Mentre Borsellino moriva


Quando ammazzarono Paolo Borsellino io ero in ferie, a Levanzo. Mentre il tritolo lacerava il giudice e gli agenti della scorta, io dormivo.
La mattina ero andato a pescare con i miei cugini per poi rivendere il pesce al ristorante presso il quale avremmo cenato la sera stessa: consumando e pagando più del doppio il pesce che noi stessi avevamo fornito.
Avevo già un telefono cellulare, un Mitsubishi, che incastravo sul bordo di una finestra socchiusa, nella stanza in cui vivevo per quelle settimane di leggendaria spensieratezza. La linea era sempre disturbata e la posizione millimetrica dell’apparecchio era determinante per ricevere una telefonata oppure niente.
Quel pomeriggio quando mi risvegliai mi accorsi che un colpo di vento aveva fatto cadere il cellulare per terra. Non appena lo ricomposi e lo riaccesi, l’apparecchio squillò con tutti gli arretrati di notizie che mi ero perso. Mio fratello fu il primo a dirmi cosa era successo. Poi un collega del giornale. Poi un altro collega di una tv. Accesi il televisore, Canale 5, e vidi un giovanissimo Salvo Sottile, irriconoscibile – che pure avevo visto crescere accanto a me – che biascicava frasi di circostanza davanti al nulla di una strage assurda.
La sera non andai a mangiare al ristorante al quale avevamo consegnato una cernia di quattro chili e optai per una frittata che mi offrì Nitto Mineo, il padrone dell’albergo in cui mi trovavo.
Parlò solo lui, tavolo per due. Mi raccontò delle tonnare, del mare, e di quando uno squalo lo aveva mancato per un paio di centimetri. Poi quasi si scusò per quella narrazione lontana dal fumo oleoso di via D’Amelio.
Io lo ringraziai e, dopo una generosa dose di Fernet, andai a letto.
Ci misi un paio di ore prima di addormentarmi. Poi cedetti alla stanchezza.
Tutto questo mi sembra che sia accaduto ieri. Invece sono passati 19 anni.
Ero giovane, ora non lo sono più.
Si invecchia in un attimo, giusto il tempo di fermarsi a ricordare.

Quattro anni

In quattro anni un bambino ha già imparato a camminare e a parlare, un vino è diventato bello tosto (o avariato), un partito può essere scomparso (o rinato), un computer può essere antico, un telefonino decrepito.
Io quattro anni fa scrivevo il mio primo post su questo blog. Non immaginavo che, anche grazie a questo mezzo, la mia vita professionale sarebbe cambiata in modo così radicale. Avevo qualche sospetto, sì, però non riuscivo a scacciare la diffidenza: mi concedevo questo piccolo svago e stavo attento a non innamorarmene.

C’era un’altra aria nel web. Non si era ancora sopita la spinta pionieristica che nella mia città rendeva simili agli extraterrestri certe creature che affidavano ai diari online le loro confidenze, fregandosene di quello che avrebbero pensato gli amici del bar o i colleghi di lavoro. Lavoravo in un giornale che, pur avendo spento il suo sito dopo la delusione della bolla del Duemila, attingeva a piene mani da internet, immaginando un tipo di comunicazione più rapida, immediata. Seguivo, da lettore avido e silenzioso, i blog più affermati e prendevo appunti soprattutto quando leggevo qualcosa che non mi piaceva: ho sempre avuto la pulsione perversa di annotare cosa non si fa piuttosto che segnarmi come si fa (ma magari ne parleremo in un post apposito).

Dicevo, c’era un’altra aria. Pochi effetti speciali e molta sostanza, anche in termini di idee. Un certo snobismo spingeva molti di noi a riempire le pagine web di parole, le migliori che potevamo trovare, e ci distraeva dalle immagini, che – lo avremmo scoperto molto tempo dopo – sono un importante veicolo di traffico.
Non era ancora conclamata dalle nostre parti la “globalizzazione” di internet. Al massimo ti leggevano il parente, il collega, e il colpo di fortuna che ti poteva capitare era di ricollegarti virtualmente un amico di infanzia emigrato in Australia (non c’era ancora Facebook a spegnere le sorprese) che ti chiedeva se ti eri sposato e quanti figli avevi sfornato.

Quattro anni sono passati. A pensarci bene la vita nel web non è poi così diversa da quella reale: i nickname passano, come i falsi amici (in fondo sempre di finzione si tratta); i concetti restano, come alcuni post che – ti accorgi – sono stati rilanciati, tradotti, nei quattro angoli del pianeta.
C’è un solo momento in cui, credo, sia lecita l’autocelebrazione, ed è quello di un anniversario. Da queste pagine sono passate centinaia e centinaia di migliaia di persone, un’infinità per un piccolo blog. In molti hanno lasciato un contributo, la maggior parte ha letto senza manifestarsi. Sarò stato fazioso, presuntuoso, noioso, avrò sbagliato di certo tono e registro ogni tanto, non mi sarò sincronizzato con l’umore corrente e magari avrò pure toppato l’aggettivo, avrò fallito il bersaglio e sarò stato eccessivo, mi sarò lasciato andare con filippiche fuori misura e avrò celebrato troppo il mio ombelico. Però spero di non aver mai tradito il patto di fiducia col lettore: 2.012 post in 1.460 giorni, cioè 1,3 post al giorno per tutti i giorni che il Signore manda in terra, Natale, Capodanno, Pasqua, Ferragosto, ferie, malattie e cazzi propri compresi.

Tutto questo per dire grazie a tutti voi che ogni mattina vi prendete la briga di leggere le mie righe e magari vi incazzate, e magari mi scrivete privatamente,  e magari mi perdonate se siete l’oggetto del post in un giorno in cui non avevo di meglio da fare, e magari mi telefonate per progettare una cena insieme, e magari mi inviate una cosa che avete scritto, e magari dite peste e corna alle mie spalle, e magari…
In quattro anni accadono molte cose e infinite sono le cose di cui perdiamo memoria. Io ho la presunzione di dire che difficilmente dimentico torti e ragioni. E il blog mi aiuta in questo proposito dissennato.
Grazie a tutti.

Tre anni

buon compleanno blog

Oggi questo blog compie tre anni. Mi piacerebbe ringraziare uno per uno le migliaia di lettori che mi onorano della loro attenzione. Ma siccome non sono Berlusconi, mi rendo conto che tra le pie intenzioni e le promesse qualche differenza c’è.
Non mi piacciono le celebrazioni perché, forse, portano pure sfortuna. Quindi sarò breve.
Grazie agli affezionati e ai nuovi arrivati, ai coautori e ai detrattori, agli amici vicini e lontani. Grazie a chi scrive su queste pagine e a chi si trattiene dal farlo per indulgenza. Grazie a chi mi sopporta, mi sprona, mi cazzia, mi fornisce spunti, mi corregge. Grazie a Daniela.

Sopra, il tentativo di scalata della immensa torta di compleanno.

Libri, suocere e assassini

Quest’anno abbiamo disquisito di arte e necessità con la stessa veemenza con la quale ci siamo scontrati sulla presunta utilità dell’iPhone. Una suocera ci ha raccontato il Festival di Sanremo e un misterioso personaggio ha reso entusiasmanti le sue beghe familiari. Abbiamo celebrato con un elogio ai perdenti la vittoria di un premier che chiede il ricovero coatto per chi non la pensa come lui. Tra diari del piacere nascosto e originali esercizi di psico-giardinaggio, abbiamo trovato il tempo per inseguire un sindaco che latita, indignarci per un amministratore locale un po’ troppo intraprendente e magari cambiare lavoro.  Ci siamo divisi su libri e autori di successo. Abbiamo consumato polpastrelli sul revisionismo degli anni settanta e sulla tv del terzo millennio. Non siamo rimasti impassibili davanti al suicidio della nostra compagnia di bandiera e a quello di un pentito di Facebook. Abbiamo visto condannati che brindano e assassini colpevoli a metà, abbronzature di successo, film che meritano ancor più successo. Abbiamo schivato i superbosi ed eletto i migliori momenti peggiori, tra bambole spettinate e quarantenni in quarantena.
Tutto questo per dirvi che oggi questo blog, pur con una nuova veste e un nuovo indirizzo, compie due anni. Per ringraziarvi ho cercato di mettere dentro questo post quanto più di tutti voi, co-autori, titolari di rubrica, ospiti, lettori.
E ora cantare, please.

L’immagine riproduce un acrilico su carta di Gianni Allegra. Si intitola “Cartolina in giallo” ed è l’illustrazione, pressochè inedita in Italia, della cartolina-invito per una mostra personale di Allegra svoltasi a Siviglia nel 2007 e curata dallo scrittore andaluso Alejandro Luque.
Per gentile concessione dell’autore.