Chiacchiere e croficisso

Nelle critiche di blasfemia al film di Ficarra e Picone “Santocielo” c’è tutta la ruggine degli ingranaggi che regolano il rapporto della religione, la nostra religione, con la vita sociale, la nostra vita sociale. L’uscita di don Mario Sorce, parroco della chiesa del Sacro Cuore di Gesù di Agrigento che è anche direttore del Servizio di pastorale sociale dell’arcidiocesi di Agrigento, ha più a che fare con un’azione di polizia morale che con il diritto di critica. Perché la critica si basa sul metro artistico, sulla tecnica e l’effetto, persino sul gusto, ma non grida allo scandalo, non induce al boicottaggio in nome di Dio: soprattutto non traccia la storia come ci piacerebbe leggerla. È questo il bullone arrugginito che blocca lo scorrere degli ingranaggi tra noi, molti di noi, e la religione, per chi crede.
L’arte – che è quella di Ficarra e Picone, come è quella di chiunque usi la fantasia per creare occasioni di racconto – non prevede suggeritori esterni che raddrizzino i muri, correggano la rotta. L’arte è appunto (anche) muri stori e rotte perigliose.
Non capirlo, o far finta di non capirlo, è un gesto da polizia morale o comunque da ignoranti. Lo spettatore può dissentire quanto vuole, del resto gli autori hanno come primo obiettivo quello di mirare ai sentimenti, di scuoterli, di far cadere le foglie secche. Ma l’uomo di chiesa, che parla per il gregge (perché lui ancora considera pecore i suoi “seguaci”) avrà sempre l’idea di un auditorium muto, al limite belante, al quale indicare la retta via: immaginando un mondo di rette vie che paiono correre all’infinito e invece si perdono sino a dissolversi nel buio della grettezza.

P.S.
Il prete di cui sopra ha bocciato il film senza nemmeno averlo visto. Quindi ha espresso un giudizio alla cieca: chi non sa, non può parlare di ciò che non sa.
Insomma tutta la polemica nasce dalla presunzione di chi giudica senza conoscere e andrebbe liquidata con un’alzata di spalle. Ma, essendoci di mezzo la religione, è bene impegnarsi a distinguere le chiacchiere dai crocifissi.

Tra Flaubert e Dio

Qualche giorno fa parlavo di religione con degli amici cattolici praticanti. Io sono un orecchiante della fede, nel senso che per credere in Dio devo costruirmi dei modelli semplici e non mi bastano i riti per tenere a bada la curiosità.
I miei amici sono stati molto pazienti ad ascoltare le mie perplessità e mi hanno anche spiegato molte cose che non sapevo sui vangeli, sulla bibbia e su alcuni tecnicismi delle sacre letture. Non finirò mai di ringraziarli per il garbo con cui mi hanno sopportato.
Ieri mi sono imbattuto in questo brano tratto da “Madame Bovary” e ho pensato che Gustave Flaubert è un ottimo spunto per la prossima discussione su Dio e dintorni.

“Io ho una religione” rispose il farmacista. “La mia religione, anzi ne ho più di loro, e senza tante commedie e tanta ciarlataneria! Io adoro Dio, invece! Credo in un Essere Supremo, in un Creatore, quale che sia, non ha importanza, il quale ci ha messi quaggiù per adempiere i nostri doveri di cittadini e di padri di famiglia; ma non ho bisogno di andare in una chiesa a baciare piatti d’argento e a ingrassare di tasca mia un branco di buffoni che mangiano meglio di me. Lo si può onorare benissimo in un bosco, in un campo, o addirittura contemplando la volta celeste come gli antichi. Il mio Dio è lo stesso di Socrate, di Franklin, di Voltaire e di Béranger. Sono d’accordo con la Professione di fede del vicario savoiardo e i principi immortali dell’89! Così io non ammetto un Dio alla buona, che passeggia in giardino con il bastone in mano, alloggia i suoi amici nel ventre delle balene, muore lanciando un grido e risuscita dopo tre giorni: cose assurde in se stesse e d’altra parte in contrasto con tutte le leggi della fisica; e questo dimostra, per inciso, che i preti si sono sempre crogiolati in una torpida ignoranza nella quale tentano di far sprofondare insieme con loro tutti i popoli.”

Quando Dio si diverte

Non frequento le chiese, ancor meno le messe. Eppure ieri mi è capitato di assistere alla messa cantata nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi. Le voci del coro e la potenza dell’organo a canne mi hanno regalato un’emozione nuova, quella che ha a che fare con l’arte e contemporaneamente con la fede. Poco dopo sono stato in visita alla chiesa di Saint Eustache, bellissima, dove all’interno c’era una grande tavola imbandita per i poveri: gente che mangiava, beveva, sorrideva, chiacchierava a due passi dall’altare.
Secondo me, in tutt’e due le occasioni, Dio si è molto divertito.

Autobiografia

Per la prima puntata del suo nuovo programma su Raiuno (“Il mio canto libero” dal 18 maggio), Vittorio Sgarbi ha scelto come argomento Dio. Evidentemente partire con un’autobiografia gli dà sicurezza.

Il corpo di Cristo (bibite incluse)

Gira in questi giorni, tra gli annunci pubblicitari di Google posizionati in siti e blog, questo banner di un ristorante di Isola delle Femmine in provincia di Palermo.
Se – come luogo comune insegna – la pubblicità è l’anima del commercio, quale miglior testimonial di chi l’anima la conosce meglio di tutti (difetti di fabbrica compresi)?

Se i vescovi muovono le terga

C’è un Paese che marcisce per il malgoverno. Ci sono fabbriche che chiudono e aziende che licenziano. C’è un livello di scontro istituzionale appena al di sotto dello scontro fisico, dell’arma bianca, del morso in testa come al polpo. C’è una leadership politica che promuove la forma rispetto alla sostanza e sarebbe già ottima cosa se non si trattasse della mera forma fisica, al netto degli interventi di chirurgia plastica. C’è un premier che ha bisogno di andare in piazza contro l’opposizione per sentirsi legittimato. C’è un’opposizione che non riesce ad approfittare del fatto che il premier ha bisogno di un coro, due saltelli, una discoteca in una piazza di vecchi che fanno i giovani, un simil-giuramento di Pontida per rianimarsi. C’è una nazione in cui gli intellettuali fanno le veline e viceversa. C’è persino un sentimento, l’amore, che è stato degradato a vantaggio di una coalizione: il partito dell’amore. Come se fosse un format, come in virtù di un copyright.
Con questi scenari i vescovi per cosa muovono le loro terga, in vista di una competizione elettorale?
Per l’aborto.
Come dire, cerchiamo nelle saccocce altrui per evitare che qualcuno ispezioni le nostre. Oppure, rifugiamoci in un classico per non esprimere un giudizio sull’attualità.
Quant’è brutta questa Chiesa. Quant’è vecchia, senza peraltro mostrare i vantaggi dell’anzianità. Quant’è distante dagli uomini di buona volontà.
Mi piace immaginare che il Dio in cui credo sia incazzato come un capitano durante un ammutinamento. Barra a dritta e arma in mano.
Comunque vadano le cose, io sarò con lui e non con quegli altri.

Natale e Betlemme 2

La foto è di Paolo Beccari
La foto è di Paolo Beccari

Qualche pensiero cattivo il caso Boffo-Feltri lo ispira.
Innanzitutto quella nota anonima in cui si addita il direttore di Avvenire come omosessuale e quindi, in qualche modo, colpevole dalla nascita: un surplus di peccato originale. I nostri servizi segreti sono gli unici al mondo a dissanguare il nemico con la lama del cattivo gusto. Il Mossad spara, la Cia mette esplosivi, noi produciamo dossier mefitici.
Poi la solidarietà dei preti e addirittura – de relato, come si fa nelle aule giudiziarie – del Papa. I casi sono due: o Boffo è un castigafemmine da Guinnes dei primati e la Chiesa si è spostata verso il priapismo Berlusconiano che deve vendicare il semplice sospetto di una mascolinità non effervescente; oppure Boffo è un gay che, come tutti gli esseri viventi, ha i suoi alti e i suoi bassi, compie i suoi errori e paga il conto. In questo caso la Chiesa compie un passo memorabile accogliendo un peccatore della peggior specie (gay, per il Vaticano, è poco meno di assassino) tra le braccia.
Infine Feltri. Il suo sogno è farsi egli stesso velina (nel senso di carta clandestina) e velina (nel senso di femmina danzante per l’imperatore d’Italia). Essere al tempo stesso portatore e oggetto di un’annunciazione: dal suo ventre il figlio di Dio nascerà ancora, avrà capelli nuovi di zecca, pastorelle scollate al seguito e il controllo completo di tutte le comete dell’universo.
Verrà alla luce a Betlemme 2, costruita per l’occasione.

P.S.
Qui
un’interessante top ten sul tema e le sue varianti.

Se anche Dio (o chi per lui) balla

Non ho dimestichezza con l’argomento, ma questo è per me un vero matrimonio da sogno.

Idem per il divorzio (il video è ovviamente una parodia).

Visto su Wittgenstein.

Lo specchio del barbiere

Storie minime

di Roberto Puglisi

Lo specchio del barbiere è il custode della nostra anima filosofica. Ti siedi e osservi quel tale, dall’altra parte del riflesso, mentre gli tagliano i capelli, mentre gli accorciano la barba, mentre gli cambiano il cuore. Che cosa è il cuore se non il riverbero della nostra immagine, la percezione emotiva di noi stessi, lo specchio d’acqua torbido o puro in cui guardiamo i sentimenti, pezzi di carne in bocca a un cane bavoso? Intorno a quella fetta di carne che ci pende dalle labbra, non sapendo mai cosa fare, se lasciarla cadere o addentarla, rimandiamo le scelte. Rimandando, le costruiamo intorno un castello di pensieri per renderla invisibile: è ghiotta la nostra filosofia.
Mi sono seduto ancora una volta, con supremo sprezzo del pericolo e del ridicolo, sullo scranno del barbiere. Quando ero bambino, c’era mio padre specchiato in lontananza su uno sgabello offerto al pubblico. Ogni tanto, mi sorprendo a cercarlo, nonostante l’evidenza. A dispetto dell’evidenza, mi sento abbandonato. Come se il mio volto di dodicenne appesantito fosse rimasto solo in un deserto crescente, in un nulla che tutto invade, spazzando via affetti e gioie. Non vedo più nemmeno il barbiere. Forse ha lasciato qui la sua mano forbicemunita, una finzione, il simulacro di un’eguaglianza dei giorni che non esiste. Di chi è la voce che parla del Palermo? E’ Dio? E’ un registratore nascosto, per meglio ingannare? Mi alzo confuso, gocciolante di dubbi e dopobarba. Non ho il coraggio di specchiarmi oltre. Al mio posto si siede Gianni che fu colpito dalla meningite quando era bambino e bambino è rimasto, a prescindere dal suo corpo. Gianni sorride. Recita una filastrocca a memoria. Io vorrei fare finta di leggere il giornale. Ma a un certo punto non ce la faccio più. Mi chino e gli poso un bacio sulla guancia.

L’immagine riproduce l’acrilico su tela “Cronaca” di Gianni Allegra, per gentile concessione dell’autore.