Lo specchio del barbiere

Storie minime

di Roberto Puglisi

Lo specchio del barbiere è il custode della nostra anima filosofica. Ti siedi e osservi quel tale, dall’altra parte del riflesso, mentre gli tagliano i capelli, mentre gli accorciano la barba, mentre gli cambiano il cuore. Che cosa è il cuore se non il riverbero della nostra immagine, la percezione emotiva di noi stessi, lo specchio d’acqua torbido o puro in cui guardiamo i sentimenti, pezzi di carne in bocca a un cane bavoso? Intorno a quella fetta di carne che ci pende dalle labbra, non sapendo mai cosa fare, se lasciarla cadere o addentarla, rimandiamo le scelte. Rimandando, le costruiamo intorno un castello di pensieri per renderla invisibile: è ghiotta la nostra filosofia.
Mi sono seduto ancora una volta, con supremo sprezzo del pericolo e del ridicolo, sullo scranno del barbiere. Quando ero bambino, c’era mio padre specchiato in lontananza su uno sgabello offerto al pubblico. Ogni tanto, mi sorprendo a cercarlo, nonostante l’evidenza. A dispetto dell’evidenza, mi sento abbandonato. Come se il mio volto di dodicenne appesantito fosse rimasto solo in un deserto crescente, in un nulla che tutto invade, spazzando via affetti e gioie. Non vedo più nemmeno il barbiere. Forse ha lasciato qui la sua mano forbicemunita, una finzione, il simulacro di un’eguaglianza dei giorni che non esiste. Di chi è la voce che parla del Palermo? E’ Dio? E’ un registratore nascosto, per meglio ingannare? Mi alzo confuso, gocciolante di dubbi e dopobarba. Non ho il coraggio di specchiarmi oltre. Al mio posto si siede Gianni che fu colpito dalla meningite quando era bambino e bambino è rimasto, a prescindere dal suo corpo. Gianni sorride. Recita una filastrocca a memoria. Io vorrei fare finta di leggere il giornale. Ma a un certo punto non ce la faccio più. Mi chino e gli poso un bacio sulla guancia.

L’immagine riproduce l’acrilico su tela “Cronaca” di Gianni Allegra, per gentile concessione dell’autore.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

7 commenti su “Lo specchio del barbiere”

  1. grazie di cuore, a Roberto e a Gianni.
    Se mi posso permettere, una fiaba illustrata.
    E visto che a quest’ora credo di essere in casa (di Gery) solo io, la considero per la mia buonanotte.
    (e per l’ospite aggiungo che deve ringraziare che qui non si possono mettere foto in allegato!)

  2. Il mio barbiere, quando ero bambino, era il signor R., aveva una mascella lunga e un pendente da un lato. Assomigliava a Totò. Due borse sotto gli occhi e un camice celeste. Siccome ero molto basso non arrivavo allo specchio, allora il signor R. toglieva un cassetto dal mobile sotto lo specchio e me lo metteva sotto per alzarmi un po’. Tagliarmi i capelli era una tragedia. Mio padre praticamente pagava lui e me. Il signor R. mi voleva bene e ci sapeva fare con me. Ricordo come fosse ora il ticcheggio delle sue forbici come animate da una vita propria; era una sinfonia, una sorta di assolo di uno strumento musicale. Ma anche il martello del muratore era così, e anche quello del fabbro, e perfino l’ago di mia nonna che entrava e usciva dal lenzuolo stirato dal telaio mentre era seduta davanti alla finestra e piano la luce del giorno diveniva sempre più smorta. Non si accendeva mai la luce artificiale che era peccato, diceva mia nonna. Ricordo il silenzio talmente fitto che si tagliava con il coltello, il lento morire del giorno, il tic tac dell’orologio a pendolo, le ombre che si raggrumavano nella stanza, il lampadario che pendeva dai fondali smisurati delle penombre del soffitto, i muti soprammobili immobili e il suono bombato dell’ago che bucava il lenzuolo. Il signor R. non aveva il cesso nella sua bottega di barbiere. Quando doveva orinare, aspettava che non c’era nessuno nella bottega, poi mi diceva : ” Baldù, talìa si veni caccarunu” e orinava nel lavandino aprendo il rubinetto e sbottonandosi un bottone del camice celeste. Ora ha chiuso bottega e passeggia a braccetto con una romena nel parco. Ero un mago delle forbici, una specie di Sonny Rollins, ve l’assicuro

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