Una pittrice finlandese decide di trasferirsi con la famiglia in Sicilia, a Siracusa, e dopo qualche mese se ne va sdegnata perché il sistema scolastico non le piace e, in poche parole, perché si è accorta che la Sicilia non è la Finlandia. Noi isolani siamo abituati a sentirci dire che qui non funziona niente, il che è purtroppo vero. Però in questa lezioncina impartita tramite lettera aperta a un sito locale c’è qualcosa di irritante. E cioè la supponenza con la quale una persona venuta spontaneamente dall’estero decide di deludersi per non aver trovato il modello e i codici sociali dai quali si è spontaneamente allontanata. Il sospetto più fastidioso, almeno per me, è che la signora avesse scelto per luoghi comuni: Sicilia, caldo, mare, cibo, folklore. Magari pure un mafia tour, se ci scappa.
Personalmente coltivo l’idea della fuga – ne ho scritto più volte qui e altrove – con grande attenzione: se decido di fuggire, scelgo il luogo (anche metaforico) nel quale so di trovare sorprese, non certo una replica del posto da cui parto, e in questa voglia di sviluppare curiosità ci metto soprattutto la possibilità di imbattermi in usi e burocrazie che non mi piacciono.
Mi è capitato alcune volte di rimanere deluso senza mai farne una battaglia di civiltà.
Il fatto che la signora finlandese si aspettasse di trovare in Sicilia un sistema scolastico come quello finlandese ci dice molto sull’avventatezza con la quale è stato preparato il trasferimento, mica un weekend mordi e fuggi.
Sono un nemico dell’inefficienza siciliana, non ho mai creduto alla specificità “meravigliosa” del nostro essere isolani, sono allergico all’esibito e patetico trionfo del sicilian style.
Però una cosa alla signora in questione la vorrei dire: non c’era bisogno di simulare una caduta dal pero per scandalizzarsi che dal pero si può cadere.
Luogo comune per luogo comune: finlandesi, che noia.