Giocatori

Se io gioco in una squadra è perché mi trovo bene in quella squadra. Magari il pubblico mi applaude pure, dopo aver pagato il biglietto.
Se io passo a un’altra squadra è perché mi hanno offerto di più, oppure perché in quell’altra mi trovo meglio. O ancora perché ha un pubblico migliore della prima.
Però non sto parlando di calcio.
Questo è quello che sta accadendo nella politica italiana. Con l’aggiunta di una sola, vergognosa, aggravante: i giocatori cambiano squadra mentre la partita è in corso.

SPQR

Sia
potato
questo
ramo

Stolto
parlamentare,
quasi
raglia

Sentire
parlare
questo,
raccapriccia

E tutto sommato…

Sono
pazienti
questi
romani

Cervello Fini


Il succo è che Fini si mostra come l’unico politico (e non) in grado di mettere alle corde Berlusconi. Perché conosce i suoi punti deboli, perché ha costruito con lui un partito per mascherarli, perché è stato satrapo e nemico al tempo stesso, perché non c’è peggior nemico di un ex migliore amico.
Fini sa di avere il ruolo più comodo che un oppositore possa immaginare, quello di leader ragionevole esautorato da una maggioranza irragionevole, e si auto-nomina cavallo di Troia del centrodestra.
Il discorso di Mirabello passerà alla storia perché è di un sofismo meraviglioso (ho sempre subito il fascino dei sofisti). Dentro c’è tutto: il federalismo e i vizi del capo, i giovani e le forze dell’ordine, i giornali e il Tg1, la legge elettorale e la giustizia, la scuola e Gheddafi, la Lega e Almirante.
Fini gioca (e vince) sullo stesso tavolo del suo antagonista: la comunicazione. E’ più bravo di Berlusconi perché sa deragliare con misura, segue un copione sapendo che ogni improvvisazione gli costerà cara. Non urla con la mascella volitiva in fuori, non generalizza, non cerca il consenso plebiscitario. Sa che Mirabello non è l’Italia, ma sa anche che Montecitorio non è più la roccaforte del Nuovo Duce.
Si toglie tutti i sassolini dalle scarpe e non schiuma mai di rabbia: se l’autocontrollo fosse un parametro di una nuova legge elettorale lui vincerebbe a mani basse.
Tutto ciò ovviamente non fa di lui l’uomo nuovo, il faro dell’Italia che spera. Però a vedere Fassino che commenta incerto il discorso come se fosse una vittoria sua, e Gasparri rintronarsi con un inusitato riferimento alle bandiere dei movimenti gay (Tg1, of course), c’è da ricordarsi che quando la situazione è drammatica anche gli aiuti insperati possono essere determinanti.
Se si votasse adesso, Fini rischierebbe di raccogliere più consensi a sinistra che dall’altro lato.
Alle prossime elezioni la sua formazione politica toglierà più voti al Pd che al Pdl.
Scommettiamo una birra?

A chi servono le elezioni anticipate

di Tony Gaudesi

Sacra, inviolabile, sovrana. Da stuoino, qual è sempre stata, la volontà popolare sembra  di colpo diventata – a parole – l’ombelico del mondo politico, il denominatore comune, unico e irrinuncialbile, di tutte le politiche prossime venture. Bello, bellissimo, anzi patetico.

I nostri politicanti che oggi  fanno la ruota davanti alla telecamere, inalberando il vessillo popolare a difesa della maggioranza uscita dalle urne, evidentemente hanno la lingua e le mani lunghe ma la memoria corta.
Era il 1993 quando l’intoccabile volontà popolare, dicendo sì al referendum proposto dai radicali, scaraventò a mare il finanziamento pubblico ai partiti. E furono adesioni bulgare: oltre il 90 per cento degli italiani  (31 milioni contro 3 milioni) cassò l’iniquo balzello, che, uscito dalla porta, fu però fatto rientrare dalla finestra. Già lo stesso anno, infatti,  il finanziamento fu parzialmente riesumato  per essere potenziato nel 1994 e vitaminizzato nel 2002 prima e nel 2006 dopo. Risultato: i rivoli di denaro indirizzati alle casse dei partiti divennero torrenti, fiumi in piena, mentre il rimborso perdeva attinenza diretta con le spese realmente sostenute dai partiti, abbassava la soglia della rimborsabilità dal 4 all’1 per cento e, soprattutto, diveniva erogabile per tutti e cinque anni di legislatura, indipendentemente dalla sua durata effettiva.

E proprio quest’ultima ciliegina rischia di rendere particolarmente indigesta per i cittadini la torta in preparazione nelle segreterie romane dei partiti: la chiamata alle urne.  L’avvio anticipato della macchina elettorale innescherebbe infatti l’ennesimo maxi-scippo alle casse dello Stato. Questo perché l’ultima versione della legge-truffa che  si è fatta beffe delle “sacre” decisioni degli italiani porterebbe al terzo contemporaneo rimborso per i partiti: per la XV legislatura (Prodi) la XVI (attuale) e la XVII (nuova).
E si tratta di rimborsi enormi, ben più grossi delle spese sostenute: il Pdl, ad esempio, per il 2008 riceverà un rimborso di oltre 205 milioni di euro a fronte di spese accertate di poco più di 53 milioni, il Pd di 180 milioni a fronte di esborsi pari a 18 milioni e l’Udeur (l’Udeur???) continuerà a ricevere rimborsi fino al 2013.

Tutto mentre Roma predica sacrifici e razzola negli sperperi, i cittadini aggiungono buchi su buchi alla cinghia-groviera che ha più che doppiato il punto vita, i ricercatori vanno alla ricerca… di posti all’estero e i professori, in bagno, insegnano ai figli che uso fare del titolo di studio.

Il risveglio di Bersani

Secondo Pierluigi Bersani “il berlusconismo fa regredire la politica a fogna”. Finalmente una dichiarazione sensata. Noi l’aspettavamo da tempo.

Più Tg1 per tutti

La conseguenza più drammatica del mancato via libera ai talk show in tv rischia di sfuggire alla maggior parte degli italiani.
La vera emergenza, in un’Italia socialmente lobotomizzata, non è il fatto che un qualsiasi programma di informazione debba passare al vaglio del governo (roba che neanche in Congo…), ma che il vuoto informativo sia alla fine colmato dal sottovuoto disinformativo: si è deciso che il Tg1 di Minzolini sarà più lungo proprio per dirci cosa ci siamo persi della politica italiana. Che è un po’ come  cercare di risolvere il problema di un non vedente assicurandogli una fornitura rafforzata di occhiali da sole.
Nel migliore dei casi, una carognata.

Naturalmente

Federica Gagliardi, nota al mondo per essere stata l’estemporanea accompagnatrice dell’arrapato premier italiano al G20, dice che no, lo spettacolo non le interessa. Del resto col curriculum che si ritrova, a cosa potrebbe pensare se non alla politica?

La crisi degli arbitri

Dal calcio alla politica alla Chiesa, c’è una crisi di arbitri.
Ci manca cioè quella illusione di terzietà che la figura di un giudice infonde in noi quando le acque sono torbide e servono occhi limpidi per scegliere, decidere, deliberare.
Il paradosso dei nostri tempi è che si avverte la mancanza di arbitri degni di questo nome quando invece se ne promuovono in gran quantità, a tutti i livelli. Insomma non c’è certo una crisi di vocazioni, al contrario c’è un aggrovigliarsi di regole. La politica, ad esempio, più che formare amministratori forgia le leggi a misura del politico di turno.
Non è facile dirigere il traffico degli umani – calciatori, cittadini o fedeli che siano –  ed è importante che l’errore non sia considerato malattia e non vada debellato con vaccini ad ampio spettro perché si rischia di fare più vittime. L’errore va eliminato con obiettività e altruismo: mettendosi in discussione, arbitro per primo, e tenendo d’occhio l’interesse generale.
Guardate i Mondiali, guardate la politica italiana, guardate il Vaticano. Quanto conta in questi ambiti l’interesse generale e quanto pesano invece gli interessi di pochissimi?
Quando la finiremo di ritoccare le regole per giustificare l’inadeguatezza degli arbitri attuali e invece ci dedicheremo al rigoroso rispetto delle norme, allora sarà un giorno di speranza.

P.S.
Non so perché, ma oggi mi venne fuori una specie di omelia… Pardon.

Riassunto

Un imprenditore molto ricco, con una certa propensione alle scorciatoie non legali, si inguaia ad ogni passo della sua vita. Amicizie, frequentazioni, partnership, vicende familiari, scelte economiche, sportive, artistiche, politiche. Ovunque si cimenti, come per maledizione, c’è sempre un tarlo che rode l’architrave del suo progetto. Poi l’imprenditore diventa premier e costruisce una legge che impedisce di raccontare i capitoli più avvincenti e/o indecenti di questa storia.
Per cui questo è il massimo che si può dire. Un riassunto. Roba da quarta elementare.

Per questo non vinceranno mai

L’Italia dei Valori ha bocciato la candidata a vicesindaco di Reggio Emilia perché su Facebook aveva messo questa foto, giudicata troppo sexy.
Berlusconi, come minimo, l’avrebbe fatta sottosegretario.