In queste ore si scatena sul web una polemica che vede protagonista il magistrato-scrittore, o viceversa, fate voi, Gianrico Carofiglio, il quale ha intentato una causa a un editor che aveva scritto del suo ultimo “Il silenzio dell’onda” (terzo qualificato al Premio Strega) le seguenti parole: “Un libro letterariamente inesistente, scritto con i piedi da uno scriba scribacchino mestierante, senza un’idea, senza un’ombra di ‘responsabilità dello stile’…”.
Due considerazioni, una di ordine generale, l’altra più specifica nei confronti dell’autore in questione.
Chiunque – che sia scrittore o recensore, lettore o editore – sa che a una critica letteraria è scontato ribattere per le rime, saggio opporre uno sdegnato silenzio, folle rispondere per vendetta con una querela.
Quanto all’autore, chiunque – che sia scrittore o recensore, lettore o editore – è conscio del fatto che lui, Carofiglio, è molto, infinitamente, benvoluto dalla critica e dalle giurie. Da dieci anni i suoi libri sono trattati come se fossero tutti capolavori: quasi impossibile trovare in giro osservazioni critiche a romanzi come “Il passato è una terra straniera” (il primo esempio che mi viene in mente) che stupiscono più per l’eco mediatica che per la sostanza.
Brutta sensazione quella del proliferare di nuovi intoccabili. Magari con tanto di immunità parlamentare. Perché, dimenticavo, Gianrico Carofiglio è anche senatore della Repubblica. Magistrato-scrittore-senatore. Speriamo che dalle querele non si passi alle interpellanze.
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Il rinnovamento di Lombardo
Il presidente della Regione Raffaele Lombardo tuona dal suo blog.
Oggi, per chi crede e vuole realmente il cambiamento c’è una sola strada: quella del sostegno all’azione coraggiosa di questo governo!
Cioè o mangiate questa minestra o vi butto dalla finestra. E, badate bene, non si tratta di una forzatura. Lombardo spiega chiaramente il suo concetto di democrazia.
Non faremo nessun accordo con i politici che si oppongono al rinnovamento e tuteleremo l’immagine dell’istituzione nei confronti dei giornalisti che abbandoneranno la missione dell’informazione per indossare gli abiti della calunnia e della diffamazione specie se “sottile” ed insinuante.
Indicare astrattamente il “rinnovamento” come pilastro programmatico significa spacciare un sofisma per una verità oggettiva. Dietro il “rinnovamento” può esserci qualunque cosa, e non automaticamente bella, buona, conveniente.
Ma per il governatore la migliore democrazia è quella che lui elargisce, i migliori accordi sono quelli che lui stipula, il migliore futuro è quello che lui prepara. I giornalisti e la popolazione tutta stiano attenti: la tutela dell’istituzione, Lombardo la fa non da politico soggetto alle umane critiche, ma da semidio con avvocati pagati da tutti noi (anche da quelli che lo criticano quindi).
Magistrale è poi il ruggito contro le insinuazioni, accompagnato a sua volta da un’insinuazione grossolana: quel sottile tra virgolette richiama il nome di Giuseppe Sottile, autore dell’articolo che ha fatto perdere le staffe al governatore.
Insomma chi non è con Lombardo è contro la Sicilia, augh, amen e zumpappà.
Nulla fermerà la grande campagna per dar seguito alla “voglia vera dei siciliani” di rompere col passato.
Anche se il condottiero supremo è all’Ars da 24 anni.
Presidente, posso patteggiare una risata?
Vergognarsi un po’
Raffaele Lombardo ha chiesto 50 mila euro di risarcimento al mensile S. E’ un ulteriore esercizio dell’arte della querela, di cui abbiamo parlato qualche tempo fa.
Quando il potente si muove contro il controllore, cercando di schiacciarlo con un’azione legale pagata dai contribuenti, c’è sempre da allarmarsi. Nella fattispecie la richiesta non è simbolicamente astronomica, ma realisticamente mirata ad azzoppare un mensile che fa ottima cronaca.
Spero che Lombardo trovi il tempo per vergognarsi un po’.
L’arte della querela
Due premesse.
1) Il post è un po’ più lungo del solito, nonostante io sia un sostenitore della rapidità calviniana, perchè l’argomento non è semplicissimo e, non a caso, ha bisogno di premesse.
2) Conosco le due persone che sono citate di seguito. Emanuele Lauria è un collega e un amico da decenni. Massimo Russo è una persona che stimo a tal punto da avergli affidato la presentazione di un paio dei miei libri.
Parto dal caso siciliano più recente di contrasto tra giornalista e amministratore pubblico per entrare nell’argomento. Emanuele Lauria de la Repubblica conduce un’inchiesta sulla sanità isolana e inevitabilmente si trova davanti al nodo delle cliniche private. Nell’asciuttezza di uno stile a prova di contro-verifica, Lauria dimostra gli interessi neanche occulti di numerosi esponenti politici regionali nei confronti della sanità privata. La sua tesi è questa: poiché molti papaveri della Regione hanno un ruolo dimostrato, manifesto e legittimo nella gestione di case di cura e holding connesse, è lecito sospettare che il governo di Raffaele Lombardo non si sia affannato per applicare appieno la riforma.
Non è una tesi peregrina, né infamante. I giornalisti, a parte il gruppo dominante delle “aste da microfono”, esistono (o sopravvivono) anche per fare domande e per porgere bandoli di matasse intricate.
La risposta di Massimo Russo, magistrato di valore, oggi assessore regionale alla Sanità è dura: “È ora di dire basta a un’informazione non corretta”, scrive in un comunicato di fuoco. E annuncia di voler chiedere all’Avvocatura dello Stato di valutare eventuali azioni legali nei confronti del giornalista e del quotidiano. A mio parere Russo può soltanto contestare il titolo de la Repubblica (“Tagli al pubblico, favori alle cliniche: così la riforma premia la sanità privata”), assolutamente sbilanciato e quindi poco prudente. Però, tenendo conto che lui ha avuto e avrà diritto di replica, mi pare precipitoso puntare al deretano del cronista (che, se vogliamo, al contrario del titolista è stato prudente e tutto sommato equilibrato).
Il lungo antefatto è servito per dare un aggancio di cronaca a un pensiero che mi frulla in testa da tempo.
Provo a sublimarlo in una frase da bignamino: il giornalismo d’inchiesta fa bene anche alle controparti oneste. Ergo, l’incazzatura per un velo alzato su una zona nevralgica dell’azione politica oltre a provocare una reazione urente deve, a mente serena, suggerire nuove vie d’azione. Del resto soggetto e oggetto dell’inchiesta, cioè i due opposti, se entrambi in buona fede sono accomunati da un fine comune: trovare la maniera per fregare i ladroni.
Invece, per mere ragioni di inutile principio, è invalsa da tempo la consuetudine di usare la querela per mettere punti al posto delle virgole, per trovare ragioni a buon mercato. L’uso, o meglio l’abuso della querela per diffamazione (anche il sottoscritto, con questo blog, ne è vittima: ma ne parleremo presto in modo spietatamente approfondito) è diventato perlopiù un metodo di attacco preventivo: io ti querelo non per quel che hai scritto/detto, ma per scoraggiarti dal farlo ulteriormente.
E quando questa pratica – senza alcun riferimento al caso Russo-Lauria – viene posta in atto da parte di un politico, lo scenario diventa inquietante. Quanto costa un’azione legale a un parlamentare? Quanto tempo impiegherà a documentarsi? Quanta fatica dovrà sopportare per imbastire una causa degna?
La risposta è: zero. Come tutti sanno un deputato ha mezzi e uomini a disposizione, pagati dalla collettività, per fare e disfare a proprio piacimento.
E sull’altro fronte cosa accade? Più che la paura di una condanna, dato che uno sa se ha scritto una minchiata o no, è lo spettro di lungaggini personali e burocratiche a incombere sulla coscienza del giornalista. Avvocati, direttori incazzati, carabinieri o polizia, editori, pubblici ministeri, giudici… perché mai uno dovrebbe prenotarsi un posto in prima fila nel teatro delle rotture di scatole? Meglio volgere lo sguardo verso altro e campare tranquilli.
Così si ammazzano i superstiti di un giornalismo quantomeno dignitoso.
Non eroi, non paladini: onesti lavoratori che cercano, trovano e raccontano.