Un rosario di curve e fiordi

Il mondo visto da una motocicletta è pieno di odori e di sensazioni rapide ma intense. È la prima volta che mi metto in viaggio per un itinerario così lungo, dodicimila chilometri da Palermo a Capo Nord e ritorno. Eppure alcuni luoghi che visiterò li conosco: un pezzo di Germania, la Danimarca, Oslo, Praga… Ma stavolta è tutto molto diverso: c’è la moto, c’è l’affascinante scomodità di un’esplorazione che a tratti diventa estrema, ci sono le intemperie da affrontare come una prova dell’ardimento. E c’è la scommessa con se stessi di poter ancora stupirsi a macinare chilometri e pensieri in giornate che iniziano alle cinque e mezza di mattina e sgommano via rapide come la mia guerriera a due ruote.
Questi primi tre giorni di viaggio – partenza col gruppo da Innsbruck e percorsi quotidiani di circa 600 chilometri – sono stati trasferimenti e soprattutto sono serviti a testare mezzi e attrezzature. Le strade in Germania sono perfette e su alcuni tratti non ci sono limiti di velocità: con tutte le cautele del caso è divertente concedersi un’accelerata che ti porta sul filo dei 200 all’ora e magari vederti superato da un’auto che ti pare pronta al decollo.
Magdeburgo, Copenaghen, il traghetto tra Germania e Danimarca che costa un occhio della testa e che sembra un grande centro commerciale con ristoranti, negozi e sale giochi. E poi via verso la Svezia col ponte di Øresund, titanica opera di ingegneria resa celebre dalla serie tv The Bridge, e la noia languida delle strade svedesi dritte e lente (perché nulla più sarà veloce dopo l’asfalto della grande madre Germania). Si studiano i percorsi, si decrittano i misteri dei punti gps – qui siamo in piena dittatura dei navigatori satellitari – e soprattutto ci si interroga su come facevamo noi stessi, qualche decennio fa, a viaggiare con cartine e matite. E poi arriva la Norvegia. Si presenta a noi con la sua sontuosa asperità climatica. Il caldo afoso dei giorni scorsi è un ricordo che pare preistoria davanti alle previsioni per oggi. Sette gradi di temperatura e per non farci mancare niente un po’ di pioggia. E ovviamente centinaia di chilometri da sgranare in un rosario di curve e fiordi.

1-continua

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La speranza è l’ultima a dormire

Uno si alza la mattina coi bottoni rotti perché la notte prima hanno rubato il motorino a sua moglie e lei è in uno stato di prostrazione che nemmeno quando il parrucchiere ha sbagliato taglio è stata così male.
Uno cerca di mettere da parte la rabbia verso i delinquenti che hanno forzato il cancello del garage e recita il rosario per diluire la voglia di bestemmiare. Mentre fa colazione, cerca di contattare l’assicurazione per capire che fare della polizza (tanto il furto, come da contratto, non è previsto) e pensa, chissà perché, a tutti i suoi nemici (tra cui ex amici, finti amici e lestofanti vari)  che in quel preciso momento, chissà perché, stanno pensando a lui con particolare trasporto.
Poi si decide e, accompagnato dalla moglie che più che una motociclista affranta sembra una vedova inconsolabile (e uno si tocca i bottoni rotti), va a sporgere denuncia.
Arriva davanti al commissariato con la moto superstite, entra nel cortile e parcheggia accanto ad altre quaranta motociclette. Un piantone, con la mascella volitiva d’ordinanza, gli dice che no, lì non si può parcheggiare. Ma come? – chiede uno, indicando i motocicli (termine da commissariato) – E questi che sono, ologrammi?”. Alla parola ologrammi, il piantone quasi mette mano alla pistola. Ma la vista della vedova lo ammansisce.
Qualche minuto dopo, davanti all’agente che deve verbalizzare la denuncia, si apre un mondo di relative che si annodano e di congiuntivi strabici: uno, alla fine, è costretto a firmare una dichiarazione dove oltre che per i reati in oggetto, si dovrebbe procedere per strage della lingua italiana (a firma sottoscritta di uno che scrive per mestiere).

Insomma, uno si alza la mattina coi bottoni rotti perché la notte prima ha subito un atto violento e volgare, come violenti e volgari sono gli atti contro noi e le nostre cose. Alla fine si ritrova davanti a un poliziotto pacioso e pienotto che, con un verbale in triplice copia tra le mani, tenta un’opera di consolazione disperata come la sua grammatica. “La speranza è l’ultima a dormire, cara signora”, dice alla vedova.
E ti regala l’unico, bellissimo, sorriso della giornata.