Dai, l’anno prossimo un tema su Fabio Volo

L’effetto domino di Twitter è sorprendente. Anche nello svelare l’ignoranza. Non conoscere Claudio Magris non è un delitto, essere orgogliosi di non sapere chi sia è sì un delitto contro la cultura.
Un diciannovenne che non ha mai sentito parlare di Magris è uno che non ha mai letto un giornale, che non conosce il meglio della cultura italiana. Ma di questi tempi non è uno scandalo.
Magris, oltre a qualche libriccino, ha scritto decine di articoli sui giornali (Corriere della Sera) e ha sfiorato il Nobel per la letteratura, che non è la Coppa dei campioni, ma che qualcosa significa per noi senzienti (magari anche malati di calcio).
Per un liceale non conoscere Claudio Magris non è determinante, sceglierà un altro tema. Per un twittero di retrovia celebrare la consapevolezza di non conoscerlo è una meravigliosa, imperdibile prova della capacità di contagio dell’ignoranza nelle lande dei social network.
L’anno prossimo un bel tema di maturità su Fabio Volo, e tutti contenti.

Il ministro impresentabile

C’è un ministro della Repubblica che parla con pernacchie e versacci spesso al limite del comprensibile. Si chiama Umberto Bossi e rappresenta una parte impresentabile della Repubblica italiana, una non-regione, un’entità frutto della paranoia e dell’ignoranza.
Quando lo vedo in tv o ne leggo i rutti sui giornali provo una pena profonda per tutti quegli italiani del Nord che pur essendo certi di vivere in Lombardia o in Piemonte o in Veneto sono costretti a parlare di Padania. Noi del Sud ce ne intendiamo di capipopolo senza ragione, di rivolte strumentali, di inganni storici.
Se gli amici del Nord vogliono qualche consiglio, non hanno che da chiedere. Per noi è semplice: gli manderemo le nostre cicatrici.

Se gli italiani vogliono questo…

Una delle argomentazioni che più mi manda in bestia è: “Se gli italiani vogliono questo, allora è giusto che questo gli si dia”.
Il riferimento è a qualcosa che viene elargita dal regime, ovviamente.
Che sia verità ufficiale, programma televisivo, contentino legislativo poco importa.
Lo zoccolo duro del berlusconismo conclamato, e purtroppo anche di quello inconscio (in caso di persone che non sanno ancora di essere inglobate, ma che hanno già dentro il virus del partito dell’amore) ha il suo argomento forte nella valorizzazione dello status quo.
Siccome le cose sono così – è il succo del loro pensiero – non c’è motivo per cui non vadano così. Del resto se vanno così ci deve essere un motivo, e il motivo è che vanno così perché piace che vadano così.
A nulla vale ricordare che il valore primordiale della cultura è quello di spiegare come guardare alla realtà con altri occhi, come immaginare mondi migliori, come costruire cose che non necessariamente devono andare così.
Perché è giusto ricordare a queste persone che è possibile vivere in uno Stato in cui il premier si comporti da persona seria, in cui i ministri rispettino le istituzioni che rappresentano, in cui l’identità nazionale sia una e una sola, in cui emerge solo chi ha merito (e non parentele o legami sessuali), in cui le testate giornalistiche siano vedette e in cui il potere sia sotto il continuo giudizio del popolo, in cui uno per vedere in tv un programma che non sia di tette-culi-sangue-risse-gossip non debba aspettare anni.
E’ possibile sì. A patto che si dica chiaro e tondo che, al giorno d’oggi, l’ignoranza è come una malattia. Non va tollerata, va debellata.

Ingiustizia virale

Su internet quest’immagine è ormai virale. Ma non me la sentivo di cestinarla.

Via Davide Romano.

La nuova ignoranza

Per motivi di lavoro, in questo periodo, leggo molto di ciò che scrivono i non giornalisti, i non scrittori, i non addetti ad alcuna forma di comunicazione. E mi accorgo di quanto sia sempre più difficile trovare persone che siano in grado, o che abbiamo voglia, di esprimere un concetto in modo semplice. Cioè usando le parole (anche poche) di cui si conosce il significato.
Attenzione: non sto parlando di strafalcioni né di sfoggio di cultura ma, lo ripeto, di concetti.
C’è molta distrazione, si è perso il gusto per i particolari, si digita poco e si copia-incolla moltissimo. Si saccheggia il file altrui persino per inviare una e-mail  a un parente, come se per scrivere “Caro Peppinello, il mal di pancia non mi abbandona da due giorni” ci volesse chissà quale ispirazione.
Si è stitici al limite dell’insopportabilità: lo slang stile telefonino contagia i fogli di word che abbondano di nn, xké, c6, 1 altro.
Si fanno domande senza fornire elementi che possano far decollare una risposta decente: nell’era della comunicazione globale il buon senso, che pure è gratuito, ha pochi clienti.
Non si cerca di sorprendere, la sorpresa ha una controindicazione in chi la deve confezionare, comporta uno sforzo intellettuale. Pratica intollerabile per chi deve scegliere se utilizzare il proprio tempo per rispondere ai finti amici di Facebook o per tuffarsi nello zapping impoltronito del trash pomeridiano.
Il concetto scritto è in decadenza perché ci mette faccia a faccia con quella concretezza che la tv ha sublimato in urla e volgarità. La forza della ragione si piega a quella dell’ugola e per farsi capire è più semplice aggrapparsi all’illusione catodica che al vocabolario.
Morale: prevale chi è più violento, chi è più maschio (anche se donna), chi digrigna i denti; soccombe chi vorrebbe spiegare, chi riflette, chi conosce la differenza che passa tra realtà e reality.
I nuovi ignoranti non sono identificabili per censo, casta, livello di istruzione, appartenenza politica (un tempo accadeva così). La loro categoria è trasversale come la televisione, il Blackberry, il mega screen di Trony e il 1288 che se lo chiami ti dice persino dove cenerai domani e con chi ti tradirà tua moglie.
La crisi dei valori, che pure credevamo apocalittica, è solo un ricordo piacevole al confronto con la nuova emergenza.
Perché? 
Perché la morte dei concetti comporta l’estinzione dei sistemi di relazione basati sulla qualità e sulla logica.
Il futuro è un pianeta lobotomizzato che vibra solo per gli istinti dei peggiori che hanno un palco, dei più abietti che hanno i muscoli, degli avanzi che si sono autoeletti sostanza.
Pensateci, l’avvenire è il Grande Fratello.

Io odio

di Abbattiamo i termosifoni

Ci sono banalità quotidiane che mi danno un gran fastidio.
Ecco alcune cose che detesto:
– chi mi parla ad alta voce la mattina appena mi sveglio;
– la puzza di pesce crudo in cucina e sulle mani;
– Berlusconi che fa il figo e Maria De Filippi che fa la dura e pura;
– gli uomini e/o le donne che tradiscono ripetutamente e senza un vero perché (denunciando, così, grave insicurezza);
– chi non cura l’igiene neanche il minimo sindacale;
– stare nel traffico, perché mi fa infuriare come poco altro al mondo;
– chi mi costringe a parlare al telefono per ore;
– chi è ignorante e se ne bea;
– il caldo (sopra ogni cosa) nella versione umida e pure in quella secca.
E voi?

Aboliamo il Grande Fratello

La vignetta è di Gianni Allegra
La vignetta è di Gianni Allegra

Su Blob, ieri, ho visto un frammento del Grande Fratello. Ho sbirciato tra le pieghe di un tradimento (anzi, dei suoi postumi) in diretta, con lacrime finte e ignoranza genuina. Mi è salito un malumore che ha imbarazzato i miei ospiti.
Il fatto è che in questa trasmissione le peggiori intenzioni diventano manifesto, l’umana idiozia assurge al ruolo di fenomeno di costume, il peggio fa spettacolo. Ci sono psicopatici che dettano regole di vita e comparse senza un briciolo di talento costrette a ruoli di improbabili protagonisti. La parte più raffinata del programma sono le scene di sesso clandestino.
Eppure tra un film porno, dove l’oscenità e i paradossi sono dichiarati, e il Grande Fratello, che ammorba le menti con una finzione banalmente volgare, c’è un’enorme differenza: il sesso è di (quasi) tutti, l’imbecillità no.
Tra i motivi che giustificano la decretazione d’urgenza io metterei la tutela della decenza intellettuale. Il Grande Fratello va abolito per legge.