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Effetto sorpresina

Atteso come l’acuto finale all’opera, è arrivato l’anatema di Berlusconi sui casini combinati dai suoi accoliti: c’è una congiura dei pm. Che è come incolpare l’albero, col cui legno è stata costruita la croce, della morte di Gesù Cristo.
A poco valgono i distinguo di Bossi e Fini, un duo ormai accomunato solo dal nome di una triste legge sull’immigrazione.
Il premier deve gorgheggiare come il suo pubblico si aspetta, incurante della profonda differenza tra il canto e la polemica, tra l’arte e la politica. Del resto, a parte che nel calcio, l’effetto sorpresa affascina solo chi ha il culto del bello. E con Berlusconi siamo fuori tema.

Il rinnovamento di Lombardo

Il presidente della Regione Raffaele Lombardo tuona dal suo blog.

Oggi, per chi crede e vuole realmente il cambiamento c’è una sola strada: quella del sostegno all’azione coraggiosa di questo governo!

Cioè o mangiate questa minestra o vi butto dalla finestra. E, badate bene, non si tratta di una forzatura. Lombardo spiega chiaramente il suo concetto di democrazia.

Non faremo nessun accordo con i politici che si oppongono al rinnovamento e tuteleremo l’immagine dell’istituzione nei confronti dei giornalisti che abbandoneranno la missione dell’informazione per indossare gli abiti della calunnia e della diffamazione specie se “sottile” ed insinuante.

Indicare astrattamente il “rinnovamento” come pilastro programmatico significa spacciare un sofisma per una verità oggettiva. Dietro il “rinnovamento” può esserci qualunque cosa, e non automaticamente bella, buona, conveniente.
Ma per il governatore la migliore democrazia è quella che lui elargisce, i migliori accordi sono quelli che lui stipula, il migliore futuro è quello che lui prepara. I giornalisti e la popolazione tutta stiano attenti: la tutela dell’istituzione, Lombardo la fa non da politico soggetto alle umane critiche, ma da semidio con avvocati pagati da tutti noi (anche da quelli che lo criticano quindi).
Magistrale è poi il ruggito contro le insinuazioni, accompagnato a sua volta da un’insinuazione grossolana: quel sottile tra virgolette richiama il nome di Giuseppe Sottile, autore dell’articolo che ha fatto perdere le staffe al governatore.
Insomma chi non è con Lombardo è contro la Sicilia, augh, amen e zumpappà.
Nulla fermerà la grande campagna per dar seguito alla “voglia vera dei siciliani” di rompere col passato.
Anche se il condottiero supremo è all’Ars da 24 anni.

Presidente, posso patteggiare una risata?

L’oro e il piombo

Roberto Bolle danza nudo al teatro San Carlo di Napoli.

Vittorio Sgarbi si spoglia a Pomeriggio 5.

A ognuno il suo paloscenico.

Scusate il ritardo

Ho letto solo oggi questo post di un blog nel quale solitamente trovo cose che condivido. Stavolta sono rimasto deluso. Perché il motore del ragionamento è: le idee politiche di un uomo devono pesare sul giudizio complessivo che la società è chiamata a esprimere su di lui.
Credo che questo massimalismo costituisca una delle crepe più profonde della sinistra italiana. Perché, restando entro i confini della democrazia, non esistono in assoluto convinzioni politiche giuste e convinzioni politiche sbagliate.
Ci sono uomini che vivono nel diritto e altri che il diritto lo calpestano, ma come sappiamo la politica non c’entra un tubo.
Del resto la lezione migliore/peggiore ce l’ha data Berlusconi che ha creato un partito macedonia: ci sono fascisti, socialisti, liberali, democristiani e piduisti (ops!). E infatti ha vinto.

Era una casa molto carina…


Ok, saranno i giudici a stabilire se il ministro Claudio Scajola la casetta romana l’ha comprata coi suoi soldi oppure no.
Però, siccome la storia è molto delicata (un ministro che incassa la mazzetta fa ancora indignare molti italiani, non tutti ma molti), vale la pena di annotarsi le seguenti dichiarazioni:
1)    “Ho la coscienza a posto”.
2)    “E’ solo clamore mediatico”.
3)    “E’ solo una bolla di sapone”.

Appartengono, nell’ordine:
1)    Allo stesso Scajola.
2)    Al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti.
3)    Al premier Silvio Berlusconi.

Così, quando sarà, almeno tra noi avremo le idee chiare.

Bastava telefonare a Biagio Conte

Ovunque è un fiorire di articoli e commenti sulla anziana signora, senzatetto e forse con qualche problema psichico, che ha spogliato l’albero Falcone. Ho letto toni di sollievo per il fatto che la mafia non c’entrava e toni enfatici per il fatto che, non entrandoci, la mafia non era riuscita a intaccare la traballante volontà della signora.
Alla fine, un monumento alla lotta alla mafia è stato oltraggiato senza che ci fosse qualcuno a sorvegliare.
Un monumento è di tutti, non servono guardie armate intorno. Se uno vede un altro che lo danneggia, chiama la polizia, interviene, grida, telefona.
Invece qui sono trascorsi giorni in cui l’apparato istituzionale si è messo in movimento per stigmatizzare, dichiarare, porre in essere.
Sarebbe stato sufficiente il fischio di uno dei vigili urbani a passeggio per via Notarbartolo (ce ne sono tanti, ogni giorno, che non fanno un tubo). Invece si è arrivati al presidente della Repubblica.
C’era sin dall’inizio il filmato della clochard: bastava dirlo subito. E magari telefonare a Biagio Conte.
Solo che così non si sarebbe potuta scatenare l’indignazione prêt-à-porter di cui molti hanno bisogno fisico, come di un tiro di cocaina.
Non è solo la mafia che ci procura danni, ma anche la disattenzione verso i nostri simboli. E, quel che è peggio, basta la prima psicolabile di passaggio a scatenare il finto panico.

L’albero Falcone, i fogli e le foglie

L’indignazione prêt-à-porter per l’oltraggio all’albero Falcone meriterebbe come minimo un convegno (al quale mi piacerebbe partecipare, anche come cameriere). Invece viene liquidata dai media come la reazione a un fatto di cronaca: come un evento e non come un fenomeno.
Ebbene, secondo me, dietro c’è molto altro.

C’è l’affezione comoda al simbolo più comodo. Un albero non è – per esempio – una scuola, non c’è bisogno di mantenerlo, non costa nulla e vale tantissimo in termini di ritorno d’immagine. Non a caso l’albero Falcone è il ritrovo ideale per politici di ogni stagione. In un luogo del genere le fedine penali dovrebbero valere più delle cariche istituzionali, eppure la coltura estensiva della memoria a buon mercato fa tali miracoli che nemmeno la più truce riforma berlusconiana potrebbe eguagliare. E poi i morti non possono protestare.

C’è un costume furbo di mostrarsi senza schierarsi. Davanti all’albero Falcone chiunque gode dello status di rifugiato antimafioso senza dover dimostrare nulla fuorché la propria presenza. Non è richiesta un’opinione, men che meno un’intenzione.

C’è l’usurpazione di un passato che è di tutti, ma non per tutti. Falcone e Borsellino appartengono alla nostra storia ma, è bene ricordarlo, non sono – e non sono mai stati – un modello universale. Tra quelli che passeggiano sotto l’albero di via Notarbartolo ci sono ancora mandanti più o meno occulti ed esecutori più o meno coperti di delitti che hanno rischiato di radere al suolo le nostre speranze.

C’è infine una certa antimafia casual, figlia dell’anti-antimafia degli anni ’80 che contrastava la Primavera di Palermo e flirtava coi poteri forti ancora (e per poco) non insozzati di sangue. Esiste un’ampia pubblicistica al riguardo, basta andare a consultare le collezioni del Giornale di Sicilia degli anni Ottanta: dalla signora che protesta per le sirene delle scorte, alle campagne di stampa contro i metodi del pool antimafia orchestrate dai soliti noti.

Il titolo del Gds ieri, a proposito di quello che veniva definito “misterioso assalto all’albero Falcone” era: “Sfregio alla città”.
Per lo sfregio alla civiltà scrivere al direttore.

Mestieri diversi

Che il Tg1 di Minzolini sia il peggiore dell’era moderna, non ho dubbi. Che le epurazioni dei giornalisti siano una pratica barbara, idem. Ma che si debba fare una battaglia per riportare una professionista (pur seria e preparata) come Tiziana Ferrario alla conduzione di un telegiornale, mi pare troppo. Un direttore avrà pur diritto di provare volti nuovi. E la brava Ferrario avrà pure la possibilità di esercitare il suo mestiere scrivendo, viaggiando, raccontando.
In fondo, un mezzobusto è la versione seduta di un bravo presentatore. Quello del bravo giornalista è un altro mestiere.

La tassa sul web

La proposta del presidente della Fieg, Carlo Malinconico, di istituire una microtassa per chi naviga in rete farà saltare in aria molti nudi e puri del web. Gli altri – come chiamarli? Vestiti e impuri? – potrebbero essere tentati da un ragionamento che parte dalla differenza tra anarchia e libertà. Io sono tra questi e ovviamente preferisco la libertà all’anarchia.
E la libertà ha un prezzo.
La tassa sulle notizie in rete, come idea mi convince. Sarà che il concetto di gratis mi insospettisce e che solo pagando posso esercitare appieno il mio diritto di consumatore critico. Sarà anche che il web è pieno di immondizia e di tarocchi – finti giornalisti, finte sensazioni, finti divulgatori, finti personaggi, finte notizie, finti fenomeni– e che il potenziamento dei siti di qualità contribuisce a soffocare quelli scarsi.
Insomma sarei lieto di pagare la mia tassa per avere informazioni precise, puntuali. Solo che temo che questo canone faccia la fine di quello per la tv: un’estorsione da parte del racket della volgarità.
E allora quasi quasi mi schiero coi nudi e puri.