La crisi dell’accappatoio

L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.

A leggere le cronache della politica siciliana pare che il tempo nei palazzi di governo si sia fermato, anzi bloccato. Ci sono parole con cui siamo invecchiati, tipo rimpasto, verifica, asse, coalizione. Parole innocenti che però rimandano a beghe di partiti che poco o nulla hanno a che fare con la ragione pubblica attorno alla quale dovrebbe coagularsi l’azione di un’amministrazione. Parole antiche, desuete. Fare le cose e farle bene: un concetto molto semplice, ma lontano dalla politica novecentesca che prevede di farle solo se sono funzionali all’immagine di chi le fa. L’ultimo caso palermitano è da manuale: tutto per un accappatoio. Il governatore Schifani, offeso dalla protesta del dirigente di “Italia Viva” Davide Faraone che si è mostrato come se fosse appena uscito dal bagno per criticare la gestione della crisi idrica da parte della Regione, ha chiesto la testa dei renziani in Consiglio comunale. I quali, dopo giornate di trattative estenuanti (quindi giornate di lavoro), si sono spogliati della responsabilità politica dicendo che loro in Comune ci stanno a titolo personale e che quindi “Italia Viva” può farsi gli accappatoi suoi. Ora, se ci fosse stato un minimo di collegamento tra i mondi di questa politica del Sottosopra e il mondo reale tutto si sarebbe potuto risolvere con un’alzata di spalle (o con una risata). Dal broncio di Schifani ai patemi di Lagalla per una protesta innocua e manco troppo originale, l’unica consapevolezza che si rafforza nel mondo plebeo non racchiuso nel Palazzo è che questi equilibrismi pacchiani non smuovono di un millimetro le sorti di una città. La trattativa per un capriccio, l’estenuante spiegazzamento del Manuale Cencelli per valutare quanto pesa una nomina in un teatro o in un aeroporto, il fingere di ritenere il rimpasto un cruciale espediente di governo, sono tutte mosse di una strategia meravigliosamente studiata per allontanare i cittadini senzienti dalla politica.  
È stupido, oltre che desueto, pensare che l’equivalenza buon governo-armonia tra alleati risolva il problema di una efficace amministrazione: lo dimostrano i fallimenti su cui questa terra ha sperimentato una nuova e triste tecnica di sopravvivenza, il disinteresse. Dal senso comune al senso del ridicolo il passo è già stato fatto.

Dite a Grillo che sono preoccupato

beppe grillo

Dove vuole arrivare Beppe Grillo? La domanda la pongo a me stesso e non ai militanti del Movimento 5 stelle che, come telecomandati, mi risponderebbero: “Ad azzerare il sistema attuale”. Che poi sarebbe anche una risposta che mi convince se solo intravedessi i passaggi elementari di una strategia così dirompente. Perché – lo dico pubblicamente – io il movimento di Grillo l’ho votato: mi sentivo di dare fiducia ai giovani, alle facce nuove, alla politica pulita, alla democrazia low-cost.
Però adesso sono allarmato perché non ci capisco niente.
Grillo mostra, almeno nelle prime battute, di muoversi con schemi vetusti, lui che si pone come il grande rinnovatore. La logica di schieramento rigida e inscalfibile è roba da partito comunista di quarant’anni fa, chi ha la mia età se la ricorda. La blindatura delle dichiarazioni non concordate e l’accentramento del sistema di comunicazione è un’invenzione di Berlusconi, anno di grazia 1994. La ruggine del “chi non è con me è contro di me” è l’elemento che ha distrutto movimenti di popolo come la Rete, ed è passato qualche decennio. Continua a leggere Dite a Grillo che sono preoccupato

Tra Grasso e Schifani

Non so come finirà al Senato tra Pietro Grasso e Renato Schifani (anzi sì, ma lo tengo per me). Però la certezza è che tra i due, come figure istituzionali, come personaggi politici, come professionisti, come entità simboliche, c’è tutta la distanza che corre tra un Paese normale e un Paese spacciato.

La sostanza e la forma

Esempi di sostanza che prevale sulla forma.

Mangio coi piedi nel piatto perchè devo pur sempre nutrirmi.

In auto me ne frego dei divieti e delle norme del codice della strada, l’importante è arrivare.

Sono candidato a qualunque Nobel anche se nessuno a Stoccolma sa della mia esistenza: oggi mi sento un tipo da premio.

Le dita nel naso arrivano lì dove il fazzoletto si ferma.

Clic a mano armata

rep schif

Da Repubblica.it

La memoria e la nudità

La foto è di Tony Gentile
La foto è di Tony Gentile

Per un errore nel cerimoniale, che ha il sapore di una vendetta politica, alla cena organizzata dal presidente della regione siciliana Raffaele Lombardo in onore del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, non sono stati invitati il presidente del Senato Renato Schifani, il presidente dell’Ars Francesco Cascio, il sindaco di Palermo Diego Cammarata e altri illustrissimi e bravissimi e preziosissimi rappresentanti istituzionali.
L’occasione era quella del diciassettesimo anniversario della strage di Capaci.
Col passare del tempo, credo sempre più nel potere taumaturgico della memoria e sempre meno nell’ostentazione di essa.
Oso: tanto una ricorrenza è dolorosa, quanto dovrebbe essere allontanata dalla vetrina. Il modo perfetto per ricordare i martiri come Falcone, Borsellino a tanti altri dovrebbe essere quello che più rispetta l’intimità dei cari. E per “cari” non intendo solo i familiari, ma tutte le persone a cui uomini di tal coraggio mancano nella vita di ogni giorno. Mi piacerebbero manifestazioni private aperte ai singoli privati, che siano presidenti di qualcosa o di nulla, cittadini privilegiati o qualsiasi. Un coro di preghiere, magari ognuno verso il proprio dio, senza il vizio del censo, dell’investitura, del ruolo. Del resto, in questi casi non è il dato anagrafico del mittente che conta, ma la destinazione.
La parola “cerimoniale” in questi casi stride come una bestemmia in chiesa. Se c’è un momento in cui ci si ritrova nudi, quindi tutti inesorabilmente sullo stesso piano, è quello del ricordo: ognuno ha il suo, intimo, personale. Se c’è qualcuno che sgomita per essere in prima fila, magari per ostentare l’abito o la divisa nuovi, è un uomo senza nudità. Una persona falsa, insomma.