Fuochi e pistole

Noi siciliani siamo abituati a convivere col fuoco, in qualunque forma possa essere rappresentato. La fiamma in sé racconta una devozione coatta verso il potente, che sia un santo o un attentatore del racket. Si brucia per scacciare il malocchio o per ringraziare, per punire o ammonire. Dalla candela al rogo c’è sempre una mano che regge una convinzione, spesso molto personale, raramente condivisibile. Perché qui in Sicilia il fuoco è soprattutto mistero. Mistero della mente, di un profitto difficile da raccontare, di tradizioni criminali fuori dall’intelligibile. Chi avvicina un accendino a una stoppia mentre mira al bosco limitrofo è attore di un’orrenda commedia senza trama. Il sistema legislativo regionale e quello nazionale hanno provato a blindare l’accesso lavorativo al settore forestale: incendiare non è più un modo per provocare assunzioni e alimentare clientelismi a catena. Eppure ogni estate spuntano mani folli che appiccano, alimentano e, alla fine, uccidono. Senza suscitare un giovamento che sia spiegabile al di fuori del buio dell’ignoranza. Favorite, questo sì, dall’inspiegabile sistema logistico che è la Protezione Civile, un servizio che dovrebbe essere di tutti e che risulta, inesorabilmente, di nessuno. L’organizzazione è coordinata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e si diluisce in una miriade di competenze che arrivano fino ai singoli sindaci in una rarefazione di responsabilità che si perde come cenere al vento. In altri Paesi europei il compito di Protezione civile è assegnato invece a un’unica struttura, con metodi e responsabilità precise: è, a mio parere, il modo migliore per fronteggiare emergenze.
Uno decide, gli altri eseguono. Come nel crimine, del resto.
Una mano che tiene un accendino può essere pericolosa come se reggesse una pistola. Noi siciliani siamo abituati a convivere col fuoco e con le pistole, ed è una cosa orribile.

Un altro mondo

Non credo agli extraterrestri, però credo di vivere in una realtà che è popolata da alieni. E’ il mondo del centrodestra, un mondo che purtroppo confina col mio. Lì, il capo della Protezione civile è nei guai per aver scambiato – secondo l’accusa – scopate con favori. La sostanza e l’ambito del reato sono odiosi ancor più che nella corruzione classica con la mazzetta o col conto cifrato in Svizzera. I soldi incarnano la debolezza di molti, il sesso pagato coi soldi degli altri incarna la debolezza di chi si sente forte, intoccabile in un gioco abietto, tribale, diciamo anche crudele.
Nel mondo del centrodestra tutto questo non incontra mai una censura. Secondo la versione ufficiale, che si discosta dalla realtà come velina impone, si tratta di errore giudiziario, di congiura, di campagna d’odio, di manovra politica, di sgambetto, spintone, fallo.
Fallo sì, e non subìto ma sguainato. Altro che presunzione di innocenza: per il premier quando si finisce sotto le grinfie dei magistrati – e per questioni di sesso, per giunta – ci vuole la presunzione e basta: il capo della Protezione civile è un eroe e basta!
Rapido cambio di scena.
Dall’Abruzzo, dalla Maddalena e altri scenari di appalti più o meno urgenti ci spostiamo a Palermo.
L’Amia, l’azienda che gestisce il servizio di raccolta dei rifiuti, è in coma: il tribunale fallimentare ha dichiarato lo stato di insolvenza. Il sindaco Diego Cammarata, che di quell’azienda ha protetto (anche con qualche bugia) i personaggi più discussi, anziché ammettere in extremis una certa sottovalutazione del problema e un po’ di leggerezza nello scegliere gli uomini/amici da piazzare nei ruoli chiave, s’inventa una piroetta da circo sul ghiaccio: “Io ho vinto la mia sfida”, dichiara dopo il responso dei giudici.
Come? Quale sfida?
“In questi mesi abbiamo operato con tenacia e caparbietà per mettere ordine nei conti e nei servizi dell’Amia e ci siamo riusciti”, scrivono i suoi addetti stampa.
Insomma, Cammarata canta vittoria dopo una sconfitta, come un gallo insonne che spara il suo chicchirichì nel cuore della notte.
Solo che il gallo sa di essere un pollo tra i polli, Cammarata è convinto che i polli siano solo gli altri.