Porte in faccia

L’Italia si fa avanti all’Onu per una moratoria planetaria della pena di morte. Ogni mollica nella bottega del fornaio dei diritti umani fa pagnotta. Pannella fa l’ennesimo sciopero della fame e della sete: ha il mio sostegno ma sono convinto che se facesse anche lo sciopero del fumo la protesta avrebbe più effetto.
Il rischio alle Nazioni Unite è, come molti sanno, che si arrivi ai fallimenti degli anni passati. L’esperienza dovrebbe farci da maestra. Cosa è accaduto le volte scorse? Che la proposta contro le esecuzioni in cui l’Italia era in prima fila è passata nel dimenticatoio oppure è stata bocciata. Attenzione, qui non si sta parlando di un trattato commerciale o di un’indicazione strategica, qui si parla di pena di morte, lo strumento più coercitivo che uno Stato (sovrano o di cartapesta) può adoperare. Colossi mondiali come Stati Uniti, Cina e Russia restano sordi a qualunque appello. Noi ci cimentiamo nel ruggito del coniglio per poi imbastire una politica estera e una politica economica che non tengono conto delle porte in faccia che ci siamo beccati ad ogni seduta del Consiglio di sicurezza. Come insegnavano i nostri nonni, ci vorrebbe un po’ di sana cocciutaggine: se io ti chiedo qualcosa di importante e tu mi mandi a fare in culo, quando tu avrai bisogno io mi comporterò di conseguenza.
Difendiamo l’ingenuità dei nostri ragionamenti perché i furbastri devono ordire i piani per arrivare, gli ingenui sono già oltre. Ma purtroppo non lo sanno.

L’errore

E adesso abbiamo un nuovo martire di cui non si sentiva la mancanza.

Mailing list

Il natale è definitivamente cambiato. Lo so, questo è un concetto del tipo “ai miei tempi” e vuol dire che sto invecchiando. Ma se da un lato è naturale che la stagionatura dei neuroni abbia certi effetti collaterali (ricordare e paragonare, paragonare e ricordare), dall’altro anche un ventenne si rende conto di quanto e come i meccanismi su cui si fonda l’aspetto sociale della festività siano mutati nel tempo.
Per farla breve, prendete gli auguri.
Prima si telefonava, ci si sottoponeva a estenuanti visite di cortesia, ci si incontrava o semplicemente si parlava con parenti di cui per tutto il resto dell’anno si erano perse le tracce. Avevo uno zio che credo di aver incontrato, in vita mia, solo in periodo natalizio. Adesso ci sono gli sms e, in forma meno grave, le e-mail. I cellulari rigurgitano messaggini impersonali a qualunque ora del giorno. Spesso ce li inviano persone che abbiamo incrociato mezza volta o di cui non conosciamo neanche la voce.
Carissimi auguri di un sereno natale.
Segue un nome e spesso nemmeno quello.
Un tempo c’erano i biglietti imbustati. Anche lì si sconfinava nel formalismo e nell’impersonalità. Ma almeno c’era una firma vergata, c’era una grafia, c’era un segno di riconoscimento. Oggi il nostro destino dipende dalle mailing list: se ci finiamo dentro possiamo essere contattati senza limiti di tempo, modo e quantità da chiunque ci abbia eletti a bersaglio. Durante il periodo natalizio queste liste appaiono fondamentali per i professionisti dell’informazione senza forma e senza contenuto.
Il prossimo anno impegniamoci a restituire ogni “messaggio circolare” al mittente. Nella speranza di essere eliminati dalla sua vacua mailing list.

Gli ostaggi

Da oggi e per tre giorni i giornalisti italiani sono in sciopero. Vuol dire che, includendo i due giorni di vacanze natalizie, la stragrande maggioranza dei quotidiani non sarà in edicola prima di mercoledì. Questa non è una testata giornalistica, ma io, innanzi tutto, sono un giornalista (da vent’anni) e non posso far finta di essere altro. E’ in atto uno scontro senza precedenti tra la mia categoria e quella degli editori. Per i dettagli della vertenza, se mai foste interessati, vi rimando ad altre sedi.
In genere questo è un argomento delicato che si affronta in alti consessi, con adeguate rappresentanze e anche con una certa tutela (sindacale). Eppure ci sono poche righe che non posso tenere per me. Quello che mi preme comunicare è la gravità di una posizione, quella degli editori, che traduce in termini elementari il concetto di dialogo: se tu provi a dire una cosa che non mi piace o che non mi conviene, io ti mando a quel paese e nemmeno ti voglio incontrare per strada. Discorso plausibile finché si tratta di questioni condominiali, discorso pericolosissimo quando ci sono in gioco robe come i contratti o la Costituzione. I giornalisti inseguono gli editori come in un gioco da giardinetti e quelli vanno via senza neanche rispettare le regole del gioco. Il peggio è che ci sono giornalisti che stanno con la controparte, consentendo la pubblicazione di giornali estemporanei pur con uno sciopero di categoria in vigore, senza nemmeno aver chiaro il proprio futuro. Ho parlato di controparte, sì. Gli editori non sono il nostro nemico. Sono i nostri datori di lavoro, coloro i quali hanno creduto in noi, scegliendo giorno per giorno il rischio di impresa e sfidando un mercato sempre più difficile. I giornalisti non sono imprenditori, se lo fossero non sarebbero giornalisti: è come chiedere a un parroco di farsi chiesa e fedeli tutto insieme. Un pasticcio, insomma. Ognuno ha i propri ruoli. Chi li confonde crede di essere più realista del re, ma in realtà è solo ostaggio del re.

La politica del rigore

Notizia: negli Usa il totale del raccolto delle piantagioni di marijuana ha un valore doppio rispetto a quello del grano. Cause ed effetti sono spiegati negli articoli di cronaca. Per quanto mi riguarda è l’occasione di catapultarmi nel ring, eternamente affollato, della questione delle droghe leggere. Sono della generazione di quelli che hanno visto troppe persone attaccarsi alla bottiglia di Vecchia Romagna pur di “crearsi un’atmosfera”. Qualcuno invece si faceva una canna. L’unica differenza tra gli uni e gli altri è che i primi andavano al bar (o al supermercato), pagavano e si stonavano beatamente. Gli altri facevano lo slalom tra brutti ceffi, pagavano col rischio di essere rapinati e si stonavano col terrore della polizia. Ieri ed oggi la politica del rigore stabilisce di fatto il primato della bottiglia sul fumo. Sono tutt’e due pessime (ripeto pessime) abitudini, da scoraggiare. Ma trattare da criminale un ragazzo con qualche spinello addosso e non fare lo stesso con chi si aggrappa alla bottiglia è da ubriachi. O da fumati.

Qualità della vita

La Sicilia si riconferma agli ultimi posti della classifica sulla qualità della vita in Italia. Il bombardamento mediatico vi avrà di certo raggiunto: Siena prima, Catania ultima e via elencando. Ricerche e sondaggi di questo genere mi lasciano sempre perplesso per un’irrazionale diffidenza nei confronti delle statistiche, alle quali darei pieno credito solo se mi venissero fornite le generalità complete degli intervistati e gli stenografici delle loro risposte. Per il resto non dubito che a Siena si circoli meglio che a Palermo, ma sono certo che la vitalità dei catanesi e la conseguente arte di saperne godere non temono confronti.
La qualità della vita ha mille sfaccettature, dipende dalle giornate. Se mi sveglio storto mi può dar fastidio il sole d’inverno, viceversa posso trovare piacevole un acquazzone estivo. Un’azienda che fa tre assunzioni è una buona notizia dalle nostre parti, a meno che io non sia tra i disoccupati esclusi. Un sindaco che apre un museo anche di notte me lo bacerei, a patto che l’ingresso non sia sotto la finestra della mia camera da letto.
Come uscirne?
Troviamo elementi di discussione meno soggettivi. E’ giusto che un carciofo costi un euro? O che le pesche in estate siano a 3,5 euro al chilo?
Misurando le risposte avremo un’altra idea di qualità della vita e di quanto gli italiani, da Siena a Catania, da Torino a Canicattì, ne abbiano le tasche piene. O vuote.

Il ladro di emozioni

Una delle figure più irritanti che incontro nella mia mezza età è il ladro di emozioni. Costui è un pericoloso manipolatore di realtà (plurale) che persegue fini strategicamente definiti: rubarvi un momento di felicità, togliervi l’esclusivo godimento di un frutto appena colto, spegnere ogni scintilla di entusiasmo. E’ un sordo che parla benissimo solo di sé, un bandito senza bottino perché ciò che porta via non ha alcun valore per lui.
Il ladro di emozioni si materializza quando siete appena tornati da un viaggio (per voi) fantastico e vi interrompe mentre siete alla prima descrizione tirando fuori dal cilindro un suo ricordo presunto col quale offusca il panorama che avete appena tentato di raccontare. Non c’è posto migliore, ambientazione più fiabesca di quelle che lui vi impone, rubandovi una scena che invece vi è dovuta.
Sempre in tema di esempi, il ladro di emozioni è pronto a sventagliare un suo scritto nel preciso istante in cui voi avete accennato al vostro. E se cercate di spiegargli che siete contenti perché il vostro tema\resoconto aziendale\manoscritto\libro ha passato il vaglio che aspettavate con ansia, lui metterà in campo tutta la sua pervicacia per parlarvi della sorte minuscola di quel foglietto che regge tra le mani, fosse anche la lista della spesa.
Ma non è solo nei momenti di felicità che il ladro di emozioni salta fuori dalla sua ombra patetica. Se avete un problema, se al vostro orizzonte si avvicina una nube di depressione, ci sarà sempre lui a ricordarvi che neanche in quest’ambito potete avere un primato, non fin quando lui avrà diritto di esistere e di soffrire (più di ogni altro essere vivente e non). Perché il malefico ha sempre un guaio peggiore del vostro e sa, prima di voi stessi, cosa volete (in modo improvvido) raccontargli: lui c’è passato ed è oltre la soglia del dolore, non c’è storia che regga al suo cospetto, anzi non c’è storia.
E’ sempre avanti rispetto a voi, col suo non-bottino. Si nutre della sua pochezza che non arriva neanche al rango di invidia.
E’ un ladro che in fondo depreda se stesso.