La nuova ignoranza

Per motivi di lavoro, in questo periodo, leggo molto di ciò che scrivono i non giornalisti, i non scrittori, i non addetti ad alcuna forma di comunicazione. E mi accorgo di quanto sia sempre più difficile trovare persone che siano in grado, o che abbiamo voglia, di esprimere un concetto in modo semplice. Cioè usando le parole (anche poche) di cui si conosce il significato.
Attenzione: non sto parlando di strafalcioni né di sfoggio di cultura ma, lo ripeto, di concetti.
C’è molta distrazione, si è perso il gusto per i particolari, si digita poco e si copia-incolla moltissimo. Si saccheggia il file altrui persino per inviare una e-mail  a un parente, come se per scrivere “Caro Peppinello, il mal di pancia non mi abbandona da due giorni” ci volesse chissà quale ispirazione.
Si è stitici al limite dell’insopportabilità: lo slang stile telefonino contagia i fogli di word che abbondano di nn, xké, c6, 1 altro.
Si fanno domande senza fornire elementi che possano far decollare una risposta decente: nell’era della comunicazione globale il buon senso, che pure è gratuito, ha pochi clienti.
Non si cerca di sorprendere, la sorpresa ha una controindicazione in chi la deve confezionare, comporta uno sforzo intellettuale. Pratica intollerabile per chi deve scegliere se utilizzare il proprio tempo per rispondere ai finti amici di Facebook o per tuffarsi nello zapping impoltronito del trash pomeridiano.
Il concetto scritto è in decadenza perché ci mette faccia a faccia con quella concretezza che la tv ha sublimato in urla e volgarità. La forza della ragione si piega a quella dell’ugola e per farsi capire è più semplice aggrapparsi all’illusione catodica che al vocabolario.
Morale: prevale chi è più violento, chi è più maschio (anche se donna), chi digrigna i denti; soccombe chi vorrebbe spiegare, chi riflette, chi conosce la differenza che passa tra realtà e reality.
I nuovi ignoranti non sono identificabili per censo, casta, livello di istruzione, appartenenza politica (un tempo accadeva così). La loro categoria è trasversale come la televisione, il Blackberry, il mega screen di Trony e il 1288 che se lo chiami ti dice persino dove cenerai domani e con chi ti tradirà tua moglie.
La crisi dei valori, che pure credevamo apocalittica, è solo un ricordo piacevole al confronto con la nuova emergenza.
Perché? 
Perché la morte dei concetti comporta l’estinzione dei sistemi di relazione basati sulla qualità e sulla logica.
Il futuro è un pianeta lobotomizzato che vibra solo per gli istinti dei peggiori che hanno un palco, dei più abietti che hanno i muscoli, degli avanzi che si sono autoeletti sostanza.
Pensateci, l’avvenire è il Grande Fratello.

Chiuso per ferie elettorali

L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore

In Italia si dice: “ciurlare nel manico”. A Palermo, “andarci con la minutidda”. In entrambi i casi, il significato è pressappoco questo: cercare di ottenere qualcosa in modo subdolo, con piccole mosse strategiche, meglio se invisibili, senza dichiarare la sostanza del proprio intento.
Ho l’impressione che l’ultima trovata del governo e commissioni di sorveglianza accluse in materia di “par condicio” Rai siano proprio questo: un modo di ciurlare nel manico. O di “andarci con la minutidda”. L’obiettivo non dichiarato ma immaginabile? A mio parere, quello di creare un precedente. E si sa, dal precedente al permanente il passo è spesso breve. Sarà dietrologia, ma penso che se oggi si può inibire l’aspetto informativo di trasmissioni come “Annozero”, “Report”, “Ballarò” e persino “A sua immagine” (scandaloso il caso della commemorazione di Bachelet che non andrà in onda) in nome di una fantomatica equidistanza e in vista delle elezioni regionali, non è detto che il cartello “momentaneamente chiuso” per le ferie elettorali non resti appeso anche domani. E per sempre.

Peggio la domanda o la risposta?

Voglio dire che la vita è molto lunga e a volte anche breve.

Lapo Elkann ieri pomeriggio a La vita in diretta, rispondendo alla domanda: cosa consiglia ai gggiovani?

Grazie a la Contessa.

Viva Tele Bucarest

Non so se vi è capitato di guardare i programmi Rai in questi giorni di festa. A me sono bastati pochi minuti dello show di Capodanno (dove, per intenderci, l’ospite principale era Luisa Corna) per fuggire e trovare conforto su un canale privato di una qualsiasi tv dell’est Europa.

Opinion leaders

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L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore

Al “Fatto del giorno” di Monica Setta, fino a poco fa succursale della sala d’aspetto del San Raffaele di Milano, il tema principale di discussione del giovedì di quaresima berlusconiana è stato: stiamo tornando agli anni di piombo?  C’erano vari opinion leaders: Alba Parietti, Emanuela Villa (la figlia di Claudio) e, in collegamento (da dove?) Flavia Vento. Alla Vento, presenza misteriosa e muta sul video-wall nel corso di tutta la puntata, è stata rivolta la domanda conclusiva.
“Se lei fosse al posto di Berlusconi, perdonerebbe l’aggressore?”.
La risposta arriva dopo qualche istante di fiato sospeso: “Io? No. Cioè… io perdonare no”.
Poi l’hanno sfumata. Entrava Emma Bonino.

I had a dream (again)

 

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

 

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Ho fatto un sogno. Cadeva il governo Berlusconi. Probabilmente in concomitanza con lo iettatorio anno zero del calendario maya, di cui ultimamente parlano molti esoteristi, pensatori e filosofi, compresi Enrico Ruggeri e Donatella Papi. Ma non è che cadesse il governo e basta. Di più. Berlusconi abbandonava il campo. Comunicava ai suoi fedeli – tramite sms, centinaia di migliaia messaggi – un incredibile dato di fatto: “Sono stanco. Ho sbagliato molte cose. Riconosco che ho strafatto in politica. Vado a Panama. Abbiamo scherzato. Da oggi, ognun per sé e Dio per tutti. T.v.b. Cribbio”.
Dice: incredibile davvero. Vabbe’, sennò che sogno è?
Ma questo è l’antefatto. Dovendo scegliere tra le varie e infinite conseguenze di uno tsunami del genere, tra la varia e multiforme massa di relitti e detriti che si lascerebbe dietro una decisione storica di tale levatura – Capezzone che, reclamato da un gorgo fangoso, si riattacca disperatamente alle chiome di Pannella, per dirne una – mi sono concentrato su  una speciale categoria di “papi boys”. I giornalisti. Certi giornalisti. E, sempre in sogno, mi chiedevo: “Dio mio… che fine farebbe Minzolini? E la Setta? E Facci? E Fede?”.
No, forse Fede si salvava: si era già guadagnato un posto alla destra del padre, una gabbietta nell’Arca verso Panama.
Ma loro? Gli altri? Tutti gli altri?
Nel sogno, si rassegnavano al lavoro nei campi. Zappa, melanzane, primizie, ravanelli. Ma non ho fatto in tempo a capire se si trattava di “A come agricoltura”: quindi di un ritorno in Rai sotto forma di baccelli rinati, purificati, freschi di succhi primaverili, senza memoria, con altri nomi. Facciolini. Minsetta. Settolini. O peggio ancora, rinascevano sotto forma di salici piangenti, nel reality “La fattoria”.
L’immagine è sfumata prima, purtroppo o per fortuna, e chi vivrà vedrà.
Che volete? Ho detto che era un sogno, non un incubo.

Silenzio, parla Dell’Utri

Marcello Dell'Utri

Il ministro Alfano ha detto qualche giorno fa che i magistrati devono pensare a lavorare ed evitare di perdere tempo in televisione. In linea di massima sono d’accordo. Ho notizie di un importante magistrato che si occupa più delle sue pubblicazioni su Micromega e delle sue apparizioni davanti alle telecamere che dei processi che deve imbastire. E questo non mi piace.
Però, come troppo spesso accade, le buone ragioni diventano cattive se il contesto le inquina. Perché Alfano fa quella dichiarazione? Perché deve scatenare un fuoco di copertura nei confronti del suo capo, uno che non perde occasione per spalare stallatico addosso alla magistratura.

Ieri pomeriggio, Raidue, trasmissione “Il fatto del giorno”, conduttrice Monica Setta (una nostra cliente).
In collegamento da Palermo c’è il senatore Marcello Dell’Utri, che – per onor di cronaca – ha subito una condanna in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione di tipo mafioso e ha patteggiato una pena di due anni e tre mesi per frode fiscale.
Il fatto del giorno shakerato dalla conduttrice è la deposizione dei mafiosi Graviano al processo d’appello contro Dell’Utri.
La Setta celebra l’agonia della decenza giornalistica inginocchiandosi davanti al suo ospite e concedendogli un quarto d’ora (praticamente quasi la metà del programma) per propagandare la sua tesi. Senza mai accennare all’ipotesi accusatoria, come se Dell’Utri fosse lì per caso, spettatore illustrissimo e riverito.
Se Alfano non avesse tuonato contro i pm che utilizzano la tv in modo improprio mi sarei arreso davanti all’ennesimo atto di asservimento di una giornalista che non conosce la differenza che passa tra i fatti e le opinioni, la tessera professionale e quella di partito, l’attendibilità e la sfacciataggine.
Invece mi sono arrabbiato molto.
Perché a un imputato condannato in primo grado deve essere concesso quel che a un pm incensurato viene negato?

Agenzia Mediaset

Sembra che Mediaset stia creando un’Agenzia d’informazioni. Secondo Fasipress “si tratterebbe di una struttura interna, diretta da Mario Giordano, che disporrebbe di un organico di circa cento giornalisti provenienti da Studio Aperto, Tg4 e TgCom e corrispondenti regionali. La mission sarebbe quella di garantire la produzione informativa di cronaca, attualità, spettacolo, cultura. Solo la politica restebbe fuori dal pacchetto. I servizi saranno utilizzati dalle varie testate del Gruppo e, un domani, potrebbero essere la base forte per la realizzazione di un canale all news”.

La Setta

monica setta

L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore

Da qualche tempo su Rai 2, in orario post-prandiale (poco opportunamente, visto che per me può indurre nausea e altri effetti gastrointestinali) c’è un programma tv che definirei come il nuovo prototipo “grado zero” di deformazione/disinformazione/bagasciata pret-à-porter dell’era berlusconiana attuale e futura. S’intitola “Il fatto del giorno”, è condotto da Monica Setta e non si/ci fa mancare niente: multiforme parterre di ospiti (da Cristiano Malgioglio al rifondarolo Paolo Ferrero, da Vittorio Sgarbi a Roberta Giarrusso, da Mastella al cane Rex), ambizioso carniere di contenuti e bistecche al fuoco (trans, giustizia, cronache parlamentari, omicidi irrisolti, ancora trans, ancora cronache parlamentari), interattività col popolo (pezzo forte del programma è un sondaggio del tipo: secondo voi quei biiip dei magistrati fanno bene a prendersela con quel santo, divino, brav’uomo, grande imprenditore, presidente operaio, amatore di Silvio Berlusconi sua maestà? Sì/No), e informazione in tempo reale (la Setta passa il tempo a ripetere la frase: “in esclusiva per noi”, ma si tratta di comunissimi lanci Ansa). Qualche puntata fa, l’ossessione della giornalista scollacciata era il sogno di tutti i giornalisti, anche non scollacciati: lo scoop. Disse che avrebbe fatto in diretta (e in esclusiva!) i nomi dei vip ritrovati nel computer di Brenda (“perché noi i nomi li vogliamo e li diciamo!”) e, per quanto mi riguarda, mal di stomaco a parte, fu amore a prima vista. Cinque puntate dopo, la Setta invocava ancora i nomi dei vip “birichini” che, naturalmente non arrivarono mai (in esclusiva, insomma, ci fu il pacco).
Ieri, la Setta ha cambiato pelle. Come Hyde che si spoglia di Jekyll, ha rivelato la sua vera natura. Complice l’aria che tira: il pentito Spatuzza va in tribunale a nominare Silvio. E così, presente un inspiegabilmente assopito Ingroia, Monica, forte di un sondaggio (migliaia di telefonate del “popolo”) si è lanciata in un’arringa in diretta. Il succo? La delegittimazione dei pentiti e l’immondizia riversata su Silvio. Da parte di chi? Dei magistrati, ovviamente. Ma lei, spalleggiata dalla nota intellettuale Stefania Orlando, dice: non sto dalla parte di nessuno, è il popolo che la pensa così. Quello dell’inappellabile sondaggio de “Il fatto del giorno”.
Insomma, non è la Rai. E’ una Setta.

La cattiva televisione

Barbara D'Urso

Se una campagna contro la cattiva televisione va fatta, è cosa buona e giusta cominciare da “Domenica Cinque” condotta da Barbara D’Urso, un personaggio che andrebbe raschiato via dalla tv soltanto per la sua presunzione e il suo pressappochismo.
Ieri pomeriggio, poco prima delle 15, nel pieno della (ormai teorica) fascia protetta, si è scatenata una rissa fra la trans Natalì e la sua omologa China. Una rissa come se si fosse in strada, tra insulti palesi ed epiteti incomprensibili. Solo che in strada uno chiama la polizia (i carabinieri meglio di no, in questo caso), in tv invece si è come impietriti. Penso a quelle famiglie in cui ci sono bambini davanti al televisore.
Che tipo di domande suscita una situazione in cui si urla di prostituzione e di rapporti sessuali clandestini? Come si descrivono certe figure senza dare una valenza negativa a ciò che oggettivamente negativo appare?
Ripeto: non siamo neanche alle tre del pomeriggio.
Chi mai nei luoghi di potere potrà decidere, nel nome di una decenza universale che non ha partito né religione, di porre fine alla pretesa di far passare come necessarie, informazioni che in realtà sono veleno, spremuta di porcherie? I vari trans Natalì e China, la superfemmina Barbara D’Urso, il maschio pavone Vittorio Sgarbi hanno inscenato, di domenica pomeriggio, uno spettacolo orribile. Che va bloccato, eliminato, sradicato, come va cancellata tutta questa televisione che offende e deforma.