Siamo merde

Non so cosa ci sia dietro il buio della mente di quella donna che oggi, a Catania, si è denudata e ha cominciato a lanciare dal balcone pezzi della sua casa e probabilmente della sua vita.

So per storia personale cosa c’è, anzi cosa non c’è nel buio della mente che ogni tanto arriva con la pretesa di strappare dai problemi e invece strappa e basta. So che molto spesso c’è un’interferenza che toglie la connessione e fa sentire indipendenti da essa. Immagino che comunque in questo atto che sembra anarchico ci sia un’infinita dipendenza, una tremenda colpa altrui sottovalutata, nascosta.

Perché siamo noi i cortocircuiti altrui. Siamo gli errori che commettiamo e ai quali non diamo mai l’attenzione che serve, siamo i maestri del low profile codardo e pensiamo che da qualche parte, in qualche modo, ci sia sempre un rimedio, si trovi sempre una scusa.

La donna di Catania ne avrà accumulate di verità di comodo, magari avrà peccato di sottovalutazione o chissà. Però davanti a un atto estremo di umiliazione travestito da gesto rivoluzionario (buttare le cose dal balcone è un momento ad effetto tanto drammatico quanto cinematografico) dobbiamo tutti –  maschi e femmine, altri e altre – fermarci e ripescare il momento zero dei nostri fallimenti, perché tutti ne abbiamo.
Tutti.
Quando abbiamo fatto un passo che non dovevamo fare, quando ci siamo sentiti più sicuri del nostro ego, quando abbiamo calpestato un sentimento di cui non avevamo contezza, quando siamo stati ciechi pur avendo la visuale ampia. Ci è successo e non possiamo negarlo.

La donna di Catania è un modello da tenere a mente, altro che morbosità social, altro che dovere di cronaca. Quella donna nuda e disperata è la protagonista dell’atto finale più annunciato e meno previsto delle nostre storie sentimentali, lavorative, sociali, eccetera: è il coagulo delle nostre misere disattenzioni, perché noi siamo attenti solo a ciò che ci può dar noia o soddisfazione nell’immediato.

Pensiamoci ogni volta che diamo una risposta malvagia a chi non se la merita, ogni volta che alziamo le spalle dinanzi a un’ordinaria rinuncia, ogni volta che cataloghiamo come cazzata un gesto che altri possono ritenere urticante. Facciamolo per noi stessi, perché alla fine tutti i cerchi si chiudono, anche se è quasi sempre troppo tardi. Un giorno magari capiremo che i disastri del mondo sono un insieme di sottovalutazioni che partono dal nostro tinello.

Troppo spesso siamo merde e non c’è nessuno che ce lo ricordi prima dell’ineluttabile fischio finale. E il problema non è il fischio finale.

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La santa certezza del due di picche

L’articolo pubblicato oggi su Repubblica Palermo.

“Mi vuoi sposare?”. “Manco per sogno”. La short version della disavventura di un giovane catanese che si è presentato all’arrivo della sua fidanzata all’aeroporto Fontanarossa con palloncini e richiesta di matrimonio a sorpresa e si è visto rifilare un due di picche, ci riconsegna una realtà che gode ancora di un’adeguata dose di rassicurante incertezza. I social, attraverso i quali queste vicende diventano virali, ci hanno abituati infatti a una lettura bidimensionale delle emozioni annunciate: su Facebook tutto è bene quel che finisce come ci si aspetta che finisca. E invece la vita vera ha sempre un colpo di coda che ci sorprende. Non sapremo mai cosa c’è davvero dietro quel rifiuto, se più costrizione o libertà, se più saggezza o ingenuità, se la mamma che si è portata via la presunta promessa sposa scagliandosi contro il ragazzo è più guerriera o più imperatrice. Di certo c’è il sapore agrodolce che rimane quando l’amore che era in bilico scivola nella più genuina delle certezze. Quella di dire no, quando tutto il mondo si aspetta il contrario.     

Escher, la felicità dell’impossibile

“Coloro che tentano di raggiungere l’assurdo, otterranno l’impossibile”.
M. C. Escher

Io vado pazzo per Maurits Cornelis Escher, il famoso grafico e incisore olandese che ha scardinato le porte della logica per farne un giardino proibito di paradossi, di costruzioni impossibili, di prospettive che negano l’esistenza della tridimensionalità.
Stamattina, in un raptus di “assurdo/impossibile” (vedi citazione sopra), ho fatto il pieno alla mia vecchia auto, ho fatto tutti gli scongiuri possibili, dato che il mezzo è davvero mezzo e io avevo un’insana voglia di tornare a casa intero, e fatto una corsa a Catania per vedere questa splendida mostra. Quattro ore di auto, tra andata e ritorno, per un’ora di godimento.
Sapete che vi dico? Ne è valsa la pena.
Tornato a casa ho accarezzato il catalogo gentilmente regalatomi dalla curatrice e ho iniziato a sfogliarlo come si fa con un libro prezioso. Vi sarà chiaro che, inspiegabilmente, ho una perversa attrazione per le acrobazie prospettiche (e via con le metafore…) di Escher: potrei stare ore a guardare la sua Relatività, potrei perdermi nella famosissima Metamorphosis considerata il suo capolavoro (una sorta di Guernica senza rivoluzione, ma con un’intelligenza rivoluzionaria da brivido), o rimbambirmi davanti alla Galleria di stampe che il maestro non potè completare perché non riusciva a chiuderla graficamente e/o logicamente nella sua parte centrale (il completamento fu effettuato, postumo, a opera di due matematici nel 2003). Alla fine mi sono consolato con una Mano con sfera riflettente che ho adottato come screensaver dello smartphone, e con la felice consapevolezza di una scelta: da dieci anni ogni notte, prima di addormentarmi, do un’occhiata all’immagine che sta accanto al mio letto: Giorno e notte. Di Maurits Cornelis Escher, naturalmente.
Evidentemente non è un caso.

Le correzioni

La prima pagina de “la Sicilia” di oggi ci racconta chi erano e a cosa servivano i correttori di bozze quando esistevano.

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Siccome c’è un’odiosa sentenza che mette in dubbio la libertà di chi, come me, scrive con assiduità su un blog, preferisco tacere per oggi. Tanto per togliere elementi a chi vorrebbe accusarci di stampa clandestina.

Ikea, missione compiuta


Missione compiuta. Ieri siamo stati all’Ikea di Catania e siamo riusciti a spendere una cifra per soddisfare la nostra sete/fame di meraviglioso superfluo.
La strategia di attacco, come tutto il resto (movimenti, strumentazione, tabella oraria), era stata stabilita da mia moglie nel corso di un lungo briefing mattutino.
Alle 12,40 siamo arrivati davanti al colosso blu e giallo. In auto, mentre cercavamo un parcheggio, l’occhio esperto della condottiera ha registrato più casino del previsto. Subito c’è stato un aggiornamento del piano: “Si va a pranzo adesso, così evitiamo la ressa delle 13,30”, questo l’ordine.
Quindi abbiamo mangiato a Catania a un orario altoatesino e con un menù svedese. Mia moglie si è avventata sulle polpette servite con una specie di marmellatina e le ha divorate insieme con un piatto di patatine fritte (vi ricordo che non erano neanche le 13). Io mi sono aggrappato a un piatto di gnocchi al pesto e a uno sformato di verdure che sapeva di pane (svedese).
Poco dopo eravamo in pista o, se preferite, sul campo di battaglia.
La condottiera ha fatto scorta di matite e foglietti per appunti, nonostante avesse una sorta di mappa del tesoro vergata in occasione del nostro pellegrinaggio all’Ikea di Ginevra, un mese fa. Non si sa mai, qualche folgorazione davanti a un tappeto da 59 euro e 90 può sempre arrivare ed è meglio non farsi cogliere impreparati.
L’ho vista girare felice tra bicchieri Pokal e sgabelli Dalfred, confusa e felice tra fiori finti che sembravano veri, e fiori veri che, secondo me, erano finti. Si è mossa con sicurezza tra candele e tappeti, piatti e strani accessori da cucina di cui (ha giurato) mi dirà le possibilità d’impiego. Non si è mai mostrata infastidita per la folla, lei che come me è allergica a qualunque tipo di ressa.
L’Ikea è un’esperienza mistica per chi crede in un modello di coccole aziendali. Un modello in cui persino i cartelli che spuntano ad ogni angolo ti spiegano perché distruggerti le dita a montare i tuoi mobili è giusto e bello, perché è meraviglioso che ti debba rompere la schiena nel portarti a casa con le tue zampe un armadio a otto ante, perché non devi impressionarti se la poltrona che hai appena acquistato ti viene consegnata legno per legno in una confezione che pare liofilizzata.
Il ritiro delle merci è il momento cruciale della riconciliazione tra sogno e realtà. Se avete comprato un tavolo non dovete pensare a come lo farete entrare nella vostra utilitaria, dovete solo cercare di immaginare il peso specifico dell’imballo. Inoltre è probabile che la stanza da letto che avete appena acquistato vi sia fornita all’uscita in comode scatole che entrano nel vano posteriore di una Punto. E non importa se ognuna di quelle scatole pesa 800 chili.
Il vero miracolo dell’Ikea è questo: comprimere i solidi, rendere la realtà a misura di bagagliaio.

Io, mia moglie, l’Ikea

 

C’è qualcosa che sta prima di me e che mi sopravviverà nella mente e nel cuore di mia moglie. Lo so da prima di sposarla e lei non me l’ha confessato, ha lasciato che lo scoprissi con meno traumi possibili.
Quel qualcosa è la passione per Ikea.
Sino a ieri ho ignorato colpevolmente una delle maggiori soddisfazioni che avrei potuto regalare alla mia consorte: portarla all’inaugurazione di Catania. L’ho fatto per pigrizia e per una orgogliosa (presunta) lungimiranza: perché affannarsi quando tra qualche settimana non ci sarà più l’assalto dei visitatori?
Lei ha taciuto sull’argomento più scottante, quello dell’emozione. L’ho vista raggiante, un mese fa a Ginevra, mentre facevamo il nostro pellegrinaggio alla sede svizzera della multinazionale: girava tra i reparti annotando, stilava la lista ecumenica dei desiderata, si lanciava in paragoni tra varie sedi. Sembrava una bambina felice in quel paese delle meraviglie dove un divano si chiama come il personaggio di un romanzo di Stieg Larsson e dove il fai-da-te è molto vicino alla masturbazione mentale (se non lo sapete, Ikea ha forse il migliore sito internet commerciale del mondo).
Comunque so che mia moglie mi avrebbe detto: “Apre Ikea a Catania e io devo esserci!”
Non l’ha fatto perché è di una delicatezza deliziosa e perché sa che l’avrei accontentata con una litania intollerabile di brontolii.
Ovviamente tutto ha un prezzo e io conosco il mio destino.
La prossima settimana, missione catanese con licenza di acquisto illimitata (l’Ikea è l’unico posto al mondo in cui si rischia la bancarotta con le banconote di piccolo taglio) e pranzo compreso: mia moglie ha già studiato il menù.

P.S.
Vi racconterò.

Vietato innamorarsi

LE FINALITÀ DEL CIRCOLO SONO LO SVILUPPO, L’ESALTAZIONE, LA CONCRETIZZAZIONE DEI SENTIMENTI TRASGRESSIVI E LICENZIOSI AD UNA FINALITÀ DI CULTURA DEL SESSO E DELLE SUE VARIE SFUMATURE SENZA LIMITI E LIMITAZIONI, SENZA USCIRE DALLA LEGGE (pertanto non è il caso né di corteggiare né di innamorarsi)

Dal sito delle Sabbie Nere, locale per scambisti in provincia di Catania.

Arresto o non arresto?

La Repubblica annuncia la richiesta di arresto del governatore della Sicilia Raffaele Lombardo. La Procura della Repubblica di Catania smentisce.

Non ci sono più le sane fughe di notizie di una volta.

Lombardo e il lombardo


Senza i nomi, il discorso è risultato floscio. Raffaele Lombardo ha deluso le aspettative di chi voleva i fuochi d’artificio, e sull’arena ha lasciato solo quattro fiammiferi bruciacchiati.
La partenza è stata da sbadiglio. “Non ho ancora ricevuto un avviso di garanzia”, ha tuonato. Persino l’ultimo degli studenti di giurisprudenza sa che quando c’è di mezzo un’accusa di mafia, le procedure a tutela dell’indagato possono non essere quelle ordinarie.
Poi il governatore ha intonato un refrain berlusconiano: “Questo governo ha dato i veri colpi alla mafia”. Altro sbadiglio.
La ricostruzione di un complotto universale contro lui e i suoi assessori ha impegnato tutto il resto della pièce. In pratica, Giuseppe Firrarello e Franco Viviano, i vertici di Repubblica e quelli dei Ros, il boss Santapaola e Salvatore Torrisi (suo avversario politico del Pdl), Braccobaldo e la Banda Bassotti sarebbero pedine in uno scacchiere in cui lui, Lombardo Raffaele nato puro e braccato dalle forze del male, è il re da decapitare.
Perché?
Perché è bravo. O è scomodo. O è bravo e scomodo.
La presunzione di elargire una verità spacciandola per la verità è un errore non politico, ma di comunicazione. Il politico infatti usa il semplice metodo del “dire a proprio vantaggio”: basti pensare a un qualunque comizio elettorale.
Il comunicatore deve invece illudere gli ascoltatori col metodo del “dire per l’altrui vantaggio” anche quando parla esclusivamente di sé.
Lombardo ieri ha annoiato mortalmente come politico perché aveva annunciato un’esibizione da comunicatore.
Gli unici nomi che ha fatto erano quelli che da giorni abbondavano sulle pagine dei giornali.
Solo che li ha pronunciati con un’enfasi lodevole per effetto.
In Italia c’è un solo uomo che è in grado di ammaliare le folle promettendo e non mantenendo, trasformando in coraggio la propria faccia tosta, chiamando complotti le manifestazioni di dissenso.
E quell’uomo non è Lombardo.
Ma lombardo.