Storie minime
di Roberto Puglisi
Lo specchio del barbiere è il custode della nostra anima filosofica. Ti siedi e osservi quel tale, dall’altra parte del riflesso, mentre gli tagliano i capelli, mentre gli accorciano la barba, mentre gli cambiano il cuore. Che cosa è il cuore se non il riverbero della nostra immagine, la percezione emotiva di noi stessi, lo specchio d’acqua torbido o puro in cui guardiamo i sentimenti, pezzi di carne in bocca a un cane bavoso? Intorno a quella fetta di carne che ci pende dalle labbra, non sapendo mai cosa fare, se lasciarla cadere o addentarla, rimandiamo le scelte. Rimandando, le costruiamo intorno un castello di pensieri per renderla invisibile: è ghiotta la nostra filosofia.
Mi sono seduto ancora una volta, con supremo sprezzo del pericolo e del ridicolo, sullo scranno del barbiere. Quando ero bambino, c’era mio padre specchiato in lontananza su uno sgabello offerto al pubblico. Ogni tanto, mi sorprendo a cercarlo, nonostante l’evidenza. A dispetto dell’evidenza, mi sento abbandonato. Come se il mio volto di dodicenne appesantito fosse rimasto solo in un deserto crescente, in un nulla che tutto invade, spazzando via affetti e gioie. Non vedo più nemmeno il barbiere. Forse ha lasciato qui la sua mano forbicemunita, una finzione, il simulacro di un’eguaglianza dei giorni che non esiste. Di chi è la voce che parla del Palermo? E’ Dio? E’ un registratore nascosto, per meglio ingannare? Mi alzo confuso, gocciolante di dubbi e dopobarba. Non ho il coraggio di specchiarmi oltre. Al mio posto si siede Gianni che fu colpito dalla meningite quando era bambino e bambino è rimasto, a prescindere dal suo corpo. Gianni sorride. Recita una filastrocca a memoria. Io vorrei fare finta di leggere il giornale. Ma a un certo punto non ce la faccio più. Mi chino e gli poso un bacio sulla guancia.
L’immagine riproduce l’acrilico su tela “Cronaca” di Gianni Allegra, per gentile concessione dell’autore.
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