Magris, parole di peso

Ieri Claudio Magris ha detto sottovoce, a Che tempo che fa, quello che milioni di italiani tentano di dire sbraitando (ma nemmeno tanto): sulla politica, sull’etica, sulla buona educazione, sulla cultura. Se ve lo siete persi qui c’è il link.

I giornalisti onesti

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di Roberto Puglisi

Io faccio un mestiere che gli altri trattano come una lingua morta. Lo faccio con le mani. Lo percorro con i piedi. Lo semino con il cuore. Lo aro con il cervello. Ma mi dicono che è morto, che tutto fu vano. Il giornalismo – dicono, appunto – è morto. Lo dicono vecchi padri nobili con la barba bianca. Lo dicono le casalinghe di Voghera. Lo dicono i militari di Cuneo. Lo dicono gli operai di Marx. Lo dicono i calciatori e le veline. Lo dicono, infine, i giornalisti.
Allora, mi chiedo: cos’è questo amore che mi brucia nel petto e che è identico alla scintilla accesa la prima volta? Cos’è questa gioia ribalda che mi afferra quando racconto una storia, pure se davanti ho un cadavere caldo? Cos’è questo cercare i dettagli: il riflesso dell’ultima cosa vista, le sigarette nelle mani dilaniate, il sorriso, le foto dei cari? Perchè per me il mio mestiere significa ricordare degnamente gli uomini valorosi e dare una corda vocale ai vivi senza fiato. E sono un maledetto precario, ma rifarei tutto, se me ne fosse dato modo. E non sono una mosca bianca, perché la maggioranza dei miei colleghi è come me. E sono stato perfido, cattivo e disgraziato, però sempre scodinzolando dietro l’etica della notizia. E le casalinghe di Voghera che non leggono i giornali come si permettono di giudicarmi? E i padri nobili dovrebbero cercarsi una lapide nel cimitero degli eleganti. Io conosco il colore del sangue che sputo, che sputiamo in tanti, per le vostre notizie da consumare in poltrona. Noi non abbiamo troppe poltrone. Siamo giornalisti da fanteria e da trincea. Siamo persone perbene.

Allam e il partito di Dio

Qualche giorno fa Magdi Cristiano Allam ha dato l’addio al giornalismo e la benedizione a un nuovo partito, “Protagonisti per l’Europa Cristiana”, che segna la sua discesa in campo nel mondo della politica. Non c’è da sforzarsi troppo per intuire la collocazione di questo nuovo soggetto: l’obiettivo è la confluenza nel PPE, quindi indovinate un po’. Ci si sforza invece – anche esageramamente – di capire quali saranno gli alleati di Allam e confratelli. Eppure leggendo attentamente le primissime dichiarazioni del fondatore del Pec (la sigla ricorda più un polimero inorganico che un’aggregazione di esseri viventi) è più interessante chiedersi chi non saranno i suoi nuovi alleati.
Uno che si prende la briga di aprire una simile cordata si suppone che abbia dato un’occhiata in giro, prima. Allora, cosa si sarà detto Magdi Cristiano?
Voglio un partito efficiente come un’azienda.
C’è già.
Voglio un partito che dia di più a tutti.
C’è già.
Voglio un partito minestrone, dove si conviva con gusto (un partito di vegetali insomma, dove si esiste ma non si pensa).
C’è già.
Voglio un partito che riesca a vincere anche quando perde.
C’è già.
Voglio un partito che si onori della sconfitta anche quando ha tutte le carte per vincere.
C’è già.
Voglio un partito che si batta “per il primato dell’etica” e per l’affermazione delle “regole e dei valori”.
Minchia, questo non c’è! Benissimo, facciamolo subito… prima che ci rubino l’idea!
Ora questo partito è alla disperata ricerca di antagonisti, per distinguersi dalle Orsoline o da un raduno di carmelitani scalzi. Il problema è: chi dibatterà contro l’etica, le regole e i valori? Il sub-problema è: come si distinguerà un dibattito tv con Allam dall’omelia di Ognissanti?
L’uscita dell’ex giornalista in odor di pontificato ricorda quella di un tale che ora è suo collega, uno che ha fatto carriera, uno che… diciamo si è fatto assumere come premier. Costui in un comizio urbi et orbi battezzò la sua formazione politica come “il partito dell’amore”, contrapposto all’adunata di debosciati che qualcun’altro chiamava benevolmente opposizione.
L’etica, le regole e i valori sono lidi troppo lontani quando si naviga a vista nella tempesta dell’approssimazione.  Se la politica è l’arte del possibile, partire a strappo verso l’impossibile è un atto di incoscienza se non si hanno mitria e altri paramenti liturgici. Oppure, come si è tentati di pensare, è solo un atto di ipocrisia.