Grammatica da macello

Totò Rizzo ha mantenuto la promessa fatta ieri. E ha tirato fuori la foto.

Grammatica circense

Senza parole. Aggiornamento. Ho trovato le parole, me le ha suggerite Toto Rizzo: “Portate i vostri bambini al circo!!! E voi del circo, portate i vostri bambini a scuola…”

Quel porco di Natale

La vignetta è di Gianni Allegra

di Raffaella Catalano

Il mio Natale è un gran maiale.
Non nel senso che per la vigilia mi si presenta a casa un Babbo con la solita barba bianca ma che invece del vestito rosso ha un impermeabile da aprire davanti ai miei ospiti per esibire le sue pudenda, costringendomi a gridargli che è un porco.
No. Parlo di maiale nel senso di suino.
Il “porco di Natale” è una mia ricetta, che un tempo definivo più amabilmente “maiale al latte”. Prima di detestarla.
Sono secoli che a casa mia, in vista delle feste, si fa una specie di riunione per decidere il menù del 24 sera. Siamo in tanti e bisogna coordinarsi se non si vuol finire per mangiare solo antipasti o solo dessert. Capitò una volta – non so dire quando, dato che il ricordo ormai si perde in un passato paleolitico – che, mannaggia a me, mi offrii di cucinare il maiale al latte.
Il consenso fu unanime. Tutti ricordavano che in un ieri ancora più remoto lo preparava ogni tanto mio nonno quando eravamo bambini. Poi mia madre. Era buonissimo. Indimenticabile.
Da allora, quel suino mi pesa come se lo portassi sul groppone. Fu un successo di tali proporzioni – oggi direi una sciagura – che non c’è stato più scampo: non è Natale se non mi si costringe a rifarlo, rifarlo, rifarlo. E io, da un anno all’altro, ogni notte ho incubi a base di fiumi di latte, distese di burro, piogge di chiodi di garofano e, nel mezzo, come una sadica vedette, lui, il maledettissimo porco.
Quest’anno avevo sperato in una svolta. La diossina! Il suino avvelenato! Che bello, ce lo vietano, avevo pensato, immaginandolo bandito almeno una volta dalla nostra tavola.
E invece no. Condannata a cucinarlo ancora.
Chi vuole la ricetta me la chieda. A suo rischio e pericolo.

Sandra e Raimondo, che classe

“Siamo di quella generazione in cui l’attore sapeva di entrare nelle case senza suonare il campanello, e quindi ci entrava con la cravatta e con garbo”.
In questa frase c’è tutto il bello della televisione di ieri e tutto il contrario della televisione di oggi. Non a caso l’ha pronunciata Sandra Mondaini in occasione del suo addio alle scene.
Ho sempre ammirato la prorompente normalità della coppia Vianello-Mondaini, forse per un motivo generazionale: sono figlio di quella tv che aveva spettatori e non ostaggi. Ricordo – ed è segno che la mia biologia si avvicina a quella di una testuggine – l’intrattenimento puro di Tante scuse, di Canzonissima, di No no Nanette (di cui canticchio ancora la canzone, sotto la doccia).
Il piacere di battute semplici, un gusto che sa essere piccante e salato senza mai offendere il palato della buona creanza.
Attori, intrattenitori di classe. Ecco cosa sono per me Sandra Mondaini e Raimondo Vianello. Artisti che hanno sempre obbedito a una regola fondamentale che non è solo dello spettacolo, ma del vivere civile: si ha voce se si ha testa.
Intorno a noi, quante ugole orfane di cervelli…

Libri, suocere e assassini

Quest’anno abbiamo disquisito di arte e necessità con la stessa veemenza con la quale ci siamo scontrati sulla presunta utilità dell’iPhone. Una suocera ci ha raccontato il Festival di Sanremo e un misterioso personaggio ha reso entusiasmanti le sue beghe familiari. Abbiamo celebrato con un elogio ai perdenti la vittoria di un premier che chiede il ricovero coatto per chi non la pensa come lui. Tra diari del piacere nascosto e originali esercizi di psico-giardinaggio, abbiamo trovato il tempo per inseguire un sindaco che latita, indignarci per un amministratore locale un po’ troppo intraprendente e magari cambiare lavoro.  Ci siamo divisi su libri e autori di successo. Abbiamo consumato polpastrelli sul revisionismo degli anni settanta e sulla tv del terzo millennio. Non siamo rimasti impassibili davanti al suicidio della nostra compagnia di bandiera e a quello di un pentito di Facebook. Abbiamo visto condannati che brindano e assassini colpevoli a metà, abbronzature di successo, film che meritano ancor più successo. Abbiamo schivato i superbosi ed eletto i migliori momenti peggiori, tra bambole spettinate e quarantenni in quarantena.
Tutto questo per dirvi che oggi questo blog, pur con una nuova veste e un nuovo indirizzo, compie due anni. Per ringraziarvi ho cercato di mettere dentro questo post quanto più di tutti voi, co-autori, titolari di rubrica, ospiti, lettori.
E ora cantare, please.

L’immagine riproduce un acrilico su carta di Gianni Allegra. Si intitola “Cartolina in giallo” ed è l’illustrazione, pressochè inedita in Italia, della cartolina-invito per una mostra personale di Allegra svoltasi a Siviglia nel 2007 e curata dallo scrittore andaluso Alejandro Luque.
Per gentile concessione dell’autore.

Una nuova casa piena di tette e culi


di Giacomo Cacciatore e Raffaella Catalano

Chi sa di internet e dei suoi meccanismi ci informa che un trasloco virtuale implica un iniziale spaesamento da parte dei visitatori. Inevitabilmente si perdono contatti. E’ una questione di abitudine e ci vuole un po’ di tempo per riposizionarsi in Google e in altre classifiche. Allora abbiamo pensato di fare un regalo al padrone della nuova casa: non potendo donare soprammobili, piante o quadri, abbiamo deciso di dare fondo a tutta la paccottiglia di vocaboli che sul web garantisce un picco di accessi e una rinnovata visibilità. E’ un regalo al quale tutti si possono unire con una loro quota di partecipazione in termini di parole. Contribuire è semplice: basta inserire nei commenti una lista anche breve di vocaboli che ci sembrano tra i più cliccati in internet. E’ chiaro che finezza, ricercatezza e buon gusto andranno a farsi benedire. Ma solo per questa volta.
Noi cominciamo così:
Serie 1 – iPod, iPod nano, nano superdotato, Berlusconi, Belen, Rossano, gay, cazzo, culo, tette.
Serie 2 – Cellulare, Mac, playstation, playboy, powerbook, suonerie, Simona Ventura, gemelle De Vivo, Palazzo Grazioli, Isola dei Famosi, bidello Carlo, Vladimir Luxuria, lussuria, scambio di coppie, Bill Clinton, Hillary Clinton, Ilary Blasi, Barack Obama.
Serie 3 – Cani, gatti, hard core, XXX, fetish, monnezza, Napoli, Gomorra, Saviano, Oscar, Oscar Luigi Scalfaro, viagra, vip.

Borsa valori e scarpe vecchie

Nella baraonda di dati sullo stato dell’economia, mi colpisce la leggerezza con la quale si somministrano le cifre, che dell’economia sono il dna. Milano + 6,5 per cento, Francoforte +7,63, Parigi con +8,68, Londra +6,19, il Dow Jones a +3, il Nasdaq a +3,2. E’ la teoria del “colpo di spugna”, utile per certi mascalzoni che si annidano nella politica italiana, inutile per gli equilibri monetari del pianeta. Basta un attimo e tutto si aggiusta. Et voilà.
La rondine solitaria che annuncia la primavera generalmente muore di polmonite: una cosa è saper volare, un’altra è saper mantenere i piedi per terra. E proprio i piedi mi hanno dato prova di quanto le cifre contino. Quest’anno ho deciso di non acquistare scarpe nuove, ne ho di vecchie che possono ancora macinare chilometri. Sono andato da un calzolaio con tre paia di Clarks e gli ho chiesto di pulirmele. Sapete quanto mi ha chiesto? Venti euro a paio. Praticamente il 15 per cento del loro valore. Per una pulizia, mica per una riparazione. Ovviamente l’ho mandato a quel paese.
Se la rondine improvvida dovesse passare dalle mie parti, spero che cada sulla testa di quell’uomo. Magari con un bel paio di scarponcini di nabuk sulle zampe.

Una nuova casa

Eccoci qua. Questa è la nuova casetta virtuale: certo “casetta virtuale” non è il massimo dell’originalità, ma negli ultimi giorni non è che abbia dormito troppo. Quindi perdonatemi.
Ancora ci sono gli operai in giro, un po’ di calce sul pavimento, mancano quadri e tappeti. Però i servizi sono funzionanti e l’accoglienza è garantita. E poi c’è l’architetto che sorveglia…
Mi piacerebbe sapere che ne pensate e, soprattutto, come mi vedete coi vostri browser.

Palermo, che grinta

Avevo studiato un po’: politica, situazione internazionale, economia.
Poi ho visto Palermo-Milan.
A nulla sono valsi i due rigori concessi ai rossoneri, il tifo milanista dei telecronisti di Sky e un arbitro che ha concesso il recupero del recupero.
Tre a uno, con grinta e classe.
Alè!

L’arte e la necessità

Vedo un bel film (tranquilli, non faccio il pippone come due settimane fa), leggo un grande libro (magari roba di casa nostra, degli anni ‘70): vivo un buon periodo. Soprattutto perché ho capito – sto capendo – qualcosa di più dell’arte. Prima pensavo che godere di ciò che è bello, interessante, divertente fosse frutto di strane convergenze astrali: ti può capitare solo a certe condizioni, se sei fortunato, se cavalchi una certa lunghezza d’onda.
Invece non è così.
L’arte, come ha detto ieri in tv Roman Polanski, è frutto della necessità. E’ un meccanismo di difesa della nostra natura. Lasciarsi incantare da un quadro, da una canzone, da un romanzo o da un film è un modo, assolutamente biologico, per creare anticorpi contro quelle cellule impazzite che degenerano nel male della superficialità e dell’intolleranza. E’ una cura lenta alla quale tutti dovremmo sottoporci con la certezza che se la scienza non fa miracoli, l’arte almeno ce li racconta talmente bene da farceli sembrare veri.