Funziona così in un paese che si fa forte coi deboli e che lecca gli stivali agli arroganti. Uno, un giocatore, un funzionario pubblico, va a trattare con un delinquente per far sì che una partita di calcio possa iniziare, che gli ostaggi di uno stadio – che rappresentano una nazione intera – possano riprendere a respirare. Inutile dire che dovremo aspettare un’altra vita, giacché non c’è più speranza in questa, per provare l’emozione di vivere in un mondo ben sincronizzato, in cui se gli ultras di una squadra mettono a ferro e fuoco uno stadio e addirittura una città, non solo la partita non si gioca, ma la squadra se ne va a raccogliere margherite per qualche anno.
I discorsi alla melassa secondo i quali la moltitudine onesta non può pagare le colpe di un ristretto gruppo di monellacci dovrebbero valere non per i tifosi di quella squadra – che ha comunque una singolare concentrazione di malavitosi tra le sue file – ma per i cittadini di una nazione che non possono soggiacere ai desiderata di Genny ‘a carogna, uno che ha già un nickname lombrosiano.
In Italia lo Stato, o chi per lui, è sempre pronto a trattare per un oggetto misterioso che resta segreto ma che ha la forma della codardia. Che si tratti di mafia, di calcio, di agibilità politica, di mandanti occulti, di tritolo o di bombe carta, arriva puntuale un emissario in giacca e cravatta, o in calzoncini, o in divisa, pronto a stipulare patti da cui emerge una sola certezza: l’onesto sarà sempre un poveraccio che non conta un cazzo. Per tutto il resto basta rivolgersi a un galantuomo che si mostra al mondo con una maglietta che inneggia all’assassino di un poliziotto onesto.