Finche c’è Silvio c’è speranza

Se Berlusconi lascia la politica, io lascio il Tg4.

Emilio Fede a “Un giorno da pecora”.

Confusione

Se cercavate una foto per raccontare, per simboli, la confusione del governo italiano in tema di politica economica e non solo, eccovela. L’ha scattata Gaetano Bognanni qualche sera fa a Shangai.

Il flop dei politici sul web

Uno stralcio dell’articolo di oggi su la Repubblica.

Dieci anni fa la politica considerava internet uno strumento aggiuntivo di informazione. I primi siti dei partiti erano infarciti con gli stessi comunicati inviati a giornali e agenzie di stampa. Il web era un megafono un po’ più potente, null’altro.
Oggi poco è cambiato e, soprattutto in Sicilia, la politica sembra continuare a ignorare l’importanza della rete nel generare partecipazione, affiatamento.
Il concetto di fondo per comprendere il senso di questa occasione perduta è quello di interattività: il lettore non è più soggetto passivo, ma interviene, suggerisce. Dà i suoi feedback, che dovrebbero essere merce preziosa per la politica: meglio di qualunque indagine statistica. Continua a leggere Il flop dei politici sul web

Il bandito milanese

L’effetto urticante della vicenda di Marco Milanese non è dovuto all’odioso atto di salvataggio compiuto dal governo nei confronti di una persona sospettata di aver commesso gravi reati, ma al ghigno col quale una classe politica distante dalla realtà celebra se stessa. Nei commenti successivi al voto infatti non c’è stato spazio per una spiegazione razionale del no all’arresto, ma si sono registrati solo elogi compiaciuti (o meno) sulla “tenuta della maggioranza”, sulla compattezza del pdl.
Insomma, anziché inseguire i rapinatori si discute, ammirati, sulla potenza dell’auto che ha consentito loro la fuga.

Rivoluzione, rivoluzione

Il nostro premier continua a entusiasmare le platee di mezzo mondo con le sue piroette verbali e, in generale, con le sue acrobazie politico-giudiziarie.
Chissà che un giorno la storia, con un suo sberleffo, non decida di declassare questo leader politico a “portatore di personalissime e balzane istanze irricevibili”. Sarà il giorno di una grande rivoluzione: niente fucili e forconi, solo due uomini vestiti di bianco con in mano un foglio che dispone il  TSO.

Umberto il caldo

Agosto è il mese in cui, in assoluto, si parla di più del tempo meteorologico. Il caldo (e le ferie) innescano spunti centripeti di citazioni, di esclamazioni, di semplice intercalare. La temperatura, se ci fate caso, è al centro della maggior parte delle discussioni e non perché manchino altri argomenti, ma per un motivo fisico: il caldo dilata, amplifica, innervosisce. Dev’essere così anche per Umberto Bossi che in questi giorni ne ha per tutti, soprattutto per i suoi compagni di governo tipo Brunetta. Solo che nel caso del ritronato leader dei leghisti non ci sono prove di un effetto opposto del freddo.

La crisi della responsabilità

Che cosa penseranno in queste ore, leggendo nelle cronache delle belle imprese dell’onorevole Milanese, i suoi elettori? E che cosa avranno pensato ieri o l’altrieri gli elettori dei vari Cosentino, Papa, Brancher, Romano, e di non pochi altri senatori e deputati, a vario titolo indagati, rinviati a giudizio, condannati da un tribunale? La risposta è semplice: non hanno pensato niente. Per una ragione altrettanto semplice: perché quegli elettori in realtà non esistono.

Ieri, sul Corriere della Sera, Ernesto Galli Della Loggia riassumeva così il catastrofico risultato dell’attuale legge elettorale italiana. Come infatti sapete, i deputati e i senatori, e non solo loro, non sono scelti direttamente dal popolo, ma dai capi di partito. Ne consegue un’interruzione del rapporto tra causa ed effetto che allontana sempre più la gente dalla politica e al contempo consegna il governo di una nazione all’onanismo di un oligarca.
Non si è rappresentanti del popolo se il popolo ignora chi lo rappresenta. Se la scelta di un deputato è demandata al capo di un partito, nonostante l’esito delle urne dove pure sono contenuti nomi e cognomi, il merito oggettivo diventa il suo contrario: raccomandazione, privilegio, favore.
Il momento politico che viviamo ormai da un decennio è inquadrabile, molto sommariamente, in un ambito di crisi di responsabilità. Ci arrabbiamo se nella Finanziaria qualcuno mette una norma che non c’entra nulla coi conti dello Stato ma solo con quelli di un malfattore. Ci indignamo se in un anno di attività parlamentare la maggior parte del tempo se ne va nel discutere la riforma di una giustizia che non piace sempre al solito malfattore. Ringhiamo davanti ai palinsesti di una tv pubblica depredata delle sue forze migliori solo perché non sono allineate col potere (frase trita, lo so, ma chiara…). Ebbene, dovremmo risparmiare le forze per incazzarci a monte. Tutto ciò accade perché chi vota questi provvedimenti, di qualunque partito sia, non ha una responsabilità diretta nei confronti dei suoi elettori. Esiste solo un maledetto cordone ombelicale col leader del partito: suo è il regno, la potenza e la gloria nei secoli dei secoli.

Magris, parole di peso

Ieri Claudio Magris ha detto sottovoce, a Che tempo che fa, quello che milioni di italiani tentano di dire sbraitando (ma nemmeno tanto): sulla politica, sull’etica, sulla buona educazione, sulla cultura. Se ve lo siete persi qui c’è il link.

Basso profilo

Il governo, questo governo, ritiene che si debba modificare la Costituzione in modo da limitare l’influenza del presidente della Repubblica sul Parlamento.
Eppure tranne un paio di eccezioni, con moniti talmente mirati da sembrare l’ago delle siringhe Pic, raramente il nostro capo dello Stato ha fatto sentire la sua voce. Si può dire tutto di Napolitano, ma non che sia una figura politicamente muscolare.
Quindi la modifica della Carta ha ben altri obiettivi che non depotenziare il potere di un presidente avvizzito. Qualche idea? Ecco le mie.
Fortificare un Parlamento che basa la sua azione esclusivamente sui numeri, di deputati e di conti correnti.
Abbattere i sistemi di controllo.
Drogare il popolo con la fandonia della sovranità della politica: quale persona di media intelligenza può credere a una politica fatta da persone squalificate?

A proposito di blog, politica e pseudopolitici

Molti politici ormai hanno un blog. Pochi lo tengono aggiornato. Molti pseudopolitici hanno un blog. E sono quelli che si curano più degli altri dell’aggiornamento.
Il blog è stato di moda cinque-sei (anche più) anni fa.  Il boom fu intorno alla prima metà degli anni Duemila, insomma. Non c’era neanche la necessità di registrare un dominio, c’erano mille maniere di metter su un diario elettronico senza spendere una lira.
Da allora il tempo ha avuto modo di mettere alla prova la costanza degli autori. Tenere un blog comporta un considerevole consumo di tempo e fatica, costa anche economicamente.
Risultato. Le esperienze istituzionali sono naufragate, quelle più caserecce hanno sfidato e vinto il tempo.
Perché?
Perché la motivazione a dar conto ogni giorno del proprio operato, dei propri pensieri, delle proprie intenzioni o di chissà cos’altro ha bisogno di un impegno genuino.
Non bastano la puntualità di un ghostwriter (e ve lo dice uno che di mestiere fa il ghostwriter, anche se non per i politici), né l’abnegazione di un addetto stampa tesserato e inglobato nel partito.
No, per tenere su un blog, nel 2010, ci vuole motivazione. Quella che molti pseudo hanno e che dimenticheranno non appena conquisteranno il ruolo di titolari. Per fortuna.