Condivisione forzata

Di questi tempi condividiamo tutto. O almeno crediamo di farlo. Sino a qualche anno fa ci sarebbe sembrato quantomeno eccentrico presentarsi a uno sconosciuto consegnandogli una nostra foto, o quella dei nostri figli mentre fanno l’altalena. E magari, pure la lista dei marchi preferiti. “Io adoro i formaggini della Kraft. E lei?”
In rete, invece, siamo pronti a farlo perché i pixel ci rassicurano. Sarà perché non hanno odore.
Poi arriva il giorno che ti iscrivi a Facebook e diventi uno dei suoi 59 milioni di utenti che hanno fornito dati anagrafici e preferenze d’acquisto ad un’azienda. Con Facebook è possibile essere chi si vuole a patto che si accetti il bombardamento pubblicitario. Soliti marchi di grandi ditte, nulla di strano. In fondo, anche con la tv è lo stesso, no?
Leggo sul prezioso settimanale Internazionale un servizio di The Guardian firmato dallo scrittore Tom Hodgkinson sul sito di social networking più famoso di Internet. Scopro alcune cose che non meravigliano ma che, per fortuna, riescono ancora ad indignare.
Per esempio che “dopo aver costruito questo immenso database di esseri umani, Facebook non deve far altro che rivendere le informazioni agli inserzionisti” o, come ha spiegato Zuckerberg sul suo blog (l’ideatore di Facebook ndr) “aiutare le persone a condividere con gli amici le informazioni sulle loro attività on line”. Appena quattro mesi fa Facebook ha annunciato che alcune multinazionali – Coca Cola, Blockbuster, Sony – sono interessate al progetto. In che senso? Risponde Blockbuster: “Non si tratta solo di convogliarli sulla nostra pubblicità. Vogliamo partecipare alla comunità dei consumatori e sfruttare un meccanismo che li spinga a condividere i vantaggi del nostro marchio con gli amici”. Come in qualunque altro sistema di community on line Facebook fa firmare un contratto che implica il via libera al trattamento dei dati. Facebook scrive che, usandolo, “acconsentite a far elaborare negli Stati Uniti i vostri dati personali” e che “questo può comportare la trasmissione delle informazioni ad altre aziende, studi legali o agenzie governative”. Leggasi Cia, sottolinea The Guardian.
Cosa vi viene in mente? Che sia tutto banalmente vero? Che invece sia un complotto contro la modernità?
Un’ultima cosa. Il vero volto di Facebook pare sia quello di Peter Thiel, un miliardario neocon che – fa notare Tom Hodgkinson – adora Renè Girard. Girard è un filosofo che analizza impietosamente il desiderio umano. Un desiderio (amoroso, estetico, intellettuale) che non è frutto di una lineare autodeterminazione, ma di un’imitazione dell’altro-da-te che passa per l’invidia e approda all’oggetto finale. Si chiama “desiderio mimetico”. Come quello che spinge una pecora a seguire il gregge senza capire bene il perché.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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