Qualcuno dovrebbe prendersi la briga di spiegare a Saverio Romano, anzi all’onorevole Saverio Romano, che quando si ha un ruolo bisogna mantenere un contegno adeguato. E soprattutto che quando in quel ruolo, pur stretto come una camicia messa in lavatrice col ciclo sbagliato, si scrivono cose che vengono fraintese, la colpa non è di chi fraintende ma di chi non ha saputo usare il linguaggio giusto. Il famoso tweet su Denis Verdini che, ragioni politiche a parte, trasuda tutta l’arroganza residua di un potere che non conosce altro che una disperata strategia di autoconservazione, ci dice poco della visione politica di Romano e moltissimo della personalità dello stesso. Le parole “amici”, “galantuomo”, “riserbo” insieme al richiamo alla “biografia” dei non allineati sono più di un programma o di un’intenzione, sono una radiografia del personaggio. E non è la buona fede dell’ex ministro che qui si mette in dubbio, ma la sua naturale inclinazione alla protervia di chi sta sulla poltrona più alta: insomma, un politico serio non la manda a dire con frasi che necessitano di spiegazioni e contro-spiegazioni, la dice e basta. Se è in grado.
È questo il lato oscuro del ragionamento di Romano, che ha provato a spiegare, a giustificare un grottesco “andate a cagare”: il non saper argomentare senza cadere nella banalità della superbia.
In un altro Paese, uno qualsiasi tra i Paesi in cui alle elezioni si contano i voti e non i morti, il capo della sua coalizione politica lo avrebbe allontanato con gli stessi modi raffinati da lui usati per difendere il suo “ragionamento” (e mai virgolette furono più necessarie). Qui invece magari gli faranno un monumento: “A Saverio Romano, amico e galantuomo: e andate tutti a cagare”.
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Tolta Milano
Secondo il coordinatore del Pdl Denis Verdini, tolta Milano, l’ultima tornata elettorale è stata “sostanzialmente un pareggio”.
Analizzare i numeri senza pesarli, come fa Verdini, è un’operazione che comporta lo spargimento di un irritante tasso di arbitrarietà.
Però a lui questo gioco piace. E allora diamogli altri esempi su cui cimentarsi con ammirevole sprezzo del senso del ridicolo.
Tolto Horace Nelson, Trafalgar sarebbe stata un pareggio?
Tolta Hiroshima, la seconda guerra mondiale sarebbe stata un pareggio?
E tolto l’arbitro Gonella, la finale di coppa Italia del ’74 come sarebbe finita?
Il nucleare tra verdi e Verdini
Umberto Veronesi ha accettato di guidare l’Agenzia per la sicurezza del nucleare. E nel Pd, di cui Veronesi è senatore, scoppia un casino. In pratica gli si contesta una scelta che sarebbe in controtendenza con una parte del partito.
Del nucleare abbiamo già parlato e credo che l’argomento sia uno tra quelli in cui le opinioni contano quanto i fatti. Non mi permetto di giudicare le prime, però sui secondi ho qualcosa da dire, con riferimento alla scelta di Veronesi.
Lo scienziato è tra i più illustri del panorama mondiale quindi mi fido più di lui che di altri quando si parla di salute. E per di più è un oncologo, mica un proctologo (con tutto il rispetto per i proctologi e per il loro raggio d’azione).
L’alternativa, se avesse rinunciato, sarebbe stata un Verdini o un altro amico degli amici, un coordinatore di partito, un portaborse con la laurea breve in fisioterapia, o una ex miss dalle tette atomiche (ma non radioattive).
Infine, i tempi di realizzazione delle grandi opere in Italia sono il migliore antidoto contro l’allarmismo nucleare. Quando le centrali saranno pronte, dopo la realizzazione del Ponte sullo Stretto, la chiusura dei lavori sulla Salerno-Reggio Calabria, la ricostruzione de L’Aquila e l’istituzione di carceri speciali per i magistrati non allineati, l’umanità sarà estinta. E a Veronesi, che è un meraviglioso vegetariano immortale, toccherà solo tirare giù la saracinesca di un’Agenzia che per secoli non ha avuto di cosa occuparsi.
Patrizia, la Noemi maggiorenne
C’è un dato incoraggiante nella vicenda della nuova Noemi: la femmina in questione è maggiorenne.
La storia la conoscete già: feste, festini, soldi, soldini, case, casini. Roba già vista.
Vi invito però a riflettere su un dettaglio del contorno. Ieri, quando il “Corriere della Sera” ha pubblicato la notizia, la maggioranza è andata all’attacco di Massimo D’Alema che domenica scorsa aveva profetizzato “scosse” per il premier Silvio Berlusconi. “Come faceva a sapere in anticipo dell’inchiesta?”, hanno tuonato Sandro Bondi, Ignazio La Russa e tale Denis Verdini (probabilmente il deputato in turno di guardia al Pdl, ieri mattina). Eh sì, come faceva a sapere?
D’Alema dice di aver dato un semplice giudizio politico e di non aver anticipato nulla. Di sicuro, sapeva più di lui il ministro degli Affari regionali Raffaele Fitto, pugliese, che di Puglia (la nuova inchiesta è della procura di Bari) parlava proprio nel suo comunicato di lunedì, quindi due giorni prima dello scoop del Corriere: leggete con attenzione.
Quindi, per capirci, Fitto, ministro di Berlusconi, era a conoscenza, prima degli altri, dell’indagine sul premier.
Domanda pleonastica.
Qualcuno farà notare questa imbarazzante coincidenza al primo onorevole del Pdl che capita a tiro di telecamera e microfono?