Alla faccia della pubblicità

Oggi pomeriggio, nel cuore di Palermo, i signori della Carrefour hanno attaccato questi cartelli-palette di plastica ai lampioni pubblici. E, peggio ancora, li hanno piazzati ad altezza viso.

Grazie a Giuseppe Giglio.

Ciambelle senza buco

Non mi chiedete dettagli tecnici. È già molto che riesca a spiegarmi con poche, misurate parole. Di fatto il famigerato iPad, dal quale vi scrivo, non è in grado di riprodurre molti filmati e di garantirvi, ad esempio, lo streaming di Raiuno (durante la semifinale della coppa del mondo per giunta).

Promesse e manganelli

Delitto (a L’Aquila)

e castigo (a Roma)

Chi ha promosso quel preside?

Questo annuncio, tuttora appeso nella bacheca del Cei di Palermo, ci dice tre cose.

1)    Che non va disturbato il regolare svolgimento delle interruzioni.

2)    Che il preside è un semianalfabeta.

3)    Che nessun professore dal 2005 a oggi è stato in grado di correggere l’errore.

E ora Caino ministro per la Famiglia

Le dimissioni del ministro all’Impunità Aldo Brancher ricordano la storiella del bambino che,  pizzicato mentre ruba la marmellata, si difende dicendo che in realtà lui odia la marmellata e che ha preso il barattolo solo per vedere cosa c’era sotto.
Il fatto che Brancher abbia operato per “il bene del Paese” è la panzana più grossa che umano intelletto possa immaginare, almeno sino a questo momento (sappiamo che le sorprese in tal senso sono attese di minuto in minuto). E non conta che la marmellata sia ancora sulle labbra di quel tale, che sotto il barattolo non ci sia proprio nulla, che l’indegna commedia di un indegno commediante sia finita con la peggiore risata del pubblico: quella indesiderata.
Non c’è alcun senso dello Stato nelle decisioni di un uomo che merita di essere dimenticato per la sua grossolana imperizia (diciamocelo: anche per rubare ci vuole una certa intelligenza). E forse non c’è neanche il senso del ridicolo. Non so voi, ma a me più che rabbia, questa storia fa venire molta tristezza.
Faccio una certa fatica a tenere distanti i pareri dai fatti, anche se non ce ne sarebbe bisogno perché questo è un blog di opionioni. Però, quale asciuttezza di narrazione si potrebbe inventare davanti alla grottesca messinscena di un ministro nominato senza che ancora sia stato stabilito il suo ministero (per la cronaca, non lo sarà mai), all’insaputa o senza l’approvazione degli alleati di governo, con l’obiettivo di eludere istituzionalmente la legge?
Brancher è la coincidenza terrena tra la cattiva idea e la cattiva azione, il punto di unione tra il brutto possibile e quello impossibile, il vuoto che riempie. E’ la sintesi perfetta, quindi diabolicamente perniciosa, tra Berlusconi e il berlusconismo: tutto ciò che Lui non è, può benissimo essere inventato, costruito, assemblato. Senza chiedere permesso, senza alcuna legge da osservare, tra una barzelletta spinta e una toccata di culo alla soubrettina osannante.
La vita è bella, facciamola più bella. Del resto questo è il partito dell’amore, il partito che amorevolmente accoglie tutti.
Se si presenta Caino, lo fanno ministro della Famiglia.

Il potere degli schiavi

Presidente, lei ha appena compiuto una lunga trasferta nel continente americano, com’è andata?

Inizia così l’intervista a Silvio Berlusconi trasmessa ieri al Tg1 delle 20.
Vecchia regola giornalistica insegna che ci sono domande che non si possono porre ai politici, per deontologia, per dignità o, se volete, per assioma.
Sono le cosiddette domande da divano: “Com’è andata?”; Qual è il suo programma?”; “Cosa farete?”; e via inchinandosi.
Dare la possibilità a un altissimo esponente politico, rappresentante del popolo e lautamente retribuito dal popolo stesso, di rispondere su un argomento a piacere è per la stampa molto più di un’occasione perduta. E’ un grave indizio di colpevolezza, specie in un Paese che ha più ladri che guardie, e nel quale ogni passo del governo mira alla sistematica abolizione delle regole senza le quali quel governo crollerebbe sotto il peso di pesanti responsabilità penali e morali.
C’è in Italia una classe giornalistica cresciuta all’ombra di un vacuo risorgimento nel quale contano tutte le parti del corpo fuorché la faccia.
Nel mio minuscolo, conosco alcuni di questi signori che si inchinano al potente di turno, che hanno la  memoria labile, che promettono mentendo e che mantengono senza aver promesso. Sono giornalisti di ogni livello: alto (in senso gerarchico), medio, infimo. Fanno parte di un parterre che applaude privo di intimo compiacimento, rinfrancato solo dai venti del momento. Mercenari che, drogati dal clima di incolumità istituzionale, ridacchiano con sufficienza quando capiscono che si parla di loro in toni non benevoli, e che invece dovrebbero temere più la loro biografia che la fedina penale.
Paradosso della storia: il marcio di quest’Italia non si sconfiggerà abbattendo il tiranno, ma estirpando uno per uno i suoi schiavi.

Nano e ballerine

Pare che il nostro premier non abbia perso l’occasione per farsi conoscere anche in Brasile.

Meno male che è un istituto religioso

Pare che un istituto religioso abbia rifiutato l’iscrizione a scuola al figlio di Massimo Ciancimino. E’ una porcata, e non c’è bisogno di scomodare i luoghi comuni sulle colpe dei padri, dei nonni, dei figli, eccetera.

Quale virtu?

Dal capo d’imputazione nei confronti di Marcello Del’Utri, che la sentenza di ieri ha accolto.

(Marcello dell’Utri, ndr) ha concorso nelle attività dell’associazione di tipo mafioso denominata “Cosa Nostra”, nonché nel perseguimento degli scopi della stessa. Mette a disposizione dell’associazione l’influenza e il potere della sua posizione di esponente del mondo finanziario e imprenditoriale, nonché le relazioni intessute nel corso della sua attività. Partecipa in questo modo al mantenimento, al rafforzamento e all’espansione dell’associazione. Così ad esempio, partecipa personalmente a incontri con esponenti anche di vertice di Cosa Nostra, nel corso dei quali vengono discusse condotte funzionali agli interessi dell’organizzazione. Intrattiene rapporti continuativi con l’associazione per delinquere tramite numerosi esponenti di rilievo del sodalizio criminale, tra i quali Stefano Bontate, Girolamo Teresi, Ignazio Pullarà, Giovanbattista Pullarà, Vittorio Mangano, Gaetano Cinà, Giuseppe Di Napoli, Pietro Di Napoli, Raffaele Ganci, Salvatore Riina. Provvede a ricoverare latitanti appartenenti alla detta organizzazione. Pone a disposizione dei suddetti esponenti di Cosa Nostra le conoscenze acquisite presso il sistema economico italiano e siciliano. Rafforza la potenzialità criminale dell’organizzazione in quanto, tra l’altro, determina nei capi di Cosa Nostra la consapevolezza della responsabilità di Dell’Utri a porre in essere (in varie forme e modi, anche mediati) condotte volte a influenzare – a vantaggio dell’associazione – individui operanti nel mondo istituzionale, imprenditoriale e finanziario. Reato commesso in Palermo (luogo di costituzione e centro operativo di Cosa Nostra), Milano e altre località, da epoca imprecisata sino al 28.9.1982.

Cosa c’è da festeggiare nel Pdl? Di quale virtù straparla Micciché?

Quello che Minzolini non vi ha detto

Dubito che tra i lettori di questo blog ci siano persone che usano come fonte esclusiva di informazione il Tg1 (neanche a Palazzo Grazioli se ne trovano, dato che lì si ci si intrattiene anche davanti al Tg4 e a Studio Aperto), però è bene essere prudenti e raccontare brevemente quello che il direttore del Tg1 Augusto Minzolini non ha detto ieri e, poltrona natural durante, non dirà mai.

Dell’Utri non è stato assolto, ma condannato in appello a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Reato grave.

I giudici hanno ritenuto provato che il senatore del Pdl ha intrattenuto stretti rapporti con la mafia di Stefano Bontade e con gli uomini di Totò Riina e di Bernardo Provenzano, criminali sanguinari.

Stando così le cose, Dell’Utri potrebbe scontare almeno due anni di carcere veri. Cioè in cella: sbarre e sole a scacchi.

La testimonianza di Massimo Ciancimino, che avrebbe affossato il senatore, non è stata accettata dalla Corte d’Appello perché il figlio dell’ex sindaco mafioso non è stato reputato attendibile. Peccato che il Tribunale di Palermo, nella sentenza contro l’ex deputato di Forza Italia Giovanni Mercadante, lo abbia giudicato in modo diametralmente opposto.

Uno degli accusatori di Marcello Dell’Utri, il pentito Gaspare Spatuzza, ha motivo di temere più lo Stato che la mafia. Infatti se Cosa nostra gliel’ha giurata per motivi, per così dire, fisiologici (uno che tradisce gli uomini d’onore non può sperare nell’applauso dei suoi correi), il governo italiano ha deciso che costui non merita la protezione e che quindi può essere ammazzato tranquillamente. Motivo ufficiale: non ha rispettato il limite dei 180 giorni per dire tutto quello che sa. Scempiaggine colossale per chi conosce la legge, come i procuratori e i magistrati che hanno richiesto la sua protezione. (Nota: non ho alcuna simpatia per Spatuzza e per gli ex mafiosi, però ne ho ancora di meno per i delinquenti ancora in corsa, in carriera)

Lo Stato, mai come prima, ha fatto pressioni inaudite su questo processo. Basti pensare alla porta sbattuta in faccia dal governo a Spatuzza. Governo il cui premier – non è un dettaglio – è accusato dallo stesso Spatuzza.
Cos’è questo se non un conflittone di interessoni?

Uno che dice di un mafioso conclamato “per me è un eroe” va internato. Uno che lo ripete a distanza di mesi va chiuso in galera. Se poi è un parlamentare, in cella ci deve finire a calcioni. E i primi a darglieli dovrebbero essere i suoi compagni di partito.