Ci sarà un dio del web e sarà pure un pazzo. Sarà burlone e ingiusto, ma è un dio che ci sa fare con gli affari. Fiuta la preda, la insegue e la fa sua: senza finirla, anzi iper-alimentandola e spingendola verso la bulimia. Più lei consuma, più il dio è soddisfatto. Più lei consuma, più lei stessa è sfiancata. Funziona così nel regno del web, nel cielo dei cieli telematici dove vive e regna nei secoli dei secoli il dio algoritmo. Da Netflix a Angela da Mondello, dal feed di Facebook agli spari a J.R (il cattivo di Dallas), dal Giornale di Sicilia al Teatro Massimo, dal sesso di Apple alla lumaca di Pirandello: ferite e cicatrici in nome dell’innovazione. Questo podcast prova a raccontarle con chiarezza, insomma senza toccarsela con la pinzetta.
P.S. L’esigenza di essere chiaro non mi mette al riparo dagli errori. Mi scuso per la pronuncia di binge watching che andava con la g dolce, come mi è stato fatto notare… Pardon.
Nell’estate del 1990 a Palermo non c’è solo la febbre dei Mondiali di calcio allo stadio della Favorita con i gol dell’eroe di casa, Totò Schillaci. In quell’estate c’è un miracolo, il miracolo dell’affare della vita, quello che potrebbe cambiare tutto in un batter d’occhio. Gira voce che c’è un tale, un ragioniere dalle mani d’oro che moltiplica i soldi. Tipo che gli dai un milione, lui nel giro di poche settimane te ne da due. E non fa niente se quel ragioniere si fa chiamare avvocato anche se avvocato non è. L’importante è che il miracolo si compia. Lui è Giovanni Sucato da Villabate. Ha 26 anni e si è inventato un futuro in un modo tanto miracoloso quanto improvvido. Raccoglie soldi e come ricevuta scrive due righe su pezzi di carta: sono e saranno sempre queste il suo unico documento ufficiale, la sua unica garanzia. Due righe e una firma. E il bello è che lui dopo paga davvero. È così che diventa il mago dei soldi.
La seconda parte del podcast sul Cammino (del Nord) come pretesto per una storia di emozioni in salita e fantasie in discesa. O viceversa, se preferite.
Non è una frase a effetto, ma per scrivere questo podcast ci ho messo anni. Anni di passi (molti dei quali falsi), di fatica (e quella fisica è la meno importante), di stupore (il vero motore di ogni felice intuizione). Il pretesto è il Cammino del Nord, 830 chilometri con uno zaino in spalla e nient’altro, ma la realtà sono molti altri cammini ed esplorazioni fatte nel tempo e nei tempi. Questa non è una guida, ma un racconto, una storia di emozioni in salita e fantasie in discesa, una (a volte pericolosa) concatenazione di pensieri: pensieri che ci prendono quando ci rendiamo conto che non c’è limite di età per imparare davvero a sbagliare da soli. Soprattutto per afferrare finalmente la consapevolezza che non è mai troppo tardi per mollare tutto ed essere felici.
Il podcast è diviso in due parti. Questa è la prima. La seconda la trovate qui.
C’è una macchina del tempo che dal 1963 a oggi attraversa tre ventenni sanando gli opposti o addirittura unendoli, come fosse un miracolo, in un’unica linea retta. Il viaggio che ne scaturisce è quello nell’universo mai troppo esplorato delle differenze. La linea maestra la dà Pier Paolo Pasolini, che col suo documentario “Comizi d’amore” ci guida attraverso le contraddizioni di quello che una volta si chiamava sentire comune e che oggi identifichiamo come mainstream. Per diffidarne, per scardinare le oziose certezze della condivisione cieca, per affrontare le sterili perversioni del “desiderio mimetico” che spinge una pecora a seguire il gregge senza capire bene il perché.
Questo podcast è liberamente ispirato all’opera “Invertiti”, scritta con Fabio Lannino per la Fondazione Taormina Arte (altre info qui). È un viaggio che parte dall’Italia del boom economico e arriva a quella della cretinocrazia imperante, e che attraversa le “dittature culturali” dove in fondo ogni cosa non ha solo il suo prezzo, ma soprattutto il suo sconto.
Non vi parlerò dei possibili nuovi equilibri nella mafia dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro. Non vi parlerò nemmeno delle strategie dello Stato per affrontare il nuovo corso di Cosa Nostra, perché un nuovo corso ci sarà per forza (e speriamo che sfoci nelle fognature). Non vi parlerò di politica né di magistrati. Di tutto questo vi parleranno i miei colleghi, quelli bravi, in tv e sui giornali. Io vi voglio parlare di una favola storta che finalmente ha un suo lieto fine. E il lieto fine di una favola storta deve essere dritto per compensare un’obliquità che disturba il mondo, facendolo sembrare storto a sua volta. Una favola che inizia con una lettera d’addio a una innamorata. Una lettera che contiene una grande imperdonabile bugia.
Le piccole battaglie quotidiane, le grandi scommesse di sogni infranti, l’antimafia, il gioco di specchi della politica, le promesse e le disillusioni. “Butterfly Blues” è il canto dolente di una generazione che voleva cambiare il mondo e invece si è accapigliata solo per cercare qualcuno su cui scaricare le sue stesse colpe. “Butterfly Blues” è stato uno spettacolo che negli anni si è evoluto. Nato nel 2019 come orazione civile per voce narrante e pianoforti per “Piano City”, si è evoluto negli anni in opera corale e danza. Da oggi è anche un podcast, liberamente ispirato a quello spettacolo di cui trovate qui dettagli e protagonisti. P.S. Grazie sempre a Gabriella Guarnera per la voce e la pazienza.
Hanno la forza di mettere in discussione il sistema senza negarlo, usano le verità rivelate per tirare fuori verità nascoste, hanno il coraggio di fare rivoluzioni di saggezza e bellezza. Sono un prete (Cosimo Scordato), un prete mancato (Biagio Conte), e un mangiapreti (Antonio Presti). Tre moderni eretici. In questo podcast vi racconto le loro storie.
Strana storia quella in cui c’è un delitto, c’è il movente, ci sono i colpevoli, c’è il tempo che ha provato a lasciar sedimentare la rabbia (anche se la rabbia non sedimenta mai, al limite si cementifica, cresce in verticale come un pilone di autostrada) eppure non c’è la fine. Una storia senza fine non è una storia, è una bici senza ruote, un coltello senza lama, una minestra senza ingredienti. In questo podcast si ripercorre la vicenda dimenticata di Libero Grassi,l’imprenditore coraggioso che osò ribellarsi al racket delle estorsioni a Palermo e che per questo fu ucciso in uno dei più annunciati delitti di mafia. Ma soprattutto si ricostruisce il contesto in cui quell’omicidio nacque: tra imprenditori apertamente collusi, giornali ipergarantisti, antimafiosi incauti e giudici soli. Soli come lui. Cadaveri ambulanti come lui. Buon ascolto.
Le persone che seguono i tg, i giornali, non ne vogliono più sapere delle notizie. Lo dice uno studio molto serio, su scala mondiale. Tra le cause, da un lato c’è una convergenza sociale ed economica: i social, le bolle di disinformazione, i dilettanti allo sbaraglio, l’università della vita. Dall’altro, il fatto che noi giornalisti facciamo giornali fatti per noi, per una sorta di autoerotismo nel quale ci sono le notizie che ci piacciono e quelle che non ci piacciono. Il podcast con un paio di storie personali.