Drogati di corsa

Ieri su diPalermo, Giacinto Pipitone ha raccontato la storia di un tale che, d’un tratto, decide di mettere da parte vizi e tran tran e comincia a correre. Non è Forrest Gump, lui corre per arrivare. E deve arrivare lontano. A New York, alla grande maratona.
Quella storia è la sua, di Giacinto, ma è anche quella di migliaia di impiegati, professionisti, pensionati che hanno deciso di rimescolare le carte e tentare la grande giocata.
Corro da decenni, anche se non più con le prestazioni (modeste, ma biologicamente esaltanti) di un tempo. La schiavitù da endorfine la conosco bene: ogni giornata di maltempo è un balcone senza ringhiere sul vuoto del malumore; al contrario, ogni chilometro in più macinato (magari su un paio di nuove Asics Cumulus) è una felice sofferenza.
Chi non ha mai sforato il limite dei 15-20 chilometri non conoscerà mai l’ebbrezza della morfina naturale che, quando le gambe sono ormai ferme, irrora muscoli e cervello dando un motivo di felicità a ciò che per molti non ha un briciolo di senso. Oltre i 30 chilometri c’è qualcosa di cui si occupa la letteratura (vedi Murakami Haruki) quindi non è il caso di discuterne qui.
Correre per la stragrande parte dell’umanità meccanizzata è una tortura, per pochi illusi che si agitano in calzoncini corti dodici mesi all’anno è una necessità.
Gli scienziati raccontano del lavorio di articolazioni e della meravigliosa economia energetica dei mitocondri. I runners si limitano a scandire le singole “monete” di ATP spese per far fronte allo sforzo di dover mettere un piede davanti all’altro, chilometro dopo chilometro.
I Paesi più civili della Terra sanno che dietro alla sofferenza di un maratoneta c’è un rito antico come la macchina di carne e ossa che governa il mondo: per questo le manifestazioni dedicate a questo sport vedono, tra il pubblico, una partecipazione intensa e commovente. Mio fratello, reduce dalla maratona di Amsterdam di domenica scorsa, mi racconta di famiglie di campagnoli che lungo il percorso hanno messo su banchetti estemporanei con biscotti e altri generi alimentari, tutti a disposizione di sconosciuti che passavano, trangugiavano e fuggivano via, come fuorilegge inseguiti da una sceriffo invisibile.
Dalle nostre parti invece una maratona è ancora vista come un intralcio al traffico. Come una noia che appesta le vite dei cittadini automuniti.
Però, vi assicuro, non maleducazione. E’ brutta, intensa ignoranza.

La colpevole è la vittima

Un uomo ammazza la nipote con la complicità della figlia, ma la moglie teme per la vita della figlia perché, dice, in realtà lui adesso vuole uccidere la figlia che, dal canto suo, dice di essere stata incastrata dal padre che invece la accusa, mentre la moglie dice: io non ho paura.
Sta a vedere che la colpa è tutta della nipote che è morta senza darsi pena di lasciarci neanche un appunto per la prossima puntata di “Chi l’ha visto?”.

Il nucleare tra verdi e Verdini

Umberto Veronesi ha accettato di guidare l’Agenzia per la sicurezza del nucleare. E nel Pd, di cui Veronesi è senatore, scoppia un casino. In pratica gli si contesta una scelta che sarebbe in controtendenza con una parte del partito.
Del nucleare abbiamo già parlato e credo che l’argomento sia uno tra quelli in cui le opinioni contano quanto i fatti. Non mi permetto di giudicare le prime, però sui secondi ho qualcosa da dire, con riferimento alla scelta di Veronesi.

Lo scienziato è tra i più illustri del panorama mondiale quindi mi fido più di lui che di altri quando si parla di salute. E per di più è un oncologo, mica un proctologo (con tutto il rispetto per i proctologi e per il loro raggio d’azione).
L’alternativa, se avesse rinunciato, sarebbe stata un Verdini o un altro amico degli amici, un coordinatore di partito, un portaborse con la laurea breve in fisioterapia, o una ex miss dalle tette atomiche (ma non radioattive).
Infine, i tempi di realizzazione delle grandi opere in Italia sono il migliore antidoto contro l’allarmismo nucleare. Quando le centrali saranno pronte, dopo la realizzazione del Ponte sullo Stretto, la chiusura dei lavori sulla Salerno-Reggio Calabria, la ricostruzione de L’Aquila e l’istituzione di carceri speciali per i magistrati non allineati, l’umanità sarà estinta. E a Veronesi, che è un meraviglioso vegetariano immortale, toccherà solo tirare giù la saracinesca di un’Agenzia che per secoli non ha avuto di cosa occuparsi.

Rallentare

Sono giorni di superlavoro, per quel che sapete e anche per altro. Ieri sera ero a cena con mia moglie e la ammiravo di fronte a me, sempre forte e bella. Io invece mi vedevo un po’ meditabondo e ricurvo sui pensieri che le andavo illustrando.
Tra le altre cose, le dicevo che quando ero ragazzo lavoravo anche quindici ore al giorno e non volevo mai fermarmi, tiravo dritto a ogni incrocio della vita e me ne fregavo se a letto crollavo senza spegnere la luce.
Ora invece è diverso. C’è più gusto ad andar piano, perché sennò sfuggono molti dettagli. C’è il fisico che reclama la sua dose di prudenza. E soprattutto c’è lei, mia moglie, che merita il meglio. Quest’ultima frase non gliel’ho detta perché nel pacchetto che mi comprende (una specie di offerta speciale) c’è pure una dose esagerata di timidezza mista a coglionaggine.
Ne approfitto per dirglielo adesso e per esortarvi a rallentare, voi tutti, se avete qualcuno da amare.

Il boss in trappola

L’arresto a Palermo del boss Francesco Di Fresco.

Immagini di Daniela Groppuso.

Elogio di chi non ne ha bisogno

Mi sembra stucchevole fare l’elogio di persone che non ne hanno bisogno. Però il servizio di ieri, su Striscia, di Stefania Petyx merita una nota di plauso per il doloroso equilibrio. E non solo.
Stefania ha raccontato, meglio di qualunque giornalista-trombone, uno dei paradossi di casa nostra: il prima che si appresta a diventare, ontologicamente, dopo. Cioè il bene confiscato che segue il suo iter di burocrazia, amici e famigghie, fino a diventare un dopo assolutamente fasullo.
L’imbroglio della comunicazione istituzionale, specie con un sindaco evanescente e senza consistenza certificabile, può essere rivelato da una semplice occhiata allo stato di salute della città. Invece per entrare nel cortocircuito dei gangli del potere ci vuole una sensibilità particolare, che è di pochi.
Stefania Petyx è una figlia rinnegata di questa città. E’ una donna che lavora nell’ombra senza cercare l’overdose di riflettori. Una che potrebbe campare (e bene) di comparsate in feste e festival. Una che dà infinitamente meno di quel che può offrire.
Invece sta ai fatti e centellina i risultati delle sue inchieste. E li mette a disposizione del pubblico con l’umiltà delle migliori guide alpine: seguitemi, sembra dire, e se anche vi prendono le vertigini sappiate che il percorso è quello giusto.
Raggiunta la vetta, infatti, viene voglia di brindare con lei. Alla faccia degli indolenti, dei corrotti, degli invidiosi, dei nemici della contentezza.

Come si cambia

Oggi e domani il Corriere della sera è in sciopero perché il direttore ha comunicato brutalmente che i tempi cambiano mentre il cdr ha deciso di no.

Prima e dopo Capaci

Ha mani troppo ruvide, troppo dure mio padre. Necessitano di essere levigate di continuo. Un giorno mi regalò una pietra pomice, piccola e tonda. “Se affoghi, aggrappati a chista. Galleggia”. Fu la frase più lunga che mi rivolse in tutta la mia infanzia.

In “Mio padre non ha mai avuto un cane” Davide Enia racconta un’adolescenza con gli occhi fissi al 23 maggio 1992. Il libro (:duepunti edizioni, 56 pagine, 6 euro) è rapido e doloroso come una rasoiata. Tuttavia è delicato e appassionante, a conferma che certe ferite insegnano a crescere.
Ve lo consiglio.

Precari in Sicilia

In Sicilia si sta consumando l’ennesimo misfatto sul tema dei precari. Che non è quello di promettere assunzioni in cambio di qualcosa, ma quello di far sì che migliaia di persone che non fanno niente tra poco continueranno a farlo con lo stipendio a vita.

Gli specialisti

Ieri Minzolini, per il Tg1 delle 20, ha fatto commentare l’autodifesa di Fini alla redazione online. Che è come affidare la telecronaca del Gran premio di Imola a un gommista, o il commento di un comizio di Bossi a un logopedista.