Nel Paese che non conosce più le mezze misure – ubriacato da anni di sprechi smisurati, di burocrazia ipertrofica, di politica del favore – è in atto il capovolgimento di un ideale. La ricchezza che fino all’altroieri era il simbolo di un governo godereccio e opulento, è improvvisamente diventata un indizio di colpevolezza.
Sui giornali e su internet scatta la caccia alle proprietà di un politico che magari non ha fatto nulla di male se non investire nel mattone i soldi onestamente guadagnati, si consuma la vendetta (per cosa?) ai danni di uno che a Natale è andato in vacanza alle Maldive pagando tutto addirittura coi suoi soldi. Foto di ville, di corpi esposti al sole tropicale, di brindisi a piedi nudi vengono pubblicate come se si trattasse di prove schiaccianti. Ecco dov’erano quei deputati a Capodanno mentre noi mangiavamo lenticchie fredde nel tinello! Loro se la spassano mentre il Paese tira la cinghia, vergogna!
Il senso forcaiolo della sana invidia – perché a tutti piacerebbe stare in panciolle davanti a un tramonto caraibico anziché rodersi il fegato nel traffico cittadino – costituisce un brutto segnale. Perché volere vivere in modo migliore e non poterlo fare può suscitare umanissimi pensieri virulenti, ma fingere di usarli per una nuova lotta di classe rischia di farci sprofondare nell’abisso del ridicolo. Al quale peraltro siamo già pericolosamente vicini.
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A Cesare quel che è di Cesare
Quello che sta accadendo per il caso di Cesare Battisti è un tipico esempio di ubriacatura da superficialità collettiva. Che produce errori da una parte e dall’altra, col risultato di estremizzare sempre più le posizioni.
Infatti se andate a vedere chi sono i protagonisti più agguerriti dello scontro vi accorgerete che non c’è spazio per un moderato ragionamento tra i finto-giustizialisti più agguerriti e gli pseudo-intellettuali più radicali. I primi brandiscono la clava di una linea dura che riguarda tutti tranne che il loro capo (uno che le leggi se le fa fare su misura, come gli abiti). Gli altri si agitano sui sentieri del ragionamento evitando di fare i conti con le strettoie del diritto.
Quel che, mi pare, manchi è quel pizzico di logica che, come sempre, riconcilia i furori con la ragione.
Battisti ha condanne in contumacia all’ergastolo per quattro omicidi. In almeno un paio di casi – a dire degli innocentisti – c’è qualche ombra nella ricostruzione giudiziaria. Attenzione: siamo davanti a sentenze definitive, quindi vagliate da decine di giudici.
Due considerazioni.
Se anche in un caso – il delitto Torreggiani – ci fossero dubbi sul reale coinvolgimento del condannato, rimarrebbero gli altri omicidi a giustificare la pena da scontare.
Se anche in un caso – il delitto Torreggiani o qualsiasi degli altri – si fosse verificato un errore giudiziario, bassissima (se non inesistente) sarebbe la possibilità di una ripetizione ossessiva dello stesso errore.
La tesi degli innocentisti porta, senza mai nominarla apertamente, alla congiura. A una sorta di ordine di Stato per incastrare Cesare Battisti. Tesi sconclusionata data la caratura del personaggio. Se proprio si fosse voluto prendere un capro espiatorio non si sarebbe scelto un delinquentello rapinatore conclamato. Si sarebbe puntato decisamente più in alto.
La tesi dei giustizialisti è viziata da un peccato originale: quello di un doppiopesismo ridicolo, con una legge che deve essere dura per alcuni e impalpabile per pochi altri.
In realtà – ne avevamo parlato un paio d’anni fa – ci sarebbe solo da mandare ognuno al proprio posto: Battisti in galera, perché, se anche fosse un perseguitato, di quattro omicidi ne avrebbe commesso almeno uno (e non parliamo di bruscolini); gli intellettuali (o pseudotali) fuori dall’arena; i politicanti fuori dalle scatole.
Insomma ci sarebbe da dare a Cesare quel che è di Cesare.
La colpevole è la vittima
Un uomo ammazza la nipote con la complicità della figlia, ma la moglie teme per la vita della figlia perché, dice, in realtà lui adesso vuole uccidere la figlia che, dal canto suo, dice di essere stata incastrata dal padre che invece la accusa, mentre la moglie dice: io non ho paura.
Sta a vedere che la colpa è tutta della nipote che è morta senza darsi pena di lasciarci neanche un appunto per la prossima puntata di “Chi l’ha visto?”.
L’interesse comune
Tutti noi seguiamo con ansia il dramma dei terremotati abruzzesi. La Sicilia è zona ad alto rischio sismico quindi, per parte nostra, non è difficile identificarsi con chi vive sull’orlo del baratro. Però la sensazione della perdita improvvisa, senza apparenti colpevoli, è tragicamente unica. Solo chi sopravvive può sobbarcarsi un simile fardello. E noi ora non siamo sopravvissuti, ma semplici testimoni.
Verrà la ricostruzione, che è mera consolazione materiale ma indispensabile appiglio per cercare di riemergere. Il governo italiano è davanti a una prova cruciale di efficienza e civiltà. Non conta la mano che mette un mattone sopra l’altro, conta che quei mattoni diventino muro, casa, città.
Se fossi un amministratore qualunque di un’amministrazione qualunque scriverei una frase davanti alla mia porta: ricordate, l’interesse comune non è la somma degli interessi privati.