Il premier che tocca ferro (e altro)

In merito a quanto riportano erroneamente alcune agenzie di stampa, il Presidente Silvio Berlusconi si è ben guardato dall’esprimere un pronostico sullo scudetto al Milan anche per evidenti ragioni scaramantiche.

Comunicato stampa di Palazzo Chigi.

Facciamo un esperimento

Provate a guardare i telegiornali con un occhio diverso. Incasellate i servizi e le notizie che vi vengono somministrati in un elenco che prevede due sole colonne: agitazione e serenità. Non lasciatevi distrarre dal contenuto oggettivo del servizio (cioè non superate la distinzione tra cronaca bianca e cronaca nera, ad esempio), ma andate direttamente alle vostre sensazioni.
E’ molto probabile che, alla fine, troverete più ristoro in un arresto che in una recensione cinematografica perché è la sensazione che conta, non il mero contenuto. L’effetto tranquillizzante del male diffuso sconfitto dalle forze del bene è infinitamente più efficace del dubbio instillato dal male con nome e cognome incalzato dalle truppe malmesse del bene. L’arresto di un vecchio che insidia i bambini ai giardinetti si insinua nell’archivio delle emozioni in modo più rapido e istintivo rispetto all’inchiesta su un presidente del consiglio che corrompe chiunque possa essergli utile.
La rassicurazione della cronaca sta nella consapevolezza che ci sarà sempre – così si spera – un lieto fine. La verità della cronaca sta invece nella rassegnazione di un’attesa per un lieto fine che magari non arriverà mai.
I telegiornali degli ultimi tempi – specie quello di Minzolini – sono pieni di quel tipo di rassicurazioni.  Provate per sbalordirvi.

Autobiografia

Per la prima puntata del suo nuovo programma su Raiuno (“Il mio canto libero” dal 18 maggio), Vittorio Sgarbi ha scelto come argomento Dio. Evidentemente partire con un’autobiografia gli dà sicurezza.

Il gradasso

C’è un vecchio sistema per stanare i gradassi, far loro domande.
Così quando uno dice che i magistrati sono come le Br, è utile chiedergli “tu che facevi quando i magistrati erano assassinati dalle Br?”. E magari suggerire la risposta: “Mi facevo proteggere dalla mafia”.
Oppure quando uno dice che il referendum sul nucleare è stato aggirato proprio per non far votare la popolazione sul nucleare, è utile chiedergli “tu te la faresti costruire una centrale atomica davanti casa?”. E magari suggerire la risposta: “Certo ad Antigua”.

Dove nessuno urla

Foto di Daniela Groppuso

Di ritorno da Oslo.

Se dovessi usare due sole parole per definire i norvegesi di Oslo, mi affiderei a: serenità, compostezza.
La città, piccola e pulita, sembra essere stata costruita solo per i suoi abitanti. Ciò non significa che sia poco ospitale, ma al contrario che il turista non rischierà mai di abboccare a trappole tese apposta per lui. A Oslo, infatti, non esiste nulla di artefatto, o se esiste è veramente nascosto bene. I ristoranti sono cari per tutti (difficile scendere al di sotto delle 40-50 euro a persona), i mezzi pubblici sono numerosi e puntualissimi, la polizia è invisibile e la pulizia è ben visibile (si puliscono tutte le strade con acqua e ramazze, la notte).
A un turista bastano tre-quattro giorni per visitare, senza fatica, i luoghi principali della città: non starò qui a elencarveli, non voglio togliervi il piacere di spulciarli su una bella guida.
I norvegesi sono sinceramente affabili, per quanto affabile può essere un discendente dei vichinghi. Parlano un corretto inglese, tutti, persino l’autista del bus per l’aeroporto che è obbligato a fare gli annunci in due lingue.
C’è in giro la consapevolezza di una diversità storica e, direi, genetica. Vista dalla Norvegia l’Europa è solo un gigantesco insieme di teste a cui fare da cappello, nulla di più. Il distacco, che è anche emozionale, dai fatti lo si respira per strada. Sono incappato nella manifestazione di un gruppo di ambientalisti contro la concessione data dal governo ad alcune compagnie petrolifere. Erano tutti giovanissimi e biondissimi. E silenziosissimi, coi loro cartelli. Serenità e compostezza anche nella protesta. Chi sa di essere ascoltato comunque, non ha nulla da urlare.

Vai a farti un giro

Questo Roberto Lassini mi pare un prototipo del candidato berlusconiano: impresentabile, con un passato da detenuto, fedele al tornaconto personale. L’unica cosa che lo distingue dalla melma pidiellina è che sa rendersi conto di aver sbagliato. Per questo hanno accettato in un batter d’occhio le sue dimissioni.

Da leggere con attenzione

di Fabrizio Bognanni

Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo. Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale. La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto. Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto.
Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt’al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po’ ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano. Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare.

Elsa Morante

Qualunque cosa abbiate pensato, il testo è del 1945 e si riferisce a Mussolini.

La speranza è l’ultima a dormire

Uno si alza la mattina coi bottoni rotti perché la notte prima hanno rubato il motorino a sua moglie e lei è in uno stato di prostrazione che nemmeno quando il parrucchiere ha sbagliato taglio è stata così male.
Uno cerca di mettere da parte la rabbia verso i delinquenti che hanno forzato il cancello del garage e recita il rosario per diluire la voglia di bestemmiare. Mentre fa colazione, cerca di contattare l’assicurazione per capire che fare della polizza (tanto il furto, come da contratto, non è previsto) e pensa, chissà perché, a tutti i suoi nemici (tra cui ex amici, finti amici e lestofanti vari)  che in quel preciso momento, chissà perché, stanno pensando a lui con particolare trasporto.
Poi si decide e, accompagnato dalla moglie che più che una motociclista affranta sembra una vedova inconsolabile (e uno si tocca i bottoni rotti), va a sporgere denuncia.
Arriva davanti al commissariato con la moto superstite, entra nel cortile e parcheggia accanto ad altre quaranta motociclette. Un piantone, con la mascella volitiva d’ordinanza, gli dice che no, lì non si può parcheggiare. Ma come? – chiede uno, indicando i motocicli (termine da commissariato) – E questi che sono, ologrammi?”. Alla parola ologrammi, il piantone quasi mette mano alla pistola. Ma la vista della vedova lo ammansisce.
Qualche minuto dopo, davanti all’agente che deve verbalizzare la denuncia, si apre un mondo di relative che si annodano e di congiuntivi strabici: uno, alla fine, è costretto a firmare una dichiarazione dove oltre che per i reati in oggetto, si dovrebbe procedere per strage della lingua italiana (a firma sottoscritta di uno che scrive per mestiere).

Insomma, uno si alza la mattina coi bottoni rotti perché la notte prima ha subito un atto violento e volgare, come violenti e volgari sono gli atti contro noi e le nostre cose. Alla fine si ritrova davanti a un poliziotto pacioso e pienotto che, con un verbale in triplice copia tra le mani, tenta un’opera di consolazione disperata come la sua grammatica. “La speranza è l’ultima a dormire, cara signora”, dice alla vedova.
E ti regala l’unico, bellissimo, sorriso della giornata.

Rosso relativo

Ho l’abitudine di guardare indietro per capire quel che ho davanti. E ho la fortuna, perché di fortuna si tratta, di trovare un appiglio di felicità in ogni giorno che passa.
Sono un ex pessimista quindi parto avvantaggiato: vuoi mettere l’improvvisa consapevolezza che non tutto è destinato a girare per il verso sbagliato?
Credo che l’elisir di lunga vita sia relativizzare tutto, tranne un paio di cose che hanno a che fare con la fede o col sentimento. Quindi per combattere i concetti assoluti, mi affido alla memoria: dov’ero esattamente dieci anni fa? Come stavo? Che facevo?
Provate anche voi, se non avete seminato vento, vi sentirete bene. E magari, se volete, ne riparleremo.
Tra una bottiglia di vino e un’auto io scelgo la prima, perché subisce l’effetto del tempo in maniera opposta rispetto alla seconda

Soldi sudati

di Daniela Groppuso