Molto spesso mi sono trovato in disaccordo coi proclami di Beppe Grillo (se sfogliate le pagine di questo blog troverete qualcosa in proposito). Però oggi è difficile dargli torto quando invoca una Norimberga per i partiti.
Sbaglia chi nel nome di una sorta di ragion di Stato invita a guardare avanti e a mettere da parte le polemiche, cercando lo sconto anziché lo scontro. Questo Paese è stato portato quasi alla fame non dalle convergenze economiche, né dai fantasmi della finanza mondiale, ma da una classe politica nefanda.
Facendo lo slalom tra i distinguo, ma evitando di impantanarci nella retorica, dobbiamo dircela tutta perché non è andando appresso alla sottile strategia politica che si porta la pagnotta a casa.
L’Italia è vittima di sprechi inauditi e i partiti sono una macchina mangiasoldi. Punto.
Non c’è nessun deputato o senatore che ci possa convincere del contrario. Se un partito non sa quanti soldi ci sono in cassa, se il fiume di milioni può essere deviato dal primo tesoriere, se vengono fuori diamanti e lingotti d’oro, se gli affari privati si fanno insomma coi soldi pubblici, è chiaro che c’è qualcosa che non va.
E a poco vale la giustificazione ufficiale secondo la quale il finanziamento servirebbe a garantire l’indipendenza dei partiti dalle lobby e la sterilizzazione della politica rispetto al potere economico. Quando si ruba in modo sistematico c’è poco da sottilizzare. Non è lo spettro della dittatura berlusconiana che fa più paura, ma quello della fame.
Quindi ben venga la Norimberga dei partiti. Un processo in cui tutti questi signori dovranno dire dove hanno nascosto i soldi, come li hanno spesi e quando li restituiranno. Sono per lo scontro, non per lo sconto insomma.
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Tre domande semplici
Mi hanno insegnato che quando le situazioni sono complesse è meglio fare domande semplici. Capite bene che si tratta di un esercizio più di psicologia che di giornalismo, ma ognuno di noi ha il passato che si merita…
E allora cimentiamoci con tre domande.
Cosa c’entrano diamanti e lingotti d’oro coi soldi che lo Stato dà a un partito?
Perché quando un intero Paese stringe la cinghia, i rimborsi elettorali non si devono toccare?
Come si può tollerare che la decisione su un finanziamento pubblico venga presa da chi i soldi li riceve e non da chi i soldi li versa?
Drammatico
Bisogna stare molto attenti con gli aggettivi. Definire “drammatico” l’eventuale taglio del finanziamento ai partiti è da incauti. Di drammatico in questa nazione ci sono molte cose, e il mio non è benaltrismo. Se si parla di soldi pubblici c’è una parola che legittima tutto: fiducia. Quando paghiamo le tasse lo facciamo sperando che quei soldi siano ben impiegati. Il dramma, quello vero, è che finiscono in sperperi, puttane, auto di lusso, ville, viaggi, cene, diamanti e tangenti varie.
Quindi non facciamo il drammatico errore di indicare drammatici errori che in realtà sono atti di legittima difesa da altri, veri, drammatici errori.
Il flop dei politici sul web
Uno stralcio dell’articolo di oggi su la Repubblica.
Dieci anni fa la politica considerava internet uno strumento aggiuntivo di informazione. I primi siti dei partiti erano infarciti con gli stessi comunicati inviati a giornali e agenzie di stampa. Il web era un megafono un po’ più potente, null’altro.
Oggi poco è cambiato e, soprattutto in Sicilia, la politica sembra continuare a ignorare l’importanza della rete nel generare partecipazione, affiatamento.
Il concetto di fondo per comprendere il senso di questa occasione perduta è quello di interattività: il lettore non è più soggetto passivo, ma interviene, suggerisce. Dà i suoi feedback, che dovrebbero essere merce preziosa per la politica: meglio di qualunque indagine statistica. Continua a leggere Il flop dei politici sul web
A proposito di blog, politica e pseudopolitici
Molti politici ormai hanno un blog. Pochi lo tengono aggiornato. Molti pseudopolitici hanno un blog. E sono quelli che si curano più degli altri dell’aggiornamento.
Il blog è stato di moda cinque-sei (anche più) anni fa. Il boom fu intorno alla prima metà degli anni Duemila, insomma. Non c’era neanche la necessità di registrare un dominio, c’erano mille maniere di metter su un diario elettronico senza spendere una lira.
Da allora il tempo ha avuto modo di mettere alla prova la costanza degli autori. Tenere un blog comporta un considerevole consumo di tempo e fatica, costa anche economicamente.
Risultato. Le esperienze istituzionali sono naufragate, quelle più caserecce hanno sfidato e vinto il tempo.
Perché?
Perché la motivazione a dar conto ogni giorno del proprio operato, dei propri pensieri, delle proprie intenzioni o di chissà cos’altro ha bisogno di un impegno genuino.
Non bastano la puntualità di un ghostwriter (e ve lo dice uno che di mestiere fa il ghostwriter, anche se non per i politici), né l’abnegazione di un addetto stampa tesserato e inglobato nel partito.
No, per tenere su un blog, nel 2010, ci vuole motivazione. Quella che molti pseudo hanno e che dimenticheranno non appena conquisteranno il ruolo di titolari. Per fortuna.
A chi servono le elezioni anticipate
di Tony Gaudesi
Sacra, inviolabile, sovrana. Da stuoino, qual è sempre stata, la volontà popolare sembra di colpo diventata – a parole – l’ombelico del mondo politico, il denominatore comune, unico e irrinuncialbile, di tutte le politiche prossime venture. Bello, bellissimo, anzi patetico.
I nostri politicanti che oggi fanno la ruota davanti alla telecamere, inalberando il vessillo popolare a difesa della maggioranza uscita dalle urne, evidentemente hanno la lingua e le mani lunghe ma la memoria corta.
Era il 1993 quando l’intoccabile volontà popolare, dicendo sì al referendum proposto dai radicali, scaraventò a mare il finanziamento pubblico ai partiti. E furono adesioni bulgare: oltre il 90 per cento degli italiani (31 milioni contro 3 milioni) cassò l’iniquo balzello, che, uscito dalla porta, fu però fatto rientrare dalla finestra. Già lo stesso anno, infatti, il finanziamento fu parzialmente riesumato per essere potenziato nel 1994 e vitaminizzato nel 2002 prima e nel 2006 dopo. Risultato: i rivoli di denaro indirizzati alle casse dei partiti divennero torrenti, fiumi in piena, mentre il rimborso perdeva attinenza diretta con le spese realmente sostenute dai partiti, abbassava la soglia della rimborsabilità dal 4 all’1 per cento e, soprattutto, diveniva erogabile per tutti e cinque anni di legislatura, indipendentemente dalla sua durata effettiva.
E proprio quest’ultima ciliegina rischia di rendere particolarmente indigesta per i cittadini la torta in preparazione nelle segreterie romane dei partiti: la chiamata alle urne. L’avvio anticipato della macchina elettorale innescherebbe infatti l’ennesimo maxi-scippo alle casse dello Stato. Questo perché l’ultima versione della legge-truffa che si è fatta beffe delle “sacre” decisioni degli italiani porterebbe al terzo contemporaneo rimborso per i partiti: per la XV legislatura (Prodi) la XVI (attuale) e la XVII (nuova).
E si tratta di rimborsi enormi, ben più grossi delle spese sostenute: il Pdl, ad esempio, per il 2008 riceverà un rimborso di oltre 205 milioni di euro a fronte di spese accertate di poco più di 53 milioni, il Pd di 180 milioni a fronte di esborsi pari a 18 milioni e l’Udeur (l’Udeur???) continuerà a ricevere rimborsi fino al 2013.
Tutto mentre Roma predica sacrifici e razzola negli sperperi, i cittadini aggiungono buchi su buchi alla cinghia-groviera che ha più che doppiato il punto vita, i ricercatori vanno alla ricerca… di posti all’estero e i professori, in bagno, insegnano ai figli che uso fare del titolo di studio.