi del tipo: “Papà moriremo? No, non moriremo. Ok. Ok” (testuale).
La scrittura, eccezion fatta per alcune descrizioni di luoghi (grigi, naturalmente), è sontuosamente soporifera. Una confezione di Lexotan avvolta in carta da regalo, insomma.
Secondo il mio personalissimo parere, “La strada”, oltre a essere uno dei pochi romanzi davanti ai quali si dorme già guardando la copertina, è uno dei libri più sopravvalutati degli ultimi vent’anni.
P.S. Per fortuna che McCarthy non è Saviano, altrimenti oggi sarebbe stata un’altra giornata di inferno…
21 commenti su “"La strada" grigia”