Undici anni, stiamo insieme

Undici anni. Cazzo, undici anni è un ragazzino che va in prima media, è la durata del ciclo solare, è la condanna in primo grado a Francantonio Genovese per lo scandalo sulla Formazione professionale in Sicilia, è il numero della missione Apollo che portò il primo uomo sulla Luna,  è il tempo che ci separa dall’ultima coppa del mondo di calcio vinta dalla nostra nazionale e dalla morte di Piergiorgio Welby, è il nome della giovane protagonista di Stranger Things, è il punteggio con cui il vecchio Totocalcio ci faceva mangiare le mani e il Totip invece godere così così, è l’età in cui scoprii il Super8, è il numero dei cornuti.
Ed è l’età di questo blog.
Undici anni fa. Lavoro, domicili, sentimenti, prospettive, musica, amicizie. Un cataclisma entusiasmante di passioni, delusioni, rivincite. Comunque un inanellarsi di elementi di stupore spesso estremo. Negli altri anniversari, su queste pagine, ho parlato di voi, della pattuglia inscalfibile di lettori, delle notizie che ci avevano affascinato, dei mood nei quali eravamo incappati. Stavolta c’è un contesto molto più invadente al quale dare spazio.
Il mondo è cambiato nel modo più complicato possibile, cioè nei microcosmi delle piccole cose. Un esempio per tutti sintonizzato su queste frequenze: prima si commentava nel blog, cioè nel luogo dello spunto, della notizia, oggi si commenta altrove, sui social, cioè nel luogo del riverbero, una agorà che usurpa contenuti non suoi e che declina ogni responsabilità rispetto ai contenuti tutti suoi.
Il tema della post verità ha aperto una nuova fase della mia vita professionale: da quando esiste questo blog ho cambiato lavoro almeno quattro volte, sempre con gioiosa fatica e con le mie sole forze. Oggi la vera soddisfazione arriva dalle università che mi chiamano a raccontare quel che ho appreso in questo lungo e periglioso cammino, dalla libertà con cui posso scrivere concedendomi il beneficio del dubbio, dall’orgogliosa insoddisfazione di aver scelto di guadagnare meno di chi mi ha preceduto e dal malcelato orgoglio di aver raggiunto risultati che i miei predecessori si sognano. Lo scrivo con presunzione perché ognuno a casa sua può mettere i piedi sul tavolino quando, alla sera, è giunto il momento di un rilassato bilancio. E nessuno può recensire le sue gambe stanche.
Perché questo è il mio blog e ho la concessione di suonarmela e di cantarmela: è inebriante quando qualcuno mi incontra e mi dice “ti leggo sempre” e io ringrazio sempre con la stessa frase, “Questo è il vero premio, il Signore te lo paga”. E giù benedizioni laiche che solitamente si traducono in aperitivo pagato. È accaduto sino a ieri con una persona sconosciuta, giuro.
Undici anni sono una vita e il giro di boa di una vita: oltre 3.600 post sono poco meno di un post al giorno, festivi e cazzi miei compresi. Converrete che è un dato che merita se non rispetto, almeno compassione.
Sorvolo su questo 2017 che se ne sta andando, un anno orribile per il sottoscritto, e guardo al futuro quando anche questo formato, con ogni probabilità, dovrà cambiare. I giornali poveri di idee e l’aggressività degli haters impongono mutazioni genetiche che non mi spaventano. Uno degli elementi che più mi inorgoglisce è la crescita esponenziale dei miei detrattori: quest’anno la magistratura penale ha condannato in sede definitiva un mio diffamatore con sentenza destinata a essere una pietra miliare nell’era delle fake news. Ciò vuol dire che vale ancora la pena di grattare la ruggine delle verità di comodo e di disarcionare gli improvvisati di un mestiere che al giorno d’oggi, purtroppo,  è fatto più di nostalgia che di illuminazioni.
Insomma in un clima da sopravvissuti vi dico grazie e una volta tanto vi chiedo di restare vigili.
Stiamo insieme che fuori fa freddo.

In cammino da dieci anni

in cammino

Oggi questo blog compie 10 anni. E già questo basterebbe per dire: miii! Nell’era dell’ultravelocità, della compressione temporale, dell’istantaneità di Snapchat, dell’invecchiamento subitaneo dei concetti, un blog che dura da 3.650 giorni, con 3.480 post pubblicati e 18.630 commenti, va in qualche modo celebrato (che sia il mio o quello di qualcun altro).
E allora partiamo con la parte più semplice, quella che compone la short version di questo pezzo.
Come siamo cambiati?
Politicamente siamo avanzati di pochi passi, quello che serve per poter tornare indietro senza fatica non appena se ne presenta l’occasione.
Tecnologicamente siamo extraterrestri rispetto a dieci anni fa, basti pensare alla rivoluzione degli smartphone che ha influenzato i nostri costumi.
Sul fronte del web lo tsunami dei social ha cambiato l’orografia dei luoghi digitali. Un esempio per tutti, tra quelli che mi riguardano direttamente in questa occasione: il trasferimento dei commenti dal blog a Facebook, cioè dal luogo primigenio dell’idea, a quello in cui l’idea è semplicemente messa in vetrina. Ci ho messo del tempo per adattarmi a questo circolo innaturale dell’opinione: io scrivo sul blog, posto il link sul social, la gente dal link del social va a leggere il blog, quindi torna indietro, e poi va di nuovo in avanti, al social, dove commenta qualcosa che lì non c’è, perché il testo originale è nel blog. In principio credevo di trovarmi di fronte a una sorta di schizofrenia, poi però ci ho fatto l’abitudine: del resto anche il cilicio col tempo diventa meno straziante.
C’è stato un momento, lo scorso anno, in cui ho avuto la tentazione di mollare. Gli impegni personali, l’invadenza dei social network, la mancanza di grandi stimoli di cronaca mi avevano fiaccato. Ma proprio mentre stavo per vergare la mia letterina di addio mi è capitato di rileggere alcune di queste pagine e di rivivere l’emozione di un tempo, quando scrivevo qui per missione, per vendetta, per esigenza vitale. All’improvviso mi sono imbattuto in un commento di una persona che poi, proprio grazie al blog, è diventata amica: mi faceva il complimento più bello.

uomo-libero

Ecco che cosa cerchiamo noi che viviamo di parole scritte. Cerchiamo altre parole scritte che ci sostengano, perché noi non siamo cemento, ma mattoni. E i mattoni da soli non servono a niente se non c’è qualcosa che li tenga su, impilati e solidi.
Questo penso al traguardo di questi dieci anni. E per questo vi ringrazio. Per essere stati cemento, tutti voi.

 Fine della short version.

 

Per chi ha ancora voglia e pazienza di leggere c’è poi il capitolo personale.

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Nove anni possibilmente per non perdersi

blog

Nove anni sono passati. Da quando pastrocchiai le prime quattro parole su questo blog sono passati nove anni. Allora non ci credevo troppo, pensavo a un riempitivo della vita, una specie di abbaino in cui rifugiarsi quando si vuol far finta di pensare ad altro. Invece quelle quattro parole cambiarono tutto.
In questi nove anni, da qui sono passati pensieri di ogni forgia, autori di ogni pedigree, è passata vita (molta) e miracoli (pochi) di molti di noi. Anche la morte ha avuto la sua fetta, perché è inevitabile guardare un fiume che scorre e non pensare a ciò che passa e che non c’è più.
Inutile dirvi quanto sia cambiata la mia esistenza. Chi ha avuto la pazienza di seguirmi ha avuto qualche assaggio della rivoluzione che mi ha investito da quel 10 dicembre 2006. Continua a leggere Nove anni possibilmente per non perdersi

Ed è così che tutti sudati abbiam saputo di quel fattaccio

Prima che Giorgio Faletti diventasse uno scrittore sopravvalutato, era un artista di una certa sensibilità. La sua “Signor tenente” mi sembra un buon modo per onorare la memoria di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, uccisi esattamente ventidue anni fa.

La memoria del Vajont

Nel cinquantesimo anniversario della tragedia del Vajont, a parte che pregare per le vittime non c’è altro da fare che rivedersi il capolavoro di Marco Paolini (di cui abbiamo già parlato).

The dark side of the music

In questi giorni The dark side of the moon dei Pink Floyd compie quarant’anni. Al di là della spinta innovativa e delle vicende storiche che ne hanno fatto uno degli album più venduti di tutti i tempi, resta – mio parere – una sola constatazione da fare. Tutti quelli che giustamente (ingenuamente?) credono che la musica sia infinita e che non si possa applicare un criterio statistico all’arte, hanno di che pensare oggi: non c’è da dire “ai miei tempi” né “il passato non ritorna”, ma semplicemente c’è da arrendersi a una musica attuale che va giù liscia come un pasto stupidamente perfetto, che non lascia nulla nel suo transito (ergo, non nutre) e si smaltisce quasi interamente coi suoi residui.
Era bello sentirsi affamati con un’improvvisazione vocale – perché di questo si trattò – come The great gig in the sky.

La speranza e gli onesti

Ricordare è celebrare. Trent”anni fa ero un ragazzo. Quando uccisero il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ero con gli amici a fare baldoria. La notizia arrivò non so come, mentre eravamo stravaccati sui vespini parcheggiati in una strada di Mondello. Molti di noi nemmeno sapevano chi era Dalla Chiesa.
Un paio di giorni dopo mi capitò di passare dal luogo della strage e mi colpi quel cartello che sarebbe entrato nella storia delle grandi tragedie italiane. Non ho mai dimenticato quelle parole, e in principio le ho ritenute più che fondate. Col tempo ho riacquistato la speranza, ma credo che sia giusto tenere sempre a mente quella frase di disperazione. Per capire da dove proveniamo. E ricordare.

Elvis è vivo. Anzi no

La causa della morte fu “costipazione cronica”.

In realtà non è mai morto.

Era di origine aliena.

Fu tra i responsabili dell’omicidio di John Fitzgerald Kennedy.

Alla fine pesava quasi 160 chili ma tutti lo ricordano come un sex symbol.

Ci sono molti modi per evocare la leggenda (e le leggende) di Elvis Presley, di cui ricorre oggi il 35 anniversario della morte. Il più semplice e inequivoco è, secondo me, questo:

Fumo

Per far fronte a una smemoratezza congenita, tendo a prendere appunti e a segnarmi tutte le date che hanno una certa importanza. A parte compleanni e onomastici celebro quindi tutta una serie di anniversari e ricorrenze che un essere umano potrebbe benissimo risparmiarsi.
Senza entrare troppo nello specifico ma per darvi un’idea, festeggio una data in cui ho fatto un passo che allora mi sembrava più lungo della gamba e che invece era una scelta saggia, una solenne mandata a fare in culo, il compleanno della casa in cui oggi vivo con mia moglie, il buco di un orecchino, la ricorrenza di un contratto stracciato.
L’altro giorno, ad esempio, la sveglia del telefono cellulare (lo strumento deputato a dare notizia di appuntamenti e ricorrenze) mi ha ricordato che non fumo da tre anni. Mi sono congratulato con me stesso per una coerenza che non credevo di avere, ma soprattutto mi sono meravigliato per come è stato facile dimenticarmi delle sigarette dopo trent’anni di schiavitù. Questione di ambiti e compagnie.
Temo che un non fumatore faccia una vita migliore, con gente migliore e prospettive migliori. Anche se conosco imbecilli che non hanno mai toccato una sigaretta e persone preziose che non riescono a liberarsi dal vizio.

Viva voi!

Quando scrissi il mio primo post su questo blog pensavo a un diario personale, a una specie di blocchetto telematico per gli appunti.
Sono fortunato perché molte cose belle, alcune meravigliose, mi sono successe negli anni: e negli spunti di felicità includo anche gli errori dai quali ho imparato e le infelicità che ho lasciato per strada. Di tutto ciò abbiamo spesso discusso insieme, in un percorso lungo 2.426 post. Magari non sempre mi sono trovato d’accordo con voi, ben ricambiato comunque. Però ci siamo confrontati. Ed è per me una gioia, quando capita di incontrare fisicamente qualcuno di voi per la prima volta, ritrovarmi a parlare con una persona che mi conosce perché mi ha letto (e magari mi ha pure criticato).
Da questo blog sono nate molte iniziative editoriali e anche alcune amicizie. Il blocchetto per gli appunti si è trasformato in una macchina un po’ più complessa, come l’evoluzione del web impone. Le cose cambiano.
Oggi pare che il microblogging viva un periodo luminoso. Ed è un orgoglio constatare che su queste pagine il widget di Twitter è stato integrato con un buon anticipo rispetto a molti altri siti, anche più popolari.
Infine mi piace ricordare la ferrea obbedienza praticata da queste parti nei confronti della logica della condivisione: i contenuti sono pubblici, ma il merito va sempre agli autori; non si ruba niente, si diffonde; se si cita si linka.
Uno dei difetti dell’enorme diffusione del web è il progressivo abbandono della netiquette. Chiunque copia, incolla, spamma, si preoccupa solo di allungare la catena ma non gliene frega niente del primo anello. I nuovi barbari del www sputacchiano su Facebook, rimbalzano su un tumblr, atterrano sul sito dell’amico/nemico e commentano sempre a occhi chiusi, sgomitando per farsi notare. Insomma, un casino.
Lo scorso anno, proprio il 10 dicembre, scrissi:

Tutto questo per dire grazie a tutti voi che ogni mattina vi prendete la briga di leggere le mie righe e magari vi incazzate, e magari mi scrivete privatamente, e magari mi perdonate se siete l’oggetto del post in un giorno in cui non avevo di meglio da fare, e magari mi telefonate per progettare una cena insieme, e magari mi inviate una cosa che avete scritto, e magari dite peste e corna alle mie spalle…

Il ringraziamento era per i quattro anni del blog.
Oggi ne festeggiamo cinque.
Viva voi!