C’è questo trend della simpatia, tra i politici aspiranti premier. Battute, allusioni, uso degli animali, scenette ai comizi. Come se la simpatia fosse un mestiere che si impara: beh, oggi mi faccio due o tre orette di training con un volumetto di Gino Bramieri.
Il più inefficace degli antidoti contro l’antipatia atavica della politica italiana è l’allegria finta, l’ammiccamento forzato a favore di telecamera. Senza voler fare il nemico della contentezza, credo che quello che oggi serva a un aspirante capo del governo sia la spontaneità, l’immediatezza, non il copioncino mandato a memoria con prestazioni da repertorio dell’Istituto Luce.
Insomma, siamo la repubblica delle banane: a che serve fare le scimmie?
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Band of bandits
Da appassionato di musica mi sono chiesto: se, con la massima libertà, dovessi paragonare una formazione politica a una band, come mi comporterei? Ci ho dormito su un paio di notti e poi dal taccuino accanto al comodino sono venuti fuori questi accoppiamenti.
Giudicate voi.
Pdl – Duran Duran: in fondo c’è un brano per ogni stagione.
Pd – Simon & Garfunkel: si sta sempre un passo indietro rispetto all’entusiasmo.
Movimento 5 stelle – Muse: la tecnologia aiuta, eccome.
Lega Nord – Status Quo: l’ignoranza purtroppo non è un freno.
Udc – Gipsy King: ne esistono in giro una decina di versioni ufficiali.
Fli – Lynyrd Skynyrd: la fortuna sta nella loro disgrazia.
Agenda Monti per l’Italia – Steve Miller Band: il solista si è fatto banda, e non è finita…
Rivoluzione Civile – Art of Noise: poca musica, molto noise.
Italia dei valori – Steely Dan: uno solo suonava, gli altri a scrocco.
La chemioterapia, l’Imu e il cancro della stupidità
In Sicilia la candidata montiana Gea Planeta Schirò ha paragonato l’Imu alla chemioterapia, inanellando una cazzata dietro l’altra. Se ne scrive con chiarezza su diPalermo, ma qui mi sembra necessaria un’appendice di provocazione che neutralizzi spero definitivamente questa scemenza.
La Planeta Schirò non ha una colpa originale, tutta sua, ma ha semplicemente mutuato il linguaggio della vecchia politica che lei stessa vorrebbe combattere. La lingua delle estremizzazioni, dell’ostentazione dei diti medi, delle toccate di culo, dei membri eretti e delle pallottole per i giudici non allineati.
Probabilmente la candidata non sa, o ha dimenticato, che il Paese si è rotto le scatole di queste esibizioni, non già perché bacchettone e parrinaro, ma perché stanco di essere preso in giro da guitti che si credono maestri di vita. La volgarità è l’esercizio più facile che esista: basta non riflettere, non progettare, non rispettare. E i politici che si esibiscono nei turpiloqui, metaforici o esplici, non meritano pernacchie né pomodori in faccia. Meritano l’omologazione con l’oggetto dei loro pensieri mefitici, meritano di vedersi – in uno specchio virtuale – come loro vedono gli altri.
Cioè così.
Reazione intestinale
Si è parlato di “vendetta”, ma ci starebbe anche “avvertimento” o più prosaicamente “porcheria”. Indubbiamente il voto contrario del Pdl al governo Monti come reazione alle dichiarazioni del premier sullo spread e Berlusconi è un’offesa al ruolo del parlamento perché mescola le questioni private con l’interesse pubblico. Ma è anche un’occasione preziosa per capire da chi siamo rappresentati: da un manipolo di furbacchioni che si fanno i fatti propri. Sei stato monello e io ti voto contro, e chi se ne frega se la barca affonda e siamo tutti con l’acqua alla gola.
La logica, molto berlusconiana, del tanto comando io deve essere estirpata con la forza perché se siamo nei guai è anche colpa di questo tipo di ragionamenti. Proveniamo da un ventennio di scollamento tra realtà parlamentare è realtà sociale, abbiamo tanti di quegli esempi di uso scorretto e/o abominevole della cosa pubblica che per trovare un solo caso positivo bisognerebbe far risorgere i morti.
Quei quattro fantasmi del Pdl che per manifestare la loro presunta esistenza in vita devono necessariamente ricorrere a mezzi straordinari, un tempo mi avrebbero fatto pena. Oggi più che un sentimento, suscitano in me una reazione intestinale.
Ognuno parli di ciò che sa
Il problema di Antonio Cassano non è la frase sugli omosessuali né la sguaiataggine mentale di uno che di mestiere ha sempre tirato calci a un pallone, ma il circo nel quale si esibisce.
Il mondo del calcio si occupa sempre meno di calcio e sempre più di altro. E dire che quel mondo era nato come realtà parallela per distrarsi dal resto, cioè per non pensare ad altro. Invece le nefandezze dalle quali fuggivamo per quei benedetti novanta minuti a settimana (prima si giocava come si andava a messa, una volta ogni sette giorni) ora ce le ritroviamo ogni giorno, dentro e fuori dai campi da gioco, prima e dopo il fischio d’inizio, con o senza scie giudiziarie.
Antonio Cassano è un campione nel suo sport, il che non fa di lui automaticamente un maestro di pensiero. Ha tutti i numeri per parlare di dribbling e falli in area, ma non ha gli strumenti culturali per discettare d’altro. E’ notoriamente un ignorante quindi non gli si può piazzare davanti alla bocca un microfono in eurovisione e farlo rispondere a ruota libera. E’ questo l’errore che si commette nel circo del calcio: far ruggire chi non è tigre, far danzare chi non è ballerino.
Non è la moratoria proposta da Monti la soluzione più idonea per raddrizzare le gambe storte di un mostro miliardario, ma forse un passo (indietro) di prudenza.
Ognuno parli di ciò che sa, il resto è tassativamente vietato. Per contratto.
Separati alla nascita
Un Paese senza calcio
Pur essendo un tifoso, non mi sconvolge la provocazione di Monti che ipotizza uno stop generale del calcio italiano per un paio d’anni, il tempo di azzerare scandali e viziacci. Potrei essere anche d’accordo a patto che quello proposto dal premier sia un modello.
Azzeriamo pure tutti i consessi, le organizzazioni, i sodalizi, gli organi elettivi, i vertici, le società che non funzionano. Fermiamoli e aspettiamo che il motore si raffreddi prima di cambiare gli ingranaggi consunti. Verifichiamone in tal modo il reale peso sulla società: niente niente si scopre che si può far a meno di qualcosa di costoso e che ciò che sembrava necessario è invece superfluo.
Un Paese senza calcio può vivere benissimo. A patto che non ci si illuda che il calcio ne incarni in toto i vizi e i difetti.
Il dovere e il piacere
Altro che maggiordomo, il colpevole è l’economista
Sui media c’è un processo di semplificazione che in questo momento rischia di piallare le notizie rendendole tutte consone a una tesi: la crisi economica è alla base di tutto, omicidi, depressione, sparizioni, atti di follia, incidenti, suicidi.
E’ chiaro che qui nessuno si sogna di sminuire la gravità della situazione finanziaria del Paese e soprattutto delle famiglie italiane, ma il voler ricondurre forzatamente ogni evento straordinario e drammatico a un’unica causa, straordinaria e drammatica anch’essa, non dà ragione alla cronaca.
Stamattina ho visto un titolo emblematico sulla Nuova Sardegna: “Macellaio sparito, gli affari erano in crisi”. Ogni passo fuori misura, ogni comportamento anomalo viene insomma misurato col metro del conto bancario. Se sei in rosso e ti allontani da casa perché tua moglie detesta l’odore dei tuoi calzini, ti descriveranno subito come aspirante suicida. Se invece i soldi ce li hai e ti butti da un ponte perché tua moglie ti tradisce con un commercialista scriveranno che eri ossessionato dalle tasse. Non c’è più spazio per un ingiustificato atto di follia.
O così o me ne vado
Il succo delle dichiarazioni di Mario Monti è questo: o così o me ne vado. E mai, a mia memoria, un premier aveva minacciato di mollare tutto per il rischio di mancata coesione tra il Paese e il programma di governo. Certo, si dirà, questo non è un esecutivo eletto ed è più facile muoversi per ultimatum. Ma i governi che c’erano prima, pur non essendo tecnici, l’aut aut l’utilizzavano ugualmente, solo in modo più presuntuoso: ad esempio minacciando o imponendo la fiducia.
Credo che la presa di posizione di Monti meriti un minimo spazio nella memoria delle cronache giornalistiche e spero che qualche giornale le dedichi una riflessione ben più approfondita e prestigiosa di questa.
Dalla spocchia del “tanto ce la facciamo da soli”, del “pensatela come volete, noi abbiamo i numeri” al “se vi piace così va bene altrimenti ce ne andiamo”, mi pare che di differenza ce ne sia. Solo che ormai ci siamo abituati a una politica senza tette, culi e barzellette sporche e la crisi di astinenza dal trash fa passare in second’ordine una ritrovata serenità di contenuti.
Monti non è certo il miglior premier (ci sta dissanguando e chissà per quanti anni lo malediremo), però persino i suoi antipatici ultimatum rischiamo di passare alla storia come buone notizie.