Diluvio o Porto Cervo?

diluvio universale

Dunque se Berlusconi fosse condannato in modo definitivo sarebbe un disastro non solo per l’ex premier ma per l’intero Paese. Silvio infatti non si accontenterebbe di un esilio dorato tipo Craxi, ma preferirebbe finire in galera in modo da martirizzarsi a puntino. Immolandosi, darebbe così il la alla sinfonia di proteste che culminerebbe nelle dimissioni in massa dei 200 parlamentari del Pdl. A catena, crisi politica e diluvio universale.

Se invece la Cassazione lo liberasse dall’infamia di una (una?) condanna ingiusta, il sole sorgerebbe più splendente che mai, i ristoranti tornerebbero a riempirsi e il Pd vivrebbe felice e contento votando, governando e patteggiando fraternamente col centrodestra. A catena, fallimento dell’azienda Italia, suicidi di massa, ma almeno niente punizioni bibliche. L’Arca resterebbe ormeggiata a Porto Cervo.

Comuniscti!

La buonuscita di Fede

Pare che tra Emilio Fede e Mediaset siano quasi sciolti i nodi del divorzio. Il giornalista sarebbe pronto a lasciare la direzione del Tg4 per una buonuscita di circa otto milioni di euro. Ancora non c’è la firma dell’accordo, ma Fede ha fede.

Uno legge un giornale e affonda una nazione

Non c’è solo l’Italia forgiata, rappresentata e stipendiata da Silvio Berlusconi a dare scandalo davanti agli occhi increduli del mondo. C’è anche quella millantata dal premier a lasciare attoniti innanzitutto i cittadini liberi, cioè quelli non foraggiati dal premier. Continua a leggere Uno legge un giornale e affonda una nazione

Se non è breve, sarà lungo

Ci avevano tentato con processo breve, ora ci tentano con processo lungo. Pur di salvare Berlusconi dai suoi casini giudiziari, la maggioranza aziendalista di governo è costretta a inventarsi ogni giorno qualcosa e il suo contrario.
Prima si era tentato di estinguere in anticipo i procedimenti giudiziari del premier con una serie di cavilli vergati apposta per i processi Mediaset e Mills.
Ora, al contrario si cerca di allungare a dismisura il procedimento estendendo senza limite la lista dei testimoni con l’obiettivo di raggiungere la prescrizione.
C’è da scommetterci: se neanche questa genialata troverà piena applicazione, una nuova idea strabiliante verrà fuori. Si punta a eliminare i magistrati mancini, perchè ritenuti collusi con le sinistre, quelli calvi, perché portatori di un testosterone che si addice solo al Grande Imputato, quelli sposati, perché pieni di pregiudizi nei confronti del Grande Single, quelli single, perché tendenzialmente portati a competere col Grande Single, quelli al di sopra del metro e sessantasette, perché potrebbero guardare il Grande Imputato dall’alto in basso.

Il metodo Ghedini

Secondo l’editto del tiranno della Rai (il nome non si fa perché quello di Masi è probabilmente una copertura) Fazio e Saviano per poter parlare di politica dovrebbero invitare tutti i politici. Ciò significa che non basta chiamare Fini per la destra, e Bersani per la sinistra, o viceversa, per garantire il pluralismo, il contraddittorio e tutte le menate di cui Vespa, Minzolini, la D’Urso (la D’Urso?) e tutti i canali Mediaset se ne fregano abbondantemente.
Il nuovo ordine di scuderia – o di stalla –  è: mettere i bastoni tra le ruote, proibire, impedire, rompere i coglioni sino allo sfinimento.
Il metodo Ghedini insomma. Solo che Ghedini, almeno sino a ora, lo abbiamo visto sbavare sul teleschermo.
Il dramma è  che domani, dati i chiari di luna di questo governo, il de cuius rischiamo di ritrovarcelo da questa parte del televisore, con un telecomando in mano. Il nostro.

Naturalmente

C’è una giornalista spagnola diventata famosa in tutto il mondo per un bacio.
Il premier più assatanato del mondo poteva lasciarsela sfuggire? Ovviamente no: l’ha reclutata nelle sue tv.

Ai loro tempi

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Ormai si sa: il mondo secondo Silvio Berlusconi è veloce. Pare che Silvio dorma poco. Pare che Silvio sia rapido a dire e altrettanto rapido a smentire. Pare che Silvio non tenga in gran conto la memoria. E’ un’Italia giovane, quella di Silvio, in continuo movimento, intrappolata in una perenne adolescenza. E, in quanto tale, paga lo scotto del confronto con i veri anziani, con la saggezza associata alla vecchiaia. Come accade alla “giovane” America, costretta ad aggrapparsi a miti recenti e a costruirne di nuovi in mancanza di una storia e di una cultura millenarie, il “mi ricordo” del berlusconismo  è volutamente ipertrofico, nella sua ricerca spasmodica di un sentimento di nostalgia che non può ingenerare: sia per questioni anagrafiche che di peso specifico. Se non lo si capisce guardando Silvio stesso e i suoi fedeli, basta andare sul banale.
Che spesso, nel mondo di Silvio, nasconde l’essenziale.
Sabato pomeriggio, inciampando in una puntata di Verissimo (un titolo che è già tutto un programma) ho scoperto che cosa è il tempo in Mediaset. La conduttrice, Silvia Toffanin in Piersilvio, alle prese con un giovane comico di Zelig, lo ha presentato mostrando un suo filmato di esordio che “risaliva al 2004”. Ha detto proprio così: “risale”. Quasi che si parlasse di cinquant’anni fa. All’immagine della vecchiaia, una volta, si associava la sapienza. All’antico, il valore. All’esperienza, l’arte. Alla comicità meritevole di essere storicizzata Totò, non “Fluuuoro”, che risale a ieri.
Ma questo succedeva ai nostri tempi. Non ai loro.

Il mestiere di addetto stampa

ufficio stampa mediaset

Domande conseguenti.
Chi è Gabriele Parpiglia?
Chi è Karina Cascella?
Chi è Salvatore Angelucci?
E – come suggerisce Salvatore Rizzo dal cui assist è scaturito questo post – come fanno a sapere quelli di “Domenica Cinque” che la notizia il Parpiglia l’ha data in esclusiva in diretta su Mediaset? E se l’avesse detto la sera prima a suo cognato? E suo cognato l’avesse raccontata al bar?
Dura la vita degli addetti stampa.

Un film “de paura”

videocracy
L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Sono stato a vedere Videocracy, il documentario su non-vita, morte e miracoli della “telecrazia” berlusconiana che Rai e Mediaset mi hanno fatto il favore di ignorare (c’è chi ha usato un altro termine: censurare. Niente trailer e poco più che qualche notiziola sfrecciante sulla proiezione dell’opera a Venezia). Dico “favore” perché io sono come i bambini: più cerchi di nascondermi le cose – e più sono “certi” personaggi, a nascondermele – più corro a curiosare. Tra l’altro, mi vanto di aver sempre pensato (dai tempi spensierati di Drive-in) che i danni culturali inferti dalla Berlusconeide al nostro paese non siano secondi a quelli istituzionali. Mi dico: una serata al cinema che fa per me.  Così, eccomi alla prima della pellicola di Erik Gandini, italiano naturalizzato svedese. Tralascio le notazioni di colore (atmosfera divertente, pubblico ciarliero, quattro gatti in sala. Molti in sandali e calzoni rossi. Qualcuno persino scalzo: esiste anche il trucco e parrucco di cripto-sinistra, ahimé). Primi fotogrammi, e penso: Gandini ci ha azzeccato. Fotografia livida, colonna sonora “cardiaca”, tutta battiti, bassi e suggestioni à la Bernard Hermann di Taxi Driver. Insomma, se Videocracy non è proprio un film dell’orrore, ci andiamo vicini. Con punte di splatter nel bagno di Fabrizio Corona che si specchia nudo, a pisello sciolto, dopo la doccia, e nei primi piani di un Lele Mora-zombie, di bianco vestito ma con l’anima di un Darth Vader (non vi levo la sorpresa di scoprire che cosa suona nel suo blackberry).
Dilemma: c’era altro modo per raccontare quello che è andato storto nelle teste (e negli occhi e nelle anime) di moltissimi italiani negli ultimi vent’anni di storia? Secondo me no. Scena da ricordare: quella finale, del gruppo laocoontico di aspiranti veline che balla al ralenty su un palchetto arrangiato in un centro commerciale. Musica che non va d’accordo con i loro sorrisi e le loro contorsioni, montaggio in parallelo con Silvio e la sua truppa che marcia in grande spolvero tra due ali di folla. L’effetto è raggelante. Una notazione negativa (ma indipendente dalle qualità del regista): ho l’impressione che qualunque film sul fenomeno Berlusconi sia già vecchio prima ancora di essere proiettato, tanto la cronaca sopravanza la riflessione, la possibilità di storicizzare in modo efficace.
D’altronde, è una regola dello spettacolo anche questa: un colpo di scena al giorno leva la consapevolezza di torno.