Le mille bolle blu

Mi concedo qualche giorno di vacanza. E vi lascio con una segnalazione che spero apprezzerete.  Da oggi (15) a domenica (18), torna in scena, al Teatro Nuovo Montevergini di Palermo, “Le mille bolle blu”, il monologo scritto dal giornalista Salvatore Rizzo, interpretato e diretto da Filippo Luna.
“Le mille bolle blu” racconta la struggente storia di un amore omosessuale vissuto per trent’anni nella clandestinità. Protagonisti sono Nardino ed Emanuele, barbiere il primo e avvocato il secondo: la scintilla tra i due giovani scocca proprio nella bottega di Nardino, tra una poltrona in acciaio, pelle e bianca ceramica e una saracinesca abbassata.
La bottega diventa così il cuore pulsante di un amore che infrange le regole di una società abituata a relazioni di tutt’altra natura, un sentimento segreto che costeggia – senza mai scalfirla – la  loro normale vita di mariti e padri di famiglia.
“Le Mille bolle blu” è tratto dall’omonimo racconto contenuto nel libro “Muore lentamente chi evita una passione. Diverse storie diverse”, pubblicato lo scorso anno da Sigma Edizioni (da giugno Pietro Vittorietti Edizioni), una raccolta di dieci storie, tutte autentiche, di omosessualità maschile in Sicilia, dai primi anni del Novecento fino ai nostri giorni. I racconti sono firmati da tre giornalisti palermitani: Salvatore Rizzo, Angela Mannino e Maria Elena Vittorietti.

Se questo è un arbitro

Il signor Banti ha regalato una partita al Cagliari concedendo un gol in fuorigioco (di almeno mezzo metro) e negando un paio di falli cruciali al Palermo.
Arbitro, secondo il dizionario De Mauro, è chi dirige una competizione facendone rispettare il regolamento.
L’arbitro Banti è, parafrasando Michele Serra, un ossimoro vivente.

Lo specchio del barbiere

Storie minime

di Roberto Puglisi

Lo specchio del barbiere è il custode della nostra anima filosofica. Ti siedi e osservi quel tale, dall’altra parte del riflesso, mentre gli tagliano i capelli, mentre gli accorciano la barba, mentre gli cambiano il cuore. Che cosa è il cuore se non il riverbero della nostra immagine, la percezione emotiva di noi stessi, lo specchio d’acqua torbido o puro in cui guardiamo i sentimenti, pezzi di carne in bocca a un cane bavoso? Intorno a quella fetta di carne che ci pende dalle labbra, non sapendo mai cosa fare, se lasciarla cadere o addentarla, rimandiamo le scelte. Rimandando, le costruiamo intorno un castello di pensieri per renderla invisibile: è ghiotta la nostra filosofia.
Mi sono seduto ancora una volta, con supremo sprezzo del pericolo e del ridicolo, sullo scranno del barbiere. Quando ero bambino, c’era mio padre specchiato in lontananza su uno sgabello offerto al pubblico. Ogni tanto, mi sorprendo a cercarlo, nonostante l’evidenza. A dispetto dell’evidenza, mi sento abbandonato. Come se il mio volto di dodicenne appesantito fosse rimasto solo in un deserto crescente, in un nulla che tutto invade, spazzando via affetti e gioie. Non vedo più nemmeno il barbiere. Forse ha lasciato qui la sua mano forbicemunita, una finzione, il simulacro di un’eguaglianza dei giorni che non esiste. Di chi è la voce che parla del Palermo? E’ Dio? E’ un registratore nascosto, per meglio ingannare? Mi alzo confuso, gocciolante di dubbi e dopobarba. Non ho il coraggio di specchiarmi oltre. Al mio posto si siede Gianni che fu colpito dalla meningite quando era bambino e bambino è rimasto, a prescindere dal suo corpo. Gianni sorride. Recita una filastrocca a memoria. Io vorrei fare finta di leggere il giornale. Ma a un certo punto non ce la faccio più. Mi chino e gli poso un bacio sulla guancia.

L’immagine riproduce l’acrilico su tela “Cronaca” di Gianni Allegra, per gentile concessione dell’autore.