Saper aspettare

In Svizzera consegnano i preservativi a domicilio. Insomma riescono a far coincidere i tempi biologici (quelli dell’erezione) con quelli burocratici (la posta celere). Si vede che sanno aspettare e che magari non soffrono di eiaculazione precoce.
E a tal proposito – del saper aspettare – vi giro una barzelletta che ho sentito ieri (io odio le barzellette, ma questa è carina e soprattutto breve).

Una cicogna vola reggendo un fagotto con dentro un novantenne.
Il vecchietto la guarda con compassione e le dice: “Ci siamo persi, eh”.

Grazie a Tex “Fabrizio” Willer.

Naturalmente

La carriera dell’ex meteorina di Fede, Giovanna Del Giudice, ha avuto il suo sbocco naturale: assessore provinciale a Napoli.

E ora Caino ministro per la Famiglia

Le dimissioni del ministro all’Impunità Aldo Brancher ricordano la storiella del bambino che,  pizzicato mentre ruba la marmellata, si difende dicendo che in realtà lui odia la marmellata e che ha preso il barattolo solo per vedere cosa c’era sotto.
Il fatto che Brancher abbia operato per “il bene del Paese” è la panzana più grossa che umano intelletto possa immaginare, almeno sino a questo momento (sappiamo che le sorprese in tal senso sono attese di minuto in minuto). E non conta che la marmellata sia ancora sulle labbra di quel tale, che sotto il barattolo non ci sia proprio nulla, che l’indegna commedia di un indegno commediante sia finita con la peggiore risata del pubblico: quella indesiderata.
Non c’è alcun senso dello Stato nelle decisioni di un uomo che merita di essere dimenticato per la sua grossolana imperizia (diciamocelo: anche per rubare ci vuole una certa intelligenza). E forse non c’è neanche il senso del ridicolo. Non so voi, ma a me più che rabbia, questa storia fa venire molta tristezza.
Faccio una certa fatica a tenere distanti i pareri dai fatti, anche se non ce ne sarebbe bisogno perché questo è un blog di opionioni. Però, quale asciuttezza di narrazione si potrebbe inventare davanti alla grottesca messinscena di un ministro nominato senza che ancora sia stato stabilito il suo ministero (per la cronaca, non lo sarà mai), all’insaputa o senza l’approvazione degli alleati di governo, con l’obiettivo di eludere istituzionalmente la legge?
Brancher è la coincidenza terrena tra la cattiva idea e la cattiva azione, il punto di unione tra il brutto possibile e quello impossibile, il vuoto che riempie. E’ la sintesi perfetta, quindi diabolicamente perniciosa, tra Berlusconi e il berlusconismo: tutto ciò che Lui non è, può benissimo essere inventato, costruito, assemblato. Senza chiedere permesso, senza alcuna legge da osservare, tra una barzelletta spinta e una toccata di culo alla soubrettina osannante.
La vita è bella, facciamola più bella. Del resto questo è il partito dell’amore, il partito che amorevolmente accoglie tutti.
Se si presenta Caino, lo fanno ministro della Famiglia.

Questi radical chic

di Verbena

Non confondeteli con gli snob. Sono un’altra cosa. I radical chic hanno le loro regole e si guardano bene dal confessarselo a vicenda. Hanno la loro cucina, la loro musica, i loro tic. I loro  accenti tonici e acuti, il loro sesso e la loro castità.  Pure i loro vizietti hanno, i radical chic. Mi dicono che io sia una di loro. Ma non ne sono poi così convinta.

I radical chic…

Il logo della Apple, anche incollato sulla Moleskine.

Sofri padre, Sofri figlio, Gassman nipote.

La bella scrittura, la sana frittura, la tv iattura.

Mai  provato il miele di acacia sul pecorino di fossa?

Fazio, Littizzetto, il Comunicattivo.

No alle griffe,  si al vintage (di lusso).

Il pilates e il tantra (lo yogi si è formato in India).

Truffaut, Corto Maltese, gli Abba.

No al fondotinta satinato,  si al kajal verdeblu.

Mai provato lo spezzatino di seitan?

Hemingway, Murakami, i poeti francesi.

Il cavatappi Alessi e la macchina del pane.

L’erba buona, il vino buono, il sesso buono.

Scalfari, Mina, Guzzanti (Sabina).

Cuoio, seta, cachemire.

Sushi, sashimi e tofu.

I senza dio, la frutta bio.

A proposito di iPad

Qui una discussione interessante sull’iPad e il futuro della rete. Buona domenica a tutti.

Il potere degli schiavi

Presidente, lei ha appena compiuto una lunga trasferta nel continente americano, com’è andata?

Inizia così l’intervista a Silvio Berlusconi trasmessa ieri al Tg1 delle 20.
Vecchia regola giornalistica insegna che ci sono domande che non si possono porre ai politici, per deontologia, per dignità o, se volete, per assioma.
Sono le cosiddette domande da divano: “Com’è andata?”; Qual è il suo programma?”; “Cosa farete?”; e via inchinandosi.
Dare la possibilità a un altissimo esponente politico, rappresentante del popolo e lautamente retribuito dal popolo stesso, di rispondere su un argomento a piacere è per la stampa molto più di un’occasione perduta. E’ un grave indizio di colpevolezza, specie in un Paese che ha più ladri che guardie, e nel quale ogni passo del governo mira alla sistematica abolizione delle regole senza le quali quel governo crollerebbe sotto il peso di pesanti responsabilità penali e morali.
C’è in Italia una classe giornalistica cresciuta all’ombra di un vacuo risorgimento nel quale contano tutte le parti del corpo fuorché la faccia.
Nel mio minuscolo, conosco alcuni di questi signori che si inchinano al potente di turno, che hanno la  memoria labile, che promettono mentendo e che mantengono senza aver promesso. Sono giornalisti di ogni livello: alto (in senso gerarchico), medio, infimo. Fanno parte di un parterre che applaude privo di intimo compiacimento, rinfrancato solo dai venti del momento. Mercenari che, drogati dal clima di incolumità istituzionale, ridacchiano con sufficienza quando capiscono che si parla di loro in toni non benevoli, e che invece dovrebbero temere più la loro biografia che la fedina penale.
Paradosso della storia: il marcio di quest’Italia non si sconfiggerà abbattendo il tiranno, ma estirpando uno per uno i suoi schiavi.

Lo Strega che non strega

 Poche parole

di Raffaella Catalano

Ieri mi sono inflitta l’annuale autoflagellazione e ho seguito il Premio Strega in tv. Tutto come da programma. Si mormorava da tempo che ci sarebbe stato un testa a testa tra “Acciaio” di Silvia Avallone e “Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi, e così è stato. Poi Pennacchi ha vinto. Un tomo Mondadori/Berlusca per la quarta edizione consecutiva. Anche qui nessun “oohhh” di sorpresa. L’unico ad accennare a una presunta combine, Paolo Sorrentino. Ma i benpensanti diranno, come sempre: l’invidia di un perdente. Che però, aggiungo io, scala le classifiche.
A parte questa (solita) solfa, ne ho notata un’altra, non meno ricorrente: i brani dei libri letti durante la serata finale, da quando ho ricordi, sono sempre scampoli di temino di scuola media. Quattro-righe-quattro, insulse, piatte e senza stile.
Magari i romanzi in cinquina allo Strega sono tutti immancabilmente banali. Chissà. Oppure si fa un’accurata selezione per declamarne in Rai gli stralci peggiori. Ri-chissà. E una deleteria stoccata la assestano anche le interpreti, attricione decotte, attricette tettute o sciacquine parvenues che siano: leggono i contemporanei con un’enfasi che risulterebbe demodé persino in un teatrino amatoriale di provincia. Se in finale ci andasse un redivivo Dante sporgerebbe denuncia per danni. A sé e soprattutto alla voglia di leggere.

Oui, je suis Ferruccio de Bortoli

Il Corriere della Sera pubblica oggi una lettera aperta al presidente onorario delle Generali, Bernheim. In francese.

Idee chiare

Cesare Prandelli, appena insediatosi alla guida della nazionale italiana di calcio, ha le idee chiare:

Il lavoro di Lippi non è per nulla da buttare, non si butta nulla.

La vedo male.

Nano e ballerine

Pare che il nostro premier non abbia perso l’occasione per farsi conoscere anche in Brasile.