Ci sono vari modi di raccontare la Sicilia. La maggior parte mi innervosisce: l’elogio della panella, il culto del piagnisteo, la gretta ricerca della superiorità inferiore di un popolo che ha sempre festeggiato le sconfitte come vittorie.
Chi fa il mio mestiere sa che c’è un filo invisibile che lega l’eterna celebrazione dell’ultimo Gattopardo (uno qualunque, tanto ne esce sempre uno nuovo) e l’arresto del braccio destro di Matteo Messina Denaro (ne hanno presi e dichiarati una dozzina): la minchiata che soddisfa l’insano desiderio di minchiate.
Non è un segreto, spesso uno racconta solo quel che l’altro vuol sentire. È una sorta di eterno compromesso tra il marketing e il negazionismo che premia il prosciutto sugli occhi.
Però ci sono le eccezioni. Una di queste è la narrazione di Giuseppe Sottile e Pietrangelo Buttafuoco affidata all’energia di Salvo Piparo. “StraButtanissima Sicilia”, di scena al teatro Biondo di Palermo il 28 e il 29 marzo prossimi, è un antidoto contro la rarefazione del pensiero. Si raccontano la politica e i suoi misfatti senza innamorarsi dell’effetto del disvelamento, ma con una sola consapevolezza quasi salvifica: una risata è una speranza che ce l’ha fatta.
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Il caso Tortora e il fattore estate
Io il caso Tortora me lo ricordo bene. Perché erano esattamente trent’anni fa quando i giudici della Corte d’Appello di Napoli smontarono il castello di accuse, anzi di minchiate che tutti oggi conosciamo. Me lo ricordo perché ero un giovane giornalista e perché era estate anche durante tutto il calvario di Enzo Tortora. Dall’arresto ai retroscena, dall’esibizione delle manette al grottesco filtrare di dichiarazioni di malacarne, dalle odiose esibizioni di certi magistrati al loop delle immagini del re di Portobello decapitato a mezzo giudiziario, era sempre estate che io ricordi. E nei giornali – quando ancora esistevano come promettente sbocco professionale – si entrava d’estate. Me lo insegnò Giuseppe Sottile, il primo caporedattore centrale con cui impattai, io, fresco di ingenua giovinezza.
“La sai la differenza che passa tra un tema e un articolo?”, mi chiese quando, tremante, mi presentai al suo cospetto, al Giornale di Sicilia. “Suppongo di sì”, avrei voluto dire.
“Sì”, dissi con una presunzione che ancora oggi mi fa tremare le gambe.
Lui non si scompose: “Ti do due mesi di tempo per dimostrarmelo” e mi fece cenno di andarmene che aveva da fare. Era il 1983. Ed era estate. Avevo vent’anni, un milione di sogni e un rimorso: non aver cercato prima di studiare la differenza tra un tema e un articolo. Continua a leggere Il caso Tortora e il fattore estate
Di figlio in padre
Un paio di settimane fa, Francesco Foresta mi confidò di aver trovato il giornalista a cui affidare Live Sicilia. “Vediamo se indovini chi è”, mi sfidò col suo sguardo furbetto. Io che sino a quel momento non sapevo niente di tutta la vicenda, trovai improvvisamente una sola certezza. E dissi subito: “Peppino”. Lui sorrise quasi orgoglioso di me: “Giusto”, sussurrò.
Nel passaggio di consegne tra Francesco e Giuseppe Sottile ci sarebbe tutta una vita da raccontare, anzi due. Perché, come spiega Francesco nell’editoriale di oggi, le loro vicende professionali sono talmente intense da rappresentare importanti capitoli del giornalismo degli ultimi decenni. Perché il mestiere e l’indole, nel loro caso, si fondono per creare cronisti che vivono come scrivono, che pensano come raccontano, che amano e odiano allo stesso identico modo con la penna e col cuore.
Di figlio in padre, quest’eredità che sale controcorrente dà finalmente un lieto fine intermedio in una storia di sofferenza. La forza di Francesco, pur piegato dalla malattia, offre a Peppino un’occasione unica per un maestro: ritrovare l’allievo e aiutarlo incondizionatamente.
“Pensiamo un titolo”, disse Francesco riprendendo una consuetudine che per vent’anni ci aveva visti fianco a fianco a imbastire prime pagine, a inventare nuovi modi di raccontare la cronaca, a leggere e correggere, a scrivere e riscrivere. Lui alla tastiera e io a passeggiargli intorno. Lui calmo e io frenetico. Sempre così.
Alla fine il migliore era il suo. Sempre così.
Buon anno, pupetto. Auguri Peppino.
Il rinnovamento di Lombardo
Il presidente della Regione Raffaele Lombardo tuona dal suo blog.
Oggi, per chi crede e vuole realmente il cambiamento c’è una sola strada: quella del sostegno all’azione coraggiosa di questo governo!
Cioè o mangiate questa minestra o vi butto dalla finestra. E, badate bene, non si tratta di una forzatura. Lombardo spiega chiaramente il suo concetto di democrazia.
Non faremo nessun accordo con i politici che si oppongono al rinnovamento e tuteleremo l’immagine dell’istituzione nei confronti dei giornalisti che abbandoneranno la missione dell’informazione per indossare gli abiti della calunnia e della diffamazione specie se “sottile” ed insinuante.
Indicare astrattamente il “rinnovamento” come pilastro programmatico significa spacciare un sofisma per una verità oggettiva. Dietro il “rinnovamento” può esserci qualunque cosa, e non automaticamente bella, buona, conveniente.
Ma per il governatore la migliore democrazia è quella che lui elargisce, i migliori accordi sono quelli che lui stipula, il migliore futuro è quello che lui prepara. I giornalisti e la popolazione tutta stiano attenti: la tutela dell’istituzione, Lombardo la fa non da politico soggetto alle umane critiche, ma da semidio con avvocati pagati da tutti noi (anche da quelli che lo criticano quindi).
Magistrale è poi il ruggito contro le insinuazioni, accompagnato a sua volta da un’insinuazione grossolana: quel sottile tra virgolette richiama il nome di Giuseppe Sottile, autore dell’articolo che ha fatto perdere le staffe al governatore.
Insomma chi non è con Lombardo è contro la Sicilia, augh, amen e zumpappà.
Nulla fermerà la grande campagna per dar seguito alla “voglia vera dei siciliani” di rompere col passato.
Anche se il condottiero supremo è all’Ars da 24 anni.
Presidente, posso patteggiare una risata?