Mettetevi nei panni del direttore di un giornale.
Se una vostra iniziativa giornalistica diventerà una moda avrete da gioire perché la trovata ha avuto successo. Al tempo stesso avrete da deprimervi perché la vostra idea è stata degradata a chiacchiericcio, tiritera, ispirerà molte brutte imitazioni.
Accade in questo momento, e da qualche mese, con le dieci domande di Repubblica a Silvio Berlusconi.
Sui giornali e sul web c’è un fiorire di domande, anzi di dieci domande, a chiunque. Anche a chi con mezza risposta potrebbe già raccontare la propria vita, oppure a chi con dieci risposte avrebbe fatto soltanto un passo verso le attenuanti generiche. Da Marrazzo a Franceschini, dall’allenatore del Rimini Calcio a Beppe Grillo, da Fini a Emma Dante, da Augusto Minzolini a Massimo D’Alema, da Dino Boffo a Tom Wolfe, dal sindaco di Bergamo a Giancarlo Abete. In mezzo – è vero – ci sono spunti di satira e tipiche provocazioni internettiane (da salvaguardare), ma a ben leggere c’è anche una certa dose di banalità.
La mia domanda sulle dieci domande è questa: la vogliamo finire di imbastire domande come se fossero comandamenti e torniamo a chiedere quello che ci pare senza che ci sia un format da rispettare?
P.S.
Anche perché poi finisce che se siete il famoso direttore del famoso giornale poi clonate voi stessi e non è una mossa strategicamente furba.
Il sostituto di Boffo all’Avvenire lancia un appello ai cattolici affinchè giudichino il recente comportamento della stampa e delle televisioni (specie quelle private).
Aspetto che nei ritagli di tempo si giudichino chi e cosa hanno ispirato questo comportamento. Con calma però, non vorrei che i cattolici si sovraffaticassero.
Nessuno mi toglie dalla testa che le dimissioni di Dino Boffo sono tutto tranne che un atto di resa.
Strategicamente pesano più delle dieci domande di Repubblica.
Qualche pensiero cattivo il caso Boffo-Feltri lo ispira.
Innanzitutto quella nota anonima in cui si addita il direttore di Avvenire come omosessuale e quindi, in qualche modo, colpevole dalla nascita: un surplus di peccato originale. I nostri servizi segreti sono gli unici al mondo a dissanguare il nemico con la lama del cattivo gusto. Il Mossad spara, la Cia mette esplosivi, noi produciamo dossier mefitici.
Poi la solidarietà dei preti e addirittura – de relato, come si fa nelle aule giudiziarie – del Papa. I casi sono due: o Boffo è un castigafemmine da Guinnes dei primati e la Chiesa si è spostata verso il priapismo Berlusconiano che deve vendicare il semplice sospetto di una mascolinità non effervescente; oppure Boffo è un gay che, come tutti gli esseri viventi, ha i suoi alti e i suoi bassi, compie i suoi errori e paga il conto. In questo caso la Chiesa compie un passo memorabile accogliendo un peccatore della peggior specie (gay, per il Vaticano, è poco meno di assassino) tra le braccia.
Infine Feltri. Il suo sogno è farsi egli stesso velina (nel senso di carta clandestina) e velina (nel senso di femmina danzante per l’imperatore d’Italia). Essere al tempo stesso portatore e oggetto di un’annunciazione: dal suo ventre il figlio di Dio nascerà ancora, avrà capelli nuovi di zecca, pastorelle scollate al seguito e il controllo completo di tutte le comete dell’universo.
Verrà alla luce a Betlemme 2, costruita per l’occasione.
P.S.
Qui un’interessante top ten sul tema e le sue varianti.
Ho cercato di tenermi alla larga dall’ultima – in senso cronologico, purtroppo – puntata del sexualgate italiano. Su questo blog mi sono limitato a sottolineare notizie e a mettere un paio di (personali) accenti, nulla di più.
Solo che, avendo trascorso un fine settimana di relax, sono incappato nella trappola della lettura oziosa dei giornali. E lì la cosa si è complicata.
Lo scoopino fallico Con questa storia dello scoopino fallico di Vittorio Feltri sui trascorsi pruriginosi del direttore di Avvenire, Dino Boffo, mi è montata una certa rabbia.
Perché ancora nelle vicende trasversali del premier Berlusconi e in tutte le reazioni a esse collegate si continuano a confondere ruoli, situazioni, pesi.
Che il braccio armato della pattuglia editoriale berlusconiana tenda a dimostrare la presunta omosessualità di uno degli accusatori del leader viagro-fallico di un Paese che non si regala più neanche una falsa morale, è specchio della bassezza cui si è arrivati. Non per tematiche, né per linguaggio, ma per logica.
Tramare contro un giornalista con argomenti così miserabili e fuori luogo significa non aver rispetto di un bene fondamentale: la pubblica intelligenza.
Perché equivale a mettere sullo stesso piano figure molto diverse, ontologicamente contrapposte: il capo e il garante del popolo, il padrone e il guardiano.
Capisco che il linguaggio è un po’ retorico e può suonare retrò, però vi chiedo ancora poche righe di pazienza.
La biologia del Male
La contrapposizione, tutta berlusconiana, tra Bene e Male nella vita pubblica presuppone una forzatura, per non dire una bestemmia, sociale: chi vive nel Male (berlusconianamente inteso) c’è nato, è biologicamente inguaribile e, soprattutto, è oggettivamente marchiato. In realtà, come tutti sanno e alcuni fanno finta di non sapere, non c’è un decreto che spieghi chi è dritto e chi è storto, chi è colpevole e chi è mascariato, chi è furbo e chi è caritatevole. Come scriveva Adriano Sofri qualche giorno fa “che le persone agiscano male non significa affatto che ignorino che cosa è bene, e addirittura lo proclamino”.
Strategia criminale
Contrapporre Boffo a Berlusconi sarebbe una strategia puerile se il livello dei cospiratori non la rendesse criminale.
Boffo non ha elargito carriere pubbliche, posti in parlamento, palchi e riflettori, telecamere e foto patinate. Berlusconi sì.
Boffo non ha fatto dei suoi incontri sessuali, di qualunque tipo siano, un trampolino di lancio per signorine carine più o meno prezzolate. Berlusconi sì.
Boffo non tiranneggia. Berlusconi sì.
Boffo non conta un granché. Berlusconi sì.
Boffo non crede che tutti abbiano una trappola sessuale da temere, come una specie di spettro comune. Berlusconi sì.
E questo è molto pericoloso.