Falliti e contenti

C’è una pericolosa deriva, incrementata dalla cretinaggine liquida dei social, che tende a dare le colpe di un fallimento, un qualsiasi fallimento, al cosiddetto sistema. Una azienda licenzia, una squadra fallisce, un teatro chiude, un negozio abbassa le saracinesche, un sodalizio si scassa: difficile trovare una responsabilità precisa nelle analisi degli addetti ai lavori, figuriamoci tra gli astanti.

C’è quasi sempre un politico da additare, anzi la politica in generale perché dopo il maggiordomo il colpevole ideale è il ministro, o il sindaco o l’assessore di turno. C’è quasi sempre questa odiosa diluizione della colpa, anche quando è chiaro che un inetto a guida di un ente pubblico o di una fabbrica sempre minchiate combinerà.

Nella mia vita la maggior parte dei fallimenti (economici, politici e sociali) in cui mi sono imbattuto erano da addebitare esclusivamente a chi dirigeva quelle realtà. Se un’attività commerciale chiude è perché, al netto di rarissime eccezioni, non ha saputo rinnovarsi, non ha letto tra le righe del mercato, ha peccato di presunzione o di pigrizia (non so quale sia la colpa maggiore).

Invocare l’intervento divino, cioè pubblico, per sanare umanissime responsabilità anche gravi è oltraggioso per chi ce l’ha fatta stringendo la cinghia, costringendosi a scelte da batticuore, senza chiedere un centesimo che non fosse dovuto al registratore di cassa.

Il perdonismo imprenditoriale è una piaga dolorosa soprattutto al Sud, dove il piagnisteo è il primo ammortizzatore sociale universalmente riconosciuto.

Dovremo trovare il coraggio di dircelo tra di noi, almeno a denti stretti, che se un’attività finisce in naufragio mentre quella accanto continua a navigare, il primo responsabile è chi sta al timone. Che è stato scarso e amen.

Cammarata e il delitto perfetto

diego cammarata palermo

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Si dice: non esiste il delitto perfetto, esistono investigatori distratti. Eppure a leggere le motivazioni della sentenza emessa dalla quarta sezione della Corte d’Appello di Palermo sul crac dell’Amia, c’è da rimanere a bocca aperta. Il delitto perfetto esiste ed è stato consumato una decina di anni fa sotto gli occhi di tanti testimoni quanti sono gli abitanti di questa città.
L’ex presidente dell’Amia Enzo Galioto e l’ex direttore generale Orazio Colimberti pur essendo ritenuti responsabili di un falso in bilancio da 61 milioni di euro – “artefici in prima persona”, scrivono i giudici – se la sono fatta franca. E chi ha reso possibile tutto ciò? I giudici non hanno dubbi: l’ex sindaco Diego Cammarata, che nominò e riconfermò quei dirigenti, che li coprì nelle loro malefatte –  “Il Comune condivise totalmente le scelte operate dagli imputati”, è scritto nella sentenza – e che li mise al riparo dalla legge rifiutandosi di presentare querela e evitando così il prolungamento dei tempi di prescrizione.
Se fosse un libro potrebbe essere qualcosa di simile ad “Assassinio sull’Orient Express” di Agatha Christie. Nel romanzo un uomo viene ucciso sul treno che viaggia da Istanbul a Londra. Hercule Poirot indaga e scopre che i colpevoli sono tutti i dodici occupanti del vagone e che, soprattutto, la vittima meritava una sorte così atroce. E’ per questo che alla fine l’investigatore decide di sposare un’altra verità, più comoda e forse giusta, attribuendo il delitto a una mano sconosciuta che non verrà mai identificata. Una versione più pura e meno bavosa di quel luogo comune che oggi rimbalza nelle bocche di molti inquisiti: tutti colpevoli, nessun colpevole. Continua a leggere Cammarata e il delitto perfetto

C’era un pericoloso ottimismo

Uno ce la mette tutta a farseli piacere, pur di togliere fiato alle trombe del centrodestra e alle alleanze posticce di angeli e orchi. Uno si dice: voterò ancora una volta a sinistra perché non voglio finire in fondo a destra. (…) Dateci la possibilità di sognare una rinascita rispetto a questa politica clientelare e fascista. Dateci un minimo di soddisfazione e non ammazzateci persino i preliminari.
Quando nel settembre scorso scrissi questa cosa qui, credevo di averne viste di tutti i colori a sinistra. Ma evidentemente peccavo di ottimismo.

Il fidanzato furbo

Ti lascio perché t’amo troppo, dice il furbo e stanco fidanzato. Così ha fatto Cammarata con Palermo il 16 gennaio. E Palermo non se l’è neppure presa. Né la città, né altri. Il fallimento di Cammarata era la ricetta elementare per una campagna elettorale di centrosinistra (anche da primarie) facile, veloce, liberatoria, persino divertente; tali e tante sciocchezze si sono viste fare e dire in questi anni. E invece no. La stupefacente sindacatura di centrodestra inventata da Gianfranco Micciché non è un tema, non è spettro da scacciare, non è slogan, non è memoria. E soprattutto non unisce.

Marina Turco su Mezzocielo.

 

La bandiera dove la metto?


di Tony Gaudesi

Se le maledizioni fossero proiettili il bel giubbotto rosso di Lippi avrebbe più buchi di una montagna di gruviera.  Bossi, Trota e cronista di Radio Padania a parte, l’Italia tutta si è unita nel nome di ct. Dal medico al fruttivendolo, dal professionista al venditore di tricolori sotto casa mia, che tra una bestemmia e l’altra arrotola le bandiere alle aste, giurando di  sapere dove potrebbe infilarle.
Eppure Lippi è stato di parola. Non farà salire nessuno sul carro dei vincitori, come aveva promesso. Ci salirà lui, sul carro. Quello funebre, che riporterà in Italia i tanti cadaveri visti in Sudafrica.
E dire che alla Fiat, secondo Marchionne, avrebbero scioperato per vedere la Nazionale. Chissà, c’è da chiedersi, quanti italiani sarebbero pronti a scioperare per vedere la Nazionale, quella Nazionale, lavorare alla Fiat. Magari a 1300 euro al mese.
Parlare col senno del poi, si dirà, è operazione sempre facile. Meglio, comunque, che allenare col senno del mai, ignorando i colori del campionato per diramare convocazioni quasi esclusivamente in bianco e nero. Che avrà fatto mai la Juventus, si chiederanno da Los Angeles a Shangai, per emigrare quasi in massa in Sudafrica? Tutto! Ha sbaraccato a metà campionato, ha fallito l’Europa che conta (e pure quella che non conta). Ha mancato coppe e coppette. Zero tituli, ma primato nella lista del ct, alla faccia di chi i gol li ha fatti a grappoli, incantato, deliziato  (Miccoli, Cassano Balotelli, etc), della stampa, dei tifosi, dei 50 milioni e passa di commissari tecnici nostrani.
Si torna pertanto prematuramente e meritatamente a casa. Contro tutti i pronostici (i bookmakers pagavano la vittoria della Slovacchia 7 volte la posta) e con buona pace di tutti. Anche del venditore di tricolori sotto casa mia, che sbaracca e ribadisce, bandiera dopo bandiera: “So io dove la metterei questa”.

A ognuno il suo mare

Mentre l’Amia affonda in un mare di melma, il sindaco Cammarata nuota in un mare tropicale.