Di Karol Wojtyla mi piace ricordare il suo grido contro la mafia, nel maggio del 1993, quando nella Valle dei Templi di Agrigento ruppe il protocollo e, a braccio, lanciò la sua invettiva contro i mafiosi ordinando loro di convertirsi (il pentimento era troppo poco per crimini così grandi).
Nel giorno della sua beatificazione preferisco invece sorvolare sulle sue posizioni conservatrici a proposito di aborto e ordinazione sacerdotale femminile, sul silenzio da lui “ispirato” per evitare che i casi di pedofilia del clero divenissero di dominio pubblico, e sulla sua ferma avversione contro l’uso del preservativo come mezzo di prevenzione dell’AIDS.
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Un post volgare
Questo post, pur nella sua brevità, contiene un’espressione volgare. Vi prego di scusarmi, ma non sono riuscito ad aggirarla.
Papa Benedetto XVI ha tuonato contro la pillola abortiva, incitando i cattolici a non rispettare una legge dello Stato italiano e ricordando che “la lotta dei cristiani consisteva e consiste non nell’uso della violenza…”. Le affermazioni del Pontefice sono aggredibili per almeno due motivi.
1) La sua ingerenza nella liceità delle leggi italiane è legittima quanto quella di un qualunque inquilino di Palazzo Chigi nella scrittura di un’enciclica o in un qualunque estratto conto dello Ior.
2) Il riferimento alla biblica (ops!) non violenza dei cristiani dovrebbe essere più specifico: c’è o no una prescrizione storica per le Crociate e l’Inquisizione?
Infine un dettaglio che fa transitare le considerazioni del Papa dallo status di contestabili a quello di detestabili. Nelle sue propalazioni di ieri, Benedetto XVI non ha mai fatto riferimento allo scandalo dei preti pedofili che vede coinvolti lui, Paolo VI e diversi papaveri vaticani.
Insomma, senza troppe metafore, questo Papa si cura dei cazzi degli altri, ma non dei propri.
Se i vescovi muovono le terga
C’è un Paese che marcisce per il malgoverno. Ci sono fabbriche che chiudono e aziende che licenziano. C’è un livello di scontro istituzionale appena al di sotto dello scontro fisico, dell’arma bianca, del morso in testa come al polpo. C’è una leadership politica che promuove la forma rispetto alla sostanza e sarebbe già ottima cosa se non si trattasse della mera forma fisica, al netto degli interventi di chirurgia plastica. C’è un premier che ha bisogno di andare in piazza contro l’opposizione per sentirsi legittimato. C’è un’opposizione che non riesce ad approfittare del fatto che il premier ha bisogno di un coro, due saltelli, una discoteca in una piazza di vecchi che fanno i giovani, un simil-giuramento di Pontida per rianimarsi. C’è una nazione in cui gli intellettuali fanno le veline e viceversa. C’è persino un sentimento, l’amore, che è stato degradato a vantaggio di una coalizione: il partito dell’amore. Come se fosse un format, come in virtù di un copyright.
Con questi scenari i vescovi per cosa muovono le loro terga, in vista di una competizione elettorale?
Per l’aborto.
Come dire, cerchiamo nelle saccocce altrui per evitare che qualcuno ispezioni le nostre. Oppure, rifugiamoci in un classico per non esprimere un giudizio sull’attualità.
Quant’è brutta questa Chiesa. Quant’è vecchia, senza peraltro mostrare i vantaggi dell’anzianità. Quant’è distante dagli uomini di buona volontà.
Mi piace immaginare che il Dio in cui credo sia incazzato come un capitano durante un ammutinamento. Barra a dritta e arma in mano.
Comunque vadano le cose, io sarò con lui e non con quegli altri.
Dovere di silenzio
Poche parole
di Raffaella Catalano
Interrompere una gravidanza è sempre una scelta molto dolorosa.
Ma esiste una legge sull’aborto. Quindi le donne che vogliono abortire hanno il pieno diritto di farlo.
Esistono pure i medici obiettori. I quali, se non vogliono prestarsi, hanno uguale diritto di non praticare aborti.
Ognuno, in teoria, è in condizione di esercitare il libero arbitrio.
Allora bisogna smetterla di lapidare a parole le donne che abortiscono, smetterla di urlare “assassine” nei corridoi di un ospedale. Nel dolore, si taccia.
Il buio del parcheggio – 2
“Buonasera, come sta?”
“Male signora, male”.
Era un po’ di tempo che non lo vedevo, il posteggiatore – gentiluomo. Quello a cui, dopo una brutta avventura e un’accurata indagine di mercato, affido la macchina.
“Sto male signora – prosegue – Mi ho lasciato con mia moglie”.
“Mi dispiace, è stato per l’aborto?”.
Il posteggiatore in questione aveva raccontato a me e a all’intero quartiere che la consorte, incurante del suo parere contrario, voleva “fare l’aborto” del secondogenito.
“Sì – risponde – Ora vive dai suoi genitori. Io il 18 marzo sono tornato a casa e non ho trovato niente. Si era portato tutto: dalle fotografie ai vestiti del bambino. Ora ha messo in mezzo l’assistente sociale”.
“Perché?”.
“Perché ho fatto una sciocchezza: mi ho impiccato”.
Lo osservo con la curiosità di chi vede per la prima volta il viso di un suicida fallito.
“E chi l’ha salvata?” domando.
“Un mio amico. Io gli avevo mandato un messaggio dicendo di salutarmi tutti, compresa la mia sposa, e che la mia vita era finita. Così lui è arrivato a casa mia, ha spaccato il vetro di una finestra e mi ha preso. Se ritardava un attimo, morto mi trovava”.
Quando mi consegna le chiavi della macchina chiedo: “Il bambino, adesso lo vede?”.
“Lo vedo di nascosto all’assistente sociale”, mi dice sottovoce.
“E se sua moglie se ne accorge?”
“Mia moglie lo sa. E’ d’accordo con me”.
Non ci capisco nulla e vado. Mentre sento che un altro automobilista lo saluta: “Peppe, come stai?”
“Male. Mi ho lasciato con mia moglie e mi ho impiccato”.